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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLA CONFERENZA REGIONALE
DI CINA IN TAIWAN

Martedì, 28 febbraio 1984

 

Venerabili fratelli nell’episcopato.

È una vera gioia darvi il benvenuto e, attraverso di voi, poter rivolgere il mio saluto affettuoso ai vostri collaboratori nell’apostolato, alle famiglie religiose che operano tra di voi, ai fedeli affidati alla vostra cura pastorale e a tutti i vostri concittadini.

Il nostro incontro di oggi non è un semplice evento momentaneo, voi siete sempre presenti nel cuore e nella preghiera del Papa, proprio come voi rimanete uniti a lui, come mi è noto, attraverso quella solidarietà spirituale che fa della comunione col successore di Pietro un criterio di appartenenza alla Chiesa cattolica e che continua la tradizione dell’“antichissima disciplina nella quale i vescovi di tutto il mondo comunicavano tra loro e col vescovo di Roma nel vincolo dell’unità, della carità e della pace” (Lumen Gentium, 22).

Qui in Vaticano, durante l’Anno Santo della Redenzione, siete venuti a trarre rinnovata forza presso le tombe degli apostoli Pietro e Paolo, nella città stessa nella quale essi suggellarono la loro testimonianza col martirio, per proclamare al mondo ostile la loro fede in Gesù Cristo, il Redentore dell’uomo.

1. La vostra venuta fa parte della conclusione delle celebrazioni tenute a Taiwan l’anno scorso per commemorare il quarto centenario dell’arrivo in Cina di padre Matteo Ricci. So, inoltre, che state facendo preparativi per il 125° anniversario dell’evangelizzazione di Taiwan. È un’occasione per ricordare e per ripetere a tutta la Chiesa che vivere la fede presuppone sempre un distacco, un mettere in secondo piano i propri interessi e una testimonianza personale. Voi e i vostri fedeli questo lo sapete bene, poiché avete dovuto affrontare molte prove al fine di preservare intatto quel tesoro che è la vostra fede in Gesù Cristo, “lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb 13, 8).

Questa fede che non avete voluto tenere per voi stessi, perché in se stessa, come vi è stato insegnato dai valorosi missionari che vennero da voi, è fatta per essere comunicata e condivisa. A questo proposito desidero esprimervi la mia soddisfazione per il modo in cui siete riusciti ad orientare queste celebrazioni: non un volgersi nostalgicamente al passato, ma un impegno, una determinazione a proclamare, in modo sempre più coerente, Cristo e la sua Chiesa al popolo cinese d’oggi.

2. Voi siete infatti cinesi e orgogliosi d’esserlo. Appartenete a un grande popolo, che costituisce un quarto dell’umanità. Un popolo grande non solo per il suo numero ma soprattutto in ragione della sua cultura e dei suoi valori. Un popolo industrioso, anche, la cui influenza sulla pace e il benessere dell’umanità oggi e domani non può essere ignorata.

La Chiesa ha qualcosa da partecipare a questo popolo a riguardo di Dio e dell’uomo. Essa desidera offrire a questo popolo la proclamazione della verità che ha ricevuto dagli Apostoli: “Uno solo è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Tm 2, 4-5).

In una Lettera Pastorale per l’anno 1981, voi stessi avete scritto: “Missionari lungimiranti . . . hanno considerato la proclamazione del Vangelo al popolo cinese come il loro traguardo più ambito. Essi sono venuti in Cina . . . col proposito di proclamare la loro fede cristiana. Noi, cinesi d’oggi, dobbiamo a nostra volta chiederci che cosa abbiamo fatto per la proclamazione del Vangelo al nostro popolo e che cosa possiamo fare nel momento presente della storia. Dobbiamo cercare di studiare accuratamente quali sono gli ostacoli principali alla nostra proclamazione nella Cina d’oggi. Dobbiamo anche studiare in quale modo efficace possiamo portare il Vangelo al nostro popolo” (Conferentiae Episcopalis Sinensis, Litterae Pastorales IV expleto saeculo a petita terra Sinensium a Matthaeo Ricci, S.I., die 3 dec. 1981).

3. Sì, cari fratelli, come avete chiaramente capito, la verità di Cristo che voi dovete proclamare raggiunge le persone così come esse sono, situate nel tempo e nello spazio. A voi, amati figli della nazione cinese, è stato affidato il compito di trasmettere il messaggio di fede in termini che possono essere capiti dai vostri compatrioti vicini o lontani.

Per la Chiesa questo problema non è nuovo. Fin dalle sue origini, ha dovuto saper congiungere la sua fede e la formulazione di essa con la cultura circostante. E nel far ciò, l’ha rispettata traendo da essa tutti i suoi migliori elementi. I missionari, dei quali celebrate l’opera apostolica tra di voi, hanno fatto proprio questo. Hanno assimilato i vostri tesori e vi hanno dato i loro, cosicché fosse conosciuto e amato l’unico tesoro che può essere posseduto quaggiù: Gesù Cristo.

