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VISITA PASTORALE IN LOMBARDIA E IN PIEMONTE

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI FEDELI DI VARALLO

Sacro Monte di Varallo (Vercelli) - Sabato, 3 novembre 1984

 

Carissimi fratelli e sorelle di Varallo e dell’intera diocesi di Novara!

1. Con intensa commozione ho percorso alcune tappe dell’Itinerario della croce su questo Sacro Monte di Varallo. Nel mio pellegrinaggio sulle orme di san Carlo, questo che sto vivendo, insieme con voi, è un momento particolarmente denso di significato. Sento vibrare qui lo spirito del grande pastore della Chiesa ambrosiana in quello che fu e rimane l’aspetto centrale della sua spiritualità e del suo ministero: il culto per la passione e morte del Signore.

San Carlo era particolarmente attratto dai misteri della vita sofferente del Cristo. Ne attingeva sprone alle mortificazioni a cui assoggettava il proprio corpo, e insieme quel vigore di fede che sapeva inculcare negli altri. Ben possiamo dire di lui che ha applicato alla lettera la fondamentale parola del divino Maestro: “Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16, 24).

In molti modi san Carlo ha dimostrato la sua profonda partecipazione alla vita dolorosa del Figlio di Dio. In Milano prediligeva la chiesa del Santo Sepolcro. Quando non si trovava lontano per le sue innumerevoli visite pastorali, vi si recava ogni mercoledì e venerdì pomeriggio, e là incantava i fedeli con i sermoni sulla Via Crucis.

Nutriva inoltre grande devozione per la reliquia del Santo Chiodo, che portò processionalmente per le vie della città in un dimesso abito di penitenza nel drammatico travaglio della peste.

Ma è a questo Sacro Monte di Varallo che egli era particolarmente assiduo. Lo aveva denominato “Nuova Gerusalemme”, e ogniqualvolta gli era possibile vi trascorreva giornate o nottate di raccoglimento. Meditava la passione del Signore rifacendone il cammino e fermandosi in pia meditazione dinanzi alle cappelle, ammirevoli testimonianze di pietà e d’arte. La permanenza più lunga e memorabile in questo mistico luogo precedette di pochi giorni il suo passaggio all’eternità.

Noi riviviamo, in certo senso, quelle giornate di ritiro spirituale, ch’egli trascorse qui nell’ottobre di quattro secoli fa, e che di fatto risultano una singolare preparazione alla morte. Siamo qui riuniti proprio nel giorno e presumibilmente nell’ora in cui san Carlo a Milano rese l’anima a Dio.

Il Borromeo aveva allora quarantasei anni, compiuti da poco. Il suo episcopato milanese con le attività connesse fuori della diocesi, era nel pieno dell’operosità. Ma il suo fisico, logorato dalle fatiche e martoriato dalle penitenze corporali, dava segni di cedimento.

2. Rivivendo quell’eccezionale avvenimento spirituale qui, in questo scenario altamente artistico e religioso che il trascorrere del tempo ha lasciato intatto, le nostre riflessioni, carissimi fratelli e sorelle, si accentrano attorno al mistero della morte.

San Carlo mostra come può avere grandi riflessi sulla condotta questa forte affermazione dell’apostolo Paolo: “Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore” (Rm 17, 7-8).

Questa illuminante certezza colloca l’evento naturale della morte nella visione di fede e insieme nella prospettiva della maturazione totale della personalità umana. Dio solo è padrone della vita e della morte. Ma la vita domanda di essere vissuta nella pienezza della libertà interiore. Così la morte può e deve essere accettata dall’uomo come espressione della sua interiore libertà, nel distacco dalle cose e ancor più nel distacco da se stesso: un atto di suprema obbedienza; il volontario assoggettarsi ad una superiore volontà.

Pertanto il morire non riguarda semplicemente l’estinguersi della vita fisica. È molto di più. È un vero e proprio itinerario di purificazione e liberazione, che copre tutto l’arco dell’agire umano, per “deporre l’uomo vecchio e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera” (Ef 4, 22-24).

L’intera esistenza cristiana va vista nella prospettiva di una preparazione alla futura vita eterna nella terra dei risorti.

3. Fratelli e sorelle carissimi, la vita di san Carlo ci è di esempio nella preparazione alla morte.

Egli viveva in unione con Dio. Si nutriva di preghiera e di Eucaristia. Lavorava indefessamente a servizio pastorale delle comunità cristiane. Grande camminatore della catechesi, affrontava fatiche enormi per raggiungere anche le località più impervie. Ma teneva al vertice di tutto il pensiero della salvezza della propria anima. Si confessava quasi quotidianamente. Durante le peregrinazioni voleva che nella sua piccola comitiva fosse sempre assicurata la presenza del suo confessore.

È nell’ultimo istante della vita che si decide il destino eterno. Perciò Gesù ammonisce che occorre perseverare fino alla fine, per raggiungere la salvezza (cf. Mt 10, 22). L’impegno preminente della vita consiste nella preparazione a morire in grazia di Dio.

Certo, la porta della salvezza può aprirsi anche dinanzi a chi soltanto nell’ultimo momento si pente sinceramente delle proprie colpe e domanda a Dio una totale purificazione. Come il buon ladrone, accanto a Gesù morente. La misericordia divina è infinita, e può compiere qualsiasi prodigio. Ma l’ammonimento di Gesù è perentorio e insistente: “Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli!... Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate” (Lc 12, 35.37). Obbediente a queste parole, il cristiano è sollecito ad arricchire di meriti la propria esistenza.

Con la sua testimonianza, san Carlo ci insegna l’importanza di saper tenere vivo il pensiero della morte e quindi le disposizioni di fede, di umiltà, di purezza interiore, di offerta e di speranza nella prospettiva del grande e tremendo passo. La buona morte, in senso cristiano, è essenzialmente la morte in grazia di Dio, un’offerta appunto, possiamo dire, che l’uomo fa di se stesso, come ostia pura e di soave profumo (cf. Es 6, 10; Ef 5, 2; Fil 4, 18).

4. La morte di san Carlo, degna di quel grande sacerdote che egli è stato, rimane per noi anche un eloquente esempio di serenità.

All’aggravarsi delle sue condizioni in quel pomeriggio del 3 novembre dopo l’affrettato rientro in sede a Milano, egli, impossibilitato a recitare i salmi, seguiva mentalmente la lettura del breviario fattagli da un familiare, senza distogliere lo sguardo dalle riproduzioni dell’agonia nel Getsemani e della sepoltura del Signore, che aveva fatto collocare dinanzi a sé.

Ricevuti piamente il Santo Viatico e l’Unzione degli infermi, entrò in agonia. Allora, interpretando un suo desiderio, venne letto ad alta voce da uno degli astanti il racconto evangelico della passione.

Emise l’ultimo respiro fissando dolcemente il crocifisso e abbozzando un sorriso.

Così muore il giusto. Così desidera morire ogni seguace di Cristo.

Il cristiano si pone dinanzi al mistero della morte con serenità. Egli non ignora che può non essergli risparmiato il turbamento che il Cristo stesso sperimentò, ma sa parimenti, come il divino Agonizzante, che la sua forza sta nella disponibilità a chinare umilmente il capo dinanzi alla volontà del Padre celeste.

Se vogliamo l’autentica serenità davanti alla morte, dobbiamo intensificare nella nostra vita la lotta al peccato, offesa di Dio. La liberazione dal peccato è il segreto per meritare il dono di un sereno trapasso, cui arrida la luce della beatitudine definitiva, nella visione di Dio.

Facciamo nostