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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AGLI ORDINARI MILITARI PARTECIPANTI A ROMA
AL LORO CONVEGNO INTERNAZIONALE

Lunedì, 9 aprile 1984

 

Carissimi fratelli.

1. È per me motivo di profonda letizia, nel commosso ricordo del Giubileo dei militari, accogliere voi, venerati confratelli nell’episcopato, che nei vostri Paesi portate la responsabilità della pastorale castrense, e accogliere pure alcuni dei sacerdoti che più da vicino collaborano con voi nell’esercizio di tale ministero.

Nell’esprimere a tutti il mio cordiale saluto, ringrazio il cardinale Sebastiano Baggio per le amabili espressioni che anche a nome vostro mi ha indirizzato, e mi compiaccio sentitamente per l’assistenza che la Sacra congregazione per i vescovi ha assicurato per l’attuazione di questa importante iniziativa.

2. Il vostro convegno, a quattro anni di distanza dal precedente assume un’importanza particolare per il fatto che si colloca in una nuova stagione legislativa della Chiesa e viene celebrato col fervore che si addice a questo Giubileo straordinario della Redenzione ormai prossimo al suo epilogo e quindi al momento culminante della sua soprannaturale fecondità.

Dal programma dei lavori, frutto di lunga e accurata preparazione, ho rilevato con soddisfazione che vi proponete di delineare le traiettorie di un comune cammino della pastorale a favore dei militari, approfondendo lo studio di problemi emergenti e della stessa natura dei vicariati, in sintonia con le direttive del Concilio Vaticano II e gli orientamenti del Codice di diritto canonico, recentemente entrato in vigore.

Esprimo volentieri il mio cordiale incoraggiamento per l’attuazione di questi vostri obiettivi. La Sede Apostolica non mancherà di valutare con la dovuta cura le riflessioni conclusive che scaturiranno dalle vostre analisi e che gioveranno ad adeguare per quanto possibile gli strumenti istituzionali alle incombenze della missione a voi affidata.

3. Come dicevo in occasione del primo convegno mondiale, la vostra ragion d’essere è l’assistenza spirituale ai militari. Un campo immenso! Un compito complesso! (cf. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III/2 [1980] 818).

Volendo ora limitarmi soltanto a pochi punti, il mio pensiero si volge anzitutto alle persone e all’opera dei cappellani, collaboratori propri dell’ordine episcopale, tanto più necessari e apprezzati quanto più è vasto e complesso l’orizzonte di questo peculiare ministero. Questi, cari presbiteri, appartengano essi al clero diocesano o a quello religioso, sono e devono sempre essere l’oggetto primario delle vostre speciali sollecitudini.

L’indole personale della sacra potestà dei vicari castrensi e il fatto che essa si esercita insieme con quella degli ordinari diocesani, si accompagna spesso a problemi di vario genere. Ma ciò non può frapporre ostacoli a quell’amore, che è presupposto primordiale nei rapporti del vescovo con i suoi sacerdoti; tale amore anzi trova motivazioni ed accentuazioni nuove nella peculiarità della loro condizione. Da un tale amore intenso e profondo, innestato sulla comune radice del sacerdozio, traggono rigenerante alimento l’esercizio dei doveri del vescovo e ogni sua generosa attenzione affinché il cappellano sia messo in grado di svolgere adeguatamente il suo gravoso e nobile servizio.

Come ben sapete, ciò comporta da parte vostra la costante premura per la vita interiore dei presbiteri, la piena disponibilità all’ascolto e al dialogo, l’apertura del cuore alle loro difficoltà personali e ambientali, l’incessante incremento alla fraternità presbiteriale ad ogni livello. Il ministero della paternità sacerdotale non può conoscere limiti né di intensità né di estensione.

4. Un campo per molti aspetti privilegiato della vostra pastorale è quello giovanile.

Tutto l’insieme delle nuove generazioni di una nazione viene a contatto con le realtà spirituali grazie alla presenza della Chiesa nel mondo militare.

Nella comune matrice giovanile, occorre tuttavia riscontrare le diversità. Diverse sono le esperienze e i ceti da cui i giovani provengono; diversi i livelli culturale, spirituale, morale; diversi gli orientamenti del loro domani; diversi anche gli atteggiamenti di fronte agli obblighi del servizio in uniforme. Eppure molti giovani trovano proprio in questa parentesi della loro vita l’occasione per salutari riflessioni e lo stimolo per accostarsi o riaccostarsi alla religione e alla sua pratica.

Il mio predecessore Giovanni XXIII considerò il servizio militare, di cui aveva fatto personale esperienza, un’epoca di spirituale arricchimento, e dichiarò di averne tratto giovamento per la sua vocazione al sacerdozio.

Spetta alla lungimirante sapienza dei pastori scoprire le occasioni per svolgere un’assidua azione catechetica, evangelizzatrice, illuminatrice, mediante il contatto individuale con le anime e appropriate iniziative comunitarie convenientemente diversificate.

5. Un altro tema di grande interesse, cui desidero fare breve riferimento, è l’apostolato laicale.

La vita militare presenta proprie articolazioni, con esigenze e ritmi che spesso - almeno sul piano organizzativo - non facilitano l’esercizio dell’apostolato. Queste circostanze non devono però indurre allo scoraggiamento né tanto meno alla rinuncia.

Tra i grandi obiettivi additati dal Concilio a tutti i membri del popolo di Dio, sulla base della consacrazione battesimale, c’è quello che affida ai fedeli laici l’opera della “consecratio mundi”, la quale trova una singolare applicazione del concetto di “milizia”. I cristiani militanti nel servire la patria, possono e devono sentirsi militanti del regno di Dio.

Suscitare e poi tenere sempre desto in loro l’ardore apostolico e missionario vuol dire alimentare la vitalità della vocazione cristiana e la pienezza del loro senso ecclesiale.

La pastorale a favore dei militari, come ogni pastorale, non può essere l’impegno di soli presbiteri, come non potrebbe esserlo di soli laici. La partecipazione dei laici, intesa come collaborazione attiva e responsabile, impostata con chiarezza e senza sovrapposizione di ruoli, è destinata a rivelarsi un contributo prezioso e, nel suo genere, insostituibile, alla diffusione del fermento cristiano nella vita militare.

6. Carissimi fratelli!

Conformemente alla concezione evangelica dell’amor di patria e al genuino senso patriottico degli adempimenti militari, l’assistenza religiosa specialmente ai giovani di leva si caratterizza come strumento particolarmente valido per un’efficace educazione alla pace secondo i principi e i metodi che il magistero pontificio è andato indicando in questi ultimi anni.

Possa l’arduo e zelante ministero vostro e dei vostri collaboratori sacerdoti e laici, con la grazia dell’Anno Santo che sta per concludersi, essere fonte di un generale rinnovamento dei cuori, presupposto di quella pace universale, alla quale tutto il mondo aspira.

Con la mia affettuosa benedizione.

 

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