Oggi la fiaccola è passata nelle vostre mani. Dovete essere presenti al cuore di quell’insieme di valori che costituisce la cultura di un popolo, i valori nei quali un popolo si riconosce, oltre e al di sopra delle vicissitudini e le momentanee separazioni della storia. E la Chiesa - come ho avuto occasione di dire a conclusione del congresso internazionale dedicato a Matteo Ricci nel 1982 - “sensibile alle doti spirituali di ogni popolo, non può non guardare al popolo cinese - il più numeroso della terra - come a una grande realtà unitaria, crogiolo di elevate tradizioni e di fermenti vitali e quindi, nello stesso tempo, come a una grande e promettente speranza” (Ioannis Pauli PP. II, Allocutio ad eos qui conventui in aedibus Pontificiae Universitatis Gregorianae habito interfuere: quarto expleto saeculo a petita terra Sinensium a Matthaeo Ricci, S.I., 7, die 25 oct. 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V/3 [1982] 927s.).

4. La Chiesa che vive a Taiwan è più particolarmente aperta a questa realtà. Non vive ripiegata su se stessa, rimpiangendo il passato o piena di paura. Essa prega, si santifica e lavora “perché la parola di Dio si diffonda e sia glorificata” (2 Tm 3, 1). Dalla lontanissima epoca della dinastia dei Tang (tra il 617 e il 917) che è di solito considerato il periodo in cui cominciò l’evangelizzazione della terra cinese, fino al 1984, la parola di Cristo, il suo messaggio e la sua Chiesa non hanno perso niente del loro potere creativo, della loro luce e novità, perché Gesù Cristo è con noi “fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20) e questa parola riconciliante ha preso la forma di una croce che lega tra loro le persone più diverse. Dobbiamo sempre imparare il loro linguaggio, il loro modo di parlare e le loro usanze, per parlare loro del piano di Dio Padre col quale Gesù, mediante il suo sacrificio, ci ha espresso e mostrato il suo amore.

È a voi, cattolici di Taiwan e della diaspora, che è affidato questo magnifico compito di essere una Chiesa-ponte per i vostri compatrioti del continente. Là altri fratelli e sorelle cristiani prendono la consegna, per il momento nascosti come seme nella terra. Ma tutti questi sforzi, tutti questi sacrifici non possono rimanere senza frutto: verrà il giorno in cui Gesù potrà essere proclamato, trasmesso e celebrato in modo più visibile nella cultura, nelle aspettative e aspirazioni di tutta la nazione cinese che la Chiesa rispetta e ama profondamente.

5. Cari fratelli, voglio incoraggiare voi e il vostro popolo fedele a perseverare, pregare e soffrire per essere sempre più aperti al piano di Dio che nonostante tutto si svolge nella storia di ogni popolo: “Non temere . . . lo Spirito Santo scenderà su di te . . . Nulla è impossibile a Dio” (Lc 1, 30-38), come disse l’angelo a Maria.

Pensando a voi, il Papa desidera dirvi, con tutta la Chiesa che non vi dimentica e che conosce le vostre vicissitudini, ciò che l’Apostolo ha scritto ai cristiani di Colossi: “Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, nelle nostre preghiere per voi, per le notizie ricevute circa la vostra fede in Gesù Cristo e la carità che avete verso tutti i santi” (Col 1, 3-4).

Che il nostro zelo di raggiungere l’uomo, ogni uomo e tutto l’uomo, ci aiuti anche a scoprire l’amore vittorioso di Cristo nelle contraddizioni stesse della storia, una storia nella quale Dio avanza attraverso ciò che noi siamo tentati di considerare, umanamente parlando, ostacolo e impossibilità.

“Siate forti, riprendete coraggio, o voi tutti che sperate nel Signore” (Sal 31, 25). Con lo sguardo rivolto al futuro, confortati dalla testimonianza di coloro che sono venuti prima di voi e sostenuti dalla preghiera dell’intera Chiesa, fate splendere la luce del Vangelo mediante la devozione e la santità delle vostre comunità.

È anche un piacere per me salutare stamane i membri della comunità cinese che vive a Roma e che ha voluto accompagnare i loro vescovi in questa visita così significativa. Vi incoraggio tutti ad impegnarvi sempre più pienamente per Gesù Cristo. Vivendo con rettitudine la vostra vita quotidiana, siate testimoni del Vangelo davanti al mondo.

Col cuore colmo di affetto e di preghiera imparto a tutti voi la mia apostolica benedizione.



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