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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI TEOLOGI PARTECIPANTI AL CONGRESSO INTERNAZIONALE SUL TEMA «SOTERIOLOGIA CRISTIANA E CULTURE ODIERNE»

Giovedì, 9 febbraio 1984

 

Cari fratelli.

1. Nel porgervi il mio cordiale benvenuto e affettuoso saluto, voglio esprimere il mio apprezzamento per i lavori del vostro Congresso internazionale, ringraziando i padri Passionisti per avere promosso questa opportuna iniziativa nel corso dell’Anno Giubilare della Redenzione.

Mi compiaccio vivamente per il tema scelto: “La sapienza della croce oggi”, soffermandovi in particolare sulle parole di san Pietro riferite dagli Atti degli Apostoli: “In nessun altro c’è salvezza, se non in Gesù Cristo” (At 4, 12).

Con tali parole, Pietro davanti al Sinedrio dichiarava quanto oggi la Chiesa, al termine del secondo millennio della Redenzione, ripete alla società contemporanea, compiendo il sublime dovere di animatrice del mondo (Apostolicam actuositatem, 5; cf. Ep. Ad Diognetum, 6,1: PG 2, 1173), e “sacramento di salvezza” (Gaudium et spes, 43; cf. Lumen gentium, 11): quella salvezza che è operata da chi è venuto per dare la vita e darla in abbondanza (Gv 10, 10), attingendola dalla propria inesauribile pienezza (Gv 10, 16), poiché appunto per lui tutto è stato creato, tutto in lui sussiste, mentre egli su tutto afferma un primato, che ne fa il Mediatore per eccellenza (Gal 3, 20; Col 1, 16-18), Nunzio di pace (Ef 2, 17), l’unico Re (Mt 2, 2; 21, 5; 27, 37; Mc 15, 26; Gv 18, 37; 19, 14.19) e Signore (Mc 10, 25; Gv 13, 13; 20, 28), Pastore (Gv 10, 11.14.16) e Maestro (Mt 23, 8; Gv 13, 14), Vita e Risurrezione (Gv 11, 25).

La salvezza che egli offre è dunque rispetto e difesa, ricupero e potenziamento di tutti i valori, che nella persona umana trascendono ogni limite della creazione visibile, e nel Cristo partecipano dell’infinita dignità del Verbo nel più sublime “ritorno” dell’intera creazione al “seno del Padre”.

2. Ovviamente, la “salvezza” nel mistero cristiano, suppone una caduta - il peccato originale - che ha avuto la gravità di essere “colpa” intesa come rifiuto di quanto Dio ha donato all’uomo facendone il signore del creato, amico degli angeli, e destinato a un’eterna beatitudine (cf. Gal 4, 7; Rm 8, 17; Eb 2, 6-8). Ora, nel Cristo, Dio Padre ha dato se stesso e in lui tutto ha redento: “Egli non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3, 17).

Dico “il mondo”, tutto il mondo: dalle più umili strutture della materia ai più radiosi vertici dello spirito; poli estremi tra cui si apre l’area sconfinata d’influenza del Verbo che crea e redime, superando in sé ogni dicotomia, annullando ogni distanza, riconciliando “nel sangue della sua croce” cielo e terra (Col 1, 20): la mediazione redentrice del Figlio è la più eccelsa celebrazione ed elevazione dell’opera creatrice del Padre.

Questo è il fondamento dell’unico “umanesimo” possibile, perché respinge sia il pessimismo d’ogni indirizzo manicheo, sia l’ottimismo d’ogni concezione immanentistica, prima responsabile delle tragedie del mondo moderno.

3. “In realtà - come dice il Concilio Vaticano II - solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo . . . Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (Gaudium et spes, 22). Perciò l’uomo raggiunge il suo fine sovraumano soltanto se, superati i limiti d’ogni naturale “modo” d’essere e pensare, di amare e produrre, si trasfigura nel Cristo e s’impegna a svolgere le sue inesauribili virtualità di sviluppo: chi non è con lui, è contro se stesso, perché “in nessun altro c’è salvezza” (At 4, 12). Ciò significa che il vero e pieno umanesimo è solamente quello cristiano.

Nella prospettiva di raggiungere tale umanesimo soprannaturale, il cristiano deve poter rispondere costruttivamente alle istanze profonde della società e della cultura contemporanea, dimostrando nel contempo la falsità d’ogni soluzione incompatibile con l’unica Parola risolutiva e definitiva che è Cristo. “Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede” (1 Gv 5, 4).

Tale primato della fede fonda la garanzia del vero successo: “Abbiate fiducia: io ho vinto il mondo!” assicura il Maestro (Gv 16, 33). In lui infatti troviamo “corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2, 9), e quindi quel bene che è incomparabilmente più forte del male, come l’essere emerge sul nulla: “Virtuosius est bonum in bonitate quam in malitia malum”, dice l’Aquinate (San Tommaso, Summa contra Gentiles, III, c.71).

4. Ciò comporta che l’umanesimo cristiano è fondato su un ottimismo critico, non ingenuo . . .; è degno degli eroi, non adatto ai mediocri; proiettato verso il futuro, non concluso nel passato, né risolto in un presente inevitabilmente labile, quasi illusorio. È l’ottimismo ispirato a una concezione realistica e finalistica della storia, non vanificato nella prospettiva di un approdo irraggiungibile . . . Esso si fonda sul Cristo, “alfa ed omega, primo e ultimo, principio e fine” (Ap 22, 13), che è “lo stesso ieri, oggi, sempre” (Eb 13, 8); dunque, “colui che è, che era e che viene” (Ap 1, 8).

