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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
NEL XXV DELLA MORTE DI PIO XII
E DELL'ELEZIONE DI GIOVANNI XXIII

Sabato, 8 ottobre 1983

 

Signori Cardinali! Confratelli nell’Episcopato!

1. Ringrazio sinceramente i Cardinali Giuseppe Siri e Franz König, che con tanta efficacia hanno illustrato e presentato alla nostra considerazione rispettivamente i Papi Pio XII e Giovanni XXIII di venerata memoria.

Il mio ringraziamento si rivolge anche agli altri Cardinali, ai Vescovi e alle personalità, che con la loro presenza non hanno semplicemente voluto ricordare, ma onorare questi due grandi Pontefici, i quali, con la loro azione e il loro insegnamento, hanno ben meritato non solo l’amore della Chiesa, ma dell’umanità. La storia, serena e oggettiva, potrà e dovrà testimoniare e dimostrare, ancor più e ancor meglio di quanto non abbia potuto fare fino ad oggi, la loro grandezza spirituale e la loro dimensione universale.

2. Pio XII - Eugenio Pacelli, Papa per diciannove anni - si erge come uno strenuo difensore e appassionato servitore della pace: nel suo primo messaggio del 3 marzo, all’indomani della sua elezione, dalla Cappella Sistina egli rivolgeva ai figli della Chiesa e a tutti gli uomini l’invito e l’esortazione alla pace. Scrisse e operò instancabilmente perché la guerra - la terribile seconda guerra mondiale - non scoppiasse; poi fece di tutto per ridurre gli effetti deleteri e tragici dell’immane conflitto, che si allargava sempre più e mieteva milioni di vittime; si adoperò con tutti i mezzi per affrettare la pace e per lenire le sofferenze del duro dopoguerra. “Con la pace nulla è perduto, tutto lo può essere con la guerra!”; questa sua angosciata esclamazione, quasi gridata alla vigilia del disastro, non fu purtroppo ascoltata, e fu una profezia!

Nei suoi diciannove Discorsi natalizi, che il suo successore definì “monumento della sua sapienza e del suo apostolico fervore”, Pio XII trattò della pace come armonia di giustizia e di carità; pace delle coscienze; pace delle famiglie; pace sociale; pace internazionale. Papa Paolo VI, che per anni aveva quotidianamente lavorato al suo fianco, poté dire di lui: “Lo dobbiamo ricordare. Pio XII, come uomo forte ed amoroso, per la difesa della giustizia e della pace, sollecito per ogni umana sventura, resa multiforme e immensa specialmente nel periodo di guerra; egli era del tutto alieno da atteggiamenti di consapevole omissione di qualche suo possibile intervento ogni qualvolta fossero in pericolo i valori supremi della vita e della libertà dell’uomo; anzi egli ha osato sempre tentare, in circostanze concrete e difficili, quanto era in suo potere per evitare ogni gesto disumano e ingiusto” (Insegnamenti di Paolo VI, XII [1974] 222-223).

Noi vogliamo anche ricordare, dell’indimenticabile Papa, il luminoso Magistero in campo biblico, teologico, morale, sociale; la nuova traduzione del Salterio; gli scavi presso la tomba di san Pietro; l’indizione e la realizzazione dell’Anno Santo del 1950, che portò a Roma milioni di pellegrini assetati di Dio; la definizione solenne del dogma dell’Assunzione di Maria santissima, il 1° novembre dello stesso Anno Santo del 1950.

3. A lui successe Giovanni XXIII, Angelo Giuseppe Roncalli. Poco più di quattro anni di pontificato, ma contrassegnato dalla sua personalità di Supremo Pastore mite, sereno, lungimirante, che ha lasciato una traccia indelebile nella storia della Chiesa. Dopo qualche mese dalla sua elezione, il 25 gennaio 1959, a San Paolo fuori le Mura dava l’annuncio del Concilio Ecumenico, del Sinodo romano e della Revisione del Codice di Diritto canonico per la Chiesa Latina. egli poté vedere la conclusione del Sinodo romano, diede inizio e seguì le prime fasi del Concilio e della riforma giuridica. Ma questi due eventi ecclesiali portarono senz’altro la sua impronta profetica e rimarranno legati al suo nome e alla sua intuizione, che intravedeva la necessità del “rinnovamento” interiore e dell’“aggiornamento” di alcune strutture della Chiesa pellegrina, che deve camminare e dialogare con gli uomini del suo tempo.

Del fecondo Magistero di Giovanni XXIII restarono due Documenti, che suscitarono, alla loro pubblicazione, una profonda eco ed emozione in tutto il mondo: l’enciclica Mater et Magistra del 15 maggio 1961, per il 70° anniversario della Rerum Novarum di Papa Leone XIII, e la Pacem in Terris, dell’11 aprile 1963, quasi nell’imminenza della sua dipartita. “La pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio”, era il tema grandioso di quel Testamento spirituale, lasciato dal grande cuore di Giovanni XXIII a tutta l’umanità, in sintonia e coerenza con l’insegnamento e con l’impegno del suo predecessore Pio XII.

Non posso non sottolineare l’intenso impulso che Giovanni XXIII ha dato, con la sua personalità, con la sua opera e con il suo magistero, all’ecumenismo. Nel primo solenne annuncio del Concilio, egli poneva l’unione dei cristiani come uno dei grandi fini dell’Assise ecumenica; le Comunità non cattoliche venivano invitate a seguirlo “in questa ricerca di unità e di grazia” (Discorsi, Messaggi, Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, I, 133). Da allora parlò costantemente di tale finalità del Concilio, invitò continuamente alla preghiera, all’impegno, all’azione, alla vicendevole comprensione; ebbe incontri con personalità di Confessioni e Comunioni cristiane. Nella fase preparatoria del Concilio col motu proprio Superno Dei, del 5 giugno 1960, istituiva, oltre alle varie Commissioni, uno specifico Segretariato al fine di manifestare l’amore e la benevolenza della Sede Apostolica verso i cristiani non cattolici, perché potessero seguire i lavori del Concilio e trovare più facilmente la via per raggiungere quell’unità invocata da Gesù. Nasceva così il Segretariato per l’unione dei cristiani.

Per tale unione Giovanni XXIII offriva la sua vita al Signore: “Offro la mia vita per la Chiesa, la continuazione del Concilio Ecumenico, la pace del mondo, l’unione dei cristiani . . . La mia giornata terrena finisce; ma Cristo vive e la Chiesa continua il compito suo; le anime, le anime: «ut unum sint, ut unum sint» . . .” (Ivi, V [1962] 618-619). Furono le sue ultime parole, pronunciate su questa terra.

Noi rendiamo oggi il nostro doveroso e umile ringraziamento alla Trinità Santissima, per aver dato alla Chiesa questi due Papi, nei quali essa con legittima fierezza può guardare come a sicure guide ed esempi di fede indomita e di carità feconda.

 

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