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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI PARTECIPANTI
AL CORSO SUL NUOVO CODICE DI DIRITTO CANONICO

Lunedì, 21 novembre 1983

 

Signor Cardinale, Venerati fratelli nell’Episcopato,
e voi tutti fratelli nel sacerdozio di Cristo! Grazia e pace nel Signore!

1. È per me motivo di gioia potervi incontrare stamani insieme con i cari professori dell’Università Gregoriana, che vi hanno commentato con amore e competenza il nuovo Codice, il quale entrerà in vigore domenica prossima, prima di Avvento. È stata, la vostra, un’intensa sessione di studio che costituisce una testimonianza e un appello. Mi auguro che questo vostro esempio sia seguito, così da favorire una vita ecclesiale sempre più profonda, più unita e meglio ordinata. Al riguardo nella costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges ho detto espressamente: “Faxit ergo Deus, ut gaudium et pax cum iustitia ed oboedientia hunc Codicem commendent, et quod iubetur a capite, servetur in corpore” (Giovanni Paolo II, Sacrae disciplinae leges, 25 gennaio 1983: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI/1 [1983] 234). Voi sapete che il testo promulgato è frutto di un lavoro eminentemente collegiale e resta un segno di vera comunione.

Il vostro impegno di questi giorni risponde a quello che è sembrato opportuno per la Chiesa, come dicevo nella menzionata costituzione: “Quo autem fidentius haec praescripta omnes probe percontari atque perspecte cognoscere valeant, antequam ad effectum adducantur, edicimus ac iubemus, ut ea vim obligandi sortiantur a die prima Adventus anni 1983” (Giovanni Paolo II, Sacrae disciplinae leges, 25 gennaio 1983: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI/1 [1983] 234). Questo voi avete fatto! prima di applicare il Codice, avete voluto conoscerlo “perspecte”, e studiarlo “probe”, non per criticarlo - esso è certamente un’opera umana e chi oserebbe dire che è perfetta e deve esserlo? - ma l’avete studiato per applicarlo meglio, l’avete ricevuto, accolto, compreso e apprezzato; diciamolo con una parola sola: l’avete amato! Questa è la condizione fondamentale per comprenderlo bene e far sì che la sua applicazione sia un nuovo “avvento” per la Chiesa di Dio.

2. Per essere compreso, questo Codice deve essere studiato seriamente. Esso non è ciò che soprattutto fu il Codice del 1917: l’unificazione e la purificazione del diritto esistente. secondo gli intendimenti di quel Pastore incomparabile che fu San Pio X. Il codice del 1983, promulgato e mandato in vigore in quest’Anno Giubilare della Redenzione, è un Codice molto differente. Esso si inserisce, certo, nella tradizione ecclesiale, ma la vivifica con lo spirito e le norme conciliari. È il Codice del Concilio e, in questo senso, è l’“ultimo documento conciliare”, il che indubbiamente costituirà la sua forza e il suo valore, la sua unità e il suo irraggiamento.

Quando avremo davanti agli occhi le “Fontes novi Codicis” ci stupiremo e ci meraviglieremo di vedere dei testi canonici così densi e sicuri affondare le loro radici nella dottrina del Concilio e nell’esperienza che ne è seguita. Questo ci ha consentito di apprezzare meglio certe norme conciliari e di evitare gli abusi causati a volte da loro apparizioni azzardate o da false interpretazioni.

“Studium Codicis, Schola Concilii”! È proprio così che occorre vedere lo studio prolungato del Codice: la percezione delle connessioni che collegano i canoni tra loro, la comprensione dello spirito che li unifica, l’applicazione pastorale che deve farne attuazione sempre più fedele del Concilio, l’adattamento voluto dal Concilio ai Paesi, alle culture e alle situazioni differenti, la competenza riconosciuta nel Codice ai Vescovi diocesani e alle Conferenze episcopali sono un segno e una missione nuova, di cui tutto il Popolo di Dio prenderà coscienza a poco a poco.

Infatti questo Codice è il codice del Popolo di Dio, dove è stabilita la struttura della Chiesa, dove è facilitata l’apertura allo Spirito, dove è espressa la fedeltà ai doni e carismi diversi, dove è rafforzato l’autentico diritto, dove viene edificata l’unità nella comunione.

Alla sua redazione ha pure recato un contributo illuminante lo sforzo dei teologi, che hanno messo in evidenza, nel mistero della Chiesa contemplato con amore, le componenti essenziali volute da Cristo, Verbo Incarnato, suo fondatore e capo.

3. Paolo VI ha giustamente sottolineato che il diritto della Chiesa differisce da quello dello Stato (AAS 64 [1972] 781). Esso infatti è un diritto della grazia, se è un diritto di comunione. Amo citare Paolo VI, perché egli è stato per i canonisti un maestro di pensiero, un teologo del diritto; egli ha voluto che si riunissero di nuovo, nella contemplazione del mistero unico della Chiesa, scienza teologica e scienza canonistica (Communicationes, 5 [1973] 124), per approfondire in una visione d’ordine e di pace ciò che vuole essere l’amore di Dio e degli uomini in Gesù Cristo, in piena sottomissione allo Spirito che conduce alla verità tutta intera e dirige la Chiesa tramite quelli che ha voluto, nella successione apostolica, come giudici della fede, maestri della verità e Pastori della carità: “Iudices fidei, doctores veritatis, pastores caritatis”.

Sì, se il diritto della Chiesa risponde alle attese del Concilio, se stabilisce le strutture che il Concilio ha voluto o suggerito, se vuole fare della vita della Chiesa quella grande “communio”: “magna illa communio quam Ecclesia efficit” (AAS 69 [1977] 148), se contribuisce a che essa sia per tutti gli uomini segno e strumento di salvezza (Lumen Gentium, 1), se permette di realizzare l’opera della Redenzione in vista dell’unità del genere umano in Gesù Salvatore (Ivi), chi non vede il ruolo ecumenico che può avere un diritto canonico, che si situa nel mistero della Chiesa, si apre all’azione dello Spirito e unisce coloro che questo stesso Spirito raccoglie nella Chiesa per la gloria di Dio, suo Padre?

4. Desidero, qui, ringraziare i professori che hanno commentato il Codice e diretto i vostri lavori. Ringraziandoli, voglio esprimere altresì la riconoscenza a tutti coloro che, impegnandosi in una simile fatica, hanno studiato e spiegato il nuovo Codice. Il loro lavoro è eminentemente apostolico e pastorale; “edifica la Chiesa”, fa crescere in essa l’amore, perché la Chiesa si costruisca sempre meglio sulla Parola di Dio e sui Sacramenti della salvezza, sulla missione dei Pastori e sulla corresponsabilità dei fedeli, sulla collaborazione attiva e sull’azione comune di tutti i membri del Popolo di Dio.

Esprimendovi la mia gratitudine e la mia gioia, vi assicuro la mia stima e il mio incoraggiamento. Che Dio vi benedica sulla via del ritorno; egli vi consenta di portare alle vostre Chiese la conoscenza del Codice, la volontà di osservarlo, la sensibilità a questa Legge della Chiesa che è, per volontà di Cristo, legge di Dio e segno di rinnovamento.

A tutti la mia più cordiale benedizione apostolica!

 

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