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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI CAPPELLANI DELLE CARCERI D'ITALIA

Giovedì, 24 novembre 1983

 

1. Siate benvenuti, carissimi cappellani delle carceri d’Italia e voi, rappresentanti dei Paesi d’Europa e dell’America Latina!

Vi accolgo di gran cuore, lieto della vostra visita, che assume particolare significato nel clima dell’Anno Giubilare della Redenzione. Vi esprimo, col mio affetto, l’apprezzamento e la riconoscenza della Chiesa per l’apostolato che voi svolgete presso gli Istituti di prevenzione e di pena.

2. La vostra presenza richiama al mio spirito tutti coloro ai quali offrite il vostro servizio pastorale.

Accanto a voi vedo i fratelli che sono detenuti negli ambienti carcerari: coloro che sono in attesa di giudizio e coloro che scontano la pena; quelli che, contando i giorni, pregustano la gioia della liberazione, e gli altri che, invece, la scorgono lontana nel tempo o irrealizzabile. Vedo i giovani e gli anziani, gli uomini e le donne: penso a chi si trova alle soglie della reclusione e a chi vi ha contratto una certa familiarità. Leggo nei vostri occhi i riflessi di un mondo che soffre e in cui i sentimenti più diversi - angoscia, rimorso, anelito, delusione, ribellione, rimpianto - accompagnano il dramma della perduta libertà e il desiderio di riacquistare questo bene.

A tutti questi fratelli invio un commosso e affettuoso pensiero. Per quanto sta in me, ho il privilegio, nel nome di Cristo Redentore dell’uomo, di potermi rivolgere ai cuori e di offrire loro come balsamo e sorgente di serenità, anche nelle più gravi tribolazioni, la suprema certezza dell’amorevole e misericordiosa assistenza di Dio. Dio è infinitamente grande nell’amore. “Tale amore è capace di chinarsi su ogni figlio prodigo, su ogni miseria umana, sul peccato. Quando ciò avviene, colui che è oggetto della misericordia non si sente umiliato, ma come ritrovato e rivalutato” (Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia, 6).

3. La materna attenzione della Chiesa verso questi nostri fratelli è espressa, da lunga data, in una delle opere di misericordia, che ha fatto registrare splendidi episodi di carità: “Visitare i carcerati”. L’antico precetto urge oggi con nuove motivazioni, che la sensibilità della Chiesa ha accentuato nella riflessione del Concilio.

Cristo si identifica nel prigioniero: “Ero carcerato e mi avete visitato . . . Ogni volta che avete fatto questo ad uno dei miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me” (Mt 25, 36. 40). È una realtà, questa, che voi toccate con mano ogni giorno, ma di cui bisogna meditare continuamente l’inesauribile ricchezza. Voi vi trovate, per così dire, in prima linea, su questo fronte, e avete bisogno perciò di una formazione sempre rispondente alle esigenze spirituali, morali, giuridiche, psicologiche del mondo di oggi. Di qui l’importanza del vostro convegno di aggiornamento, in cui avete riflettuto sulla necessità di promuovere i valori dell’uomo in qualunque situazione egli venga a trovarsi.

Gli ordinamenti giuridici della vita carceraria si ispirano giustamente oggi a quella concezione, secondo cui la pena deve essere rivolta ad assicurare la redenzione del colpevole e la sua reintegrazione attiva nel tessuto sociale, oltre che la restaurazione dell’ordine violato.

L’uomo conserva integra la sua dignità di persona, che per natura sua è inalienabile, anche in stato di colpevolezza. Le restrizioni delle libertà personali trovano in quella dignità un limite invalicabile. E la società, quanto più è sollecita di garantire i diritti dell’uomo, tanto più si fa consapevole dello spazio e dei mezzi di cui dispone per difendersi dalle forze delinquenziali. La dignità della persona umana rimane sempre il fondamentale principio orientatore.

4. Nel contesto dell’Anno Giubilare della Redenzione, la missione sacerdotale assume un risalto di grande valore. Si tratta infatti di applicare i tesori della misericordia di Dio per la rigenerazione delle anime soprattutto mediante il sacramento della Penitenza, per la remissione della colpa, e mediante l’acquisto dell’Indulgenza, per la remissione spirituale della pena.

L’Anno Santo è una grazia particolarmente grande per quei vostri fedeli che stanno scontando sanzioni ad essi inflitte dalla giustizia umana.

La certezza della misericordia e del perdono di Dio avvalora i germi di bontà e di onestà, che non possono essere totalmente spenti in nessun uomo.

La vostra azione amorevole e delicata, sollecita di vincere la diffidenza e di guadagnare la fiducia anche quando la solitudine morale e forse la ribellione hanno eretto barriere impenetrabili, trova l’aiuto determinante nella grazia propria di ogni Sacramento della religione. Essa può restituire ad ogni coscienza, col perdono di Dio, la serenità e la pace interiore.

Possa la grazia dell’Anno Santo diffondere copiosamente nei luoghi di reclusione e di pena quest’ondata rigeneratrice e pacificante!

Nell’offrirvi queste riflessioni, vi rinnovo, carissimi Confratelli, l’espressione dei più cordiali sentimenti, mentre imparto a voi e a tutti gli ospiti delle case di reclusione e di pena cui prestate il vostro zelante ministero, la mia affettuosa benedizione apostolica, propiziatrice delle grazie e delle consolazioni celesti.

 

© Copyright 1983 - Libreria Editrice Vaticana

 



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