Il primato, in questo umanesimo, spetta sempre alla trascendenza, la sola che apra un varco allo slancio della vita, orientandone i processi necessariamente penosi come ogni vera conquista, drammatici come ogni sforzo di ricupero e di riconciliazione con sé e col prossimo. Stando al linguaggio biblico, si tratta di “rinascere” (Gv 3, 3) e, addirittura, di “risorgere” (Col 3, 1). Perciò bisogna innanzitutto morire (Gv 12, 24; cf. Mt 10, 39; Lc 9, 25; Mc 8, 35-37), essere disposti a “distaccarsi” da tutto e da tutti (cf. Mt 4, 20; 19, 27.29), prendere la propria croce (Mt 10, 38; Lc 9, 23), trafiggervi la carne e le sue concupiscenze (cf. Gal 5, 24), spogliarsi dell’uomo vecchio per rivestire il nuovo, finché Cristo non sia tutto in tutti (cf. Col 3, 9-11). Potremo partecipare alla sua gloria, soltanto se con lui avremo sofferto (cf. Rm 8, 17; Fil 3, 10-11; 1 Pt 4, 13). Eletti saranno soltanto quelli che sono passati attraverso “la grande tribolazione” e hanno “lavato le proprie vesti nel sangue dell’Agnello” (Ap 7, 14).

5. L’ascesi dunque s’impone come fondamentale dovere di un’espiazione volta a redimere; è richiesta da una giustizia che si trasforma in misericordia (cf. Rm 5, 15-20; cf. S. Tommaso, Summa Theologiae, III, q. 46, a. 1, 3um; ivi, q. 19, a 3, c.; Sent. III, d. 18, a. 6, sol. 1, 1um; ivi, d. 20, a. 1, sol. 2 et 3um; Comp. Th., c. 201; De rationibus fidei, c. 5 ). Da qui l’apparente paradosso della “morte” che genera la “vita”, e quello “scandalo della croce” (Gal 5, 11) che, simbolo della rinunzia cristiana, è irrisa dal mondo, incapace di accettare l’uomo, con quella sua caratteristica apertura verso l’infinito, che lo rende insofferente del limitato e del relativo, disponendolo ad accettare il piano della salvezza.

Oggi l’uomo ignora o esclude una “redenzione” perché ha perduto la coscienza del peccato e delle sue conseguenze e rifiuta - nella sua chiusura alla trascendenza - ogni ipotetica elevazione che sottenda il restauro della sua natura ed esiga il superamento dei suoi limiti, ciò che peraltro è possibile solo attraverso quella “morte” che, nel Cristo, tende a trasfigurarlo fino a farne una “nuova creatura” (2 Cor 5, 17; cf. Ef 4, 24).

Purtroppo, una certa concezione antropocentrica rischia di render vana la croce di Cristo (cf. 1 Cor 1, 17). Si pretende di sostituirla o di sopprimerla, nella presunzione che, così facendo, si renda più credibile il cristianesimo; il quale invece proprio da essa trae il vigore che lo innalza al di sopra di tutte le creazioni della cultura, dominando l’intero ciclo della storia. La croce è il prodigio di una “stoltezza di Dio, più sapiente degli uomini” e di una sua debolezza più forte di tutti i loro sogni di potenza (cf. 1 Cor 1, 18-25). I “nemici della croce di Cristo” (Fil 3, 18) ignorano che per essa Gesù “è diventato sapienza, giustizia, santificazione e redenzione” (1 Cor 1, 30).

6. Davanti a simili constatazioni, si può provare uno smarrimento, che rischia di invadere l’anima e di diventare angoscia; esso, invece, nel credente, deve tradursi nel grido fiducioso, rivolto al Maestro durante la tempesta: “Salvaci, Signore, siamo perduti!” (Mt 8, 25), e nell’accorata protesta di Pietro: “Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna!” (Gv 6, 68): quella “vita eterna” che è luce e forza di una Verità che le tenebre non potranno mai sopraffare (cf. Gv 1, 4-5), perché assoluta e liberatrice (cf. Gv 8, 32); Verità fatta vita e testimonianza (Gv 3, 21; 1 Gv 1, 6), capace di sfidare anche la morte, come ha sempre fatto la Chiesa in tutti i martiri, felici di compiere quel che manca alla Passione redentrice (cf. Col 1, 24). Non c’è altro che possa condurre verso la “libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8, 21), un cammino che impone di valorizzare tutto il bene, ascoltare ogni voce, convogliare tutte le energie, e così guidare la storia in vista della speranza che ci è riservata nei cieli (cf. Col 1, 5). È nella speranza infatti che siamo stati salvati (cf. Rm 8, 24): quella che “non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per lo Spirito che ci è stato dato” (Rm 5, 5) e che, liberandoci dalla schiavitù della carne e della legge (cf. Gal 5, 16-25), conferma la nostra adozione di figli nel Figlio (cf. Rm 8, 15), per il quale possiamo apprezzare e godere di “tutto ciò ch’è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, virtuoso, degno di lode” (Fil 4, 8).

“Esaltate l’uomo: - ebbe a dire il mio predecessore Paolo VI - metterete in evidenza maggiore la sua deficienza, la sua incompletezza, la sua segreta necessità di essere salvato. Diciamo subito e diciamo tutto: la sua necessità di un salvatore; uomo per unirsi agli uomini; ma nello stesso tempo Dio per portare l’uomo all’altezza a cui la sua primitiva e sempre immanente concezione lo destina: l’altezza divina” (Pauli VI, Nuntius die natali Christi datus, die 25 dec. 1973: Insegnamenti di Paolo VI, XI [1973] 1243).

Il mio fervido augurio è che i lavori del vostro Congresso possano costituire un arricchimento per il vostro spirito, tale da rendervi annunciatori del Salvatore più efficaci e più convinti, auspice la sua santissima Madre, e con la mia affettuosa benedizione.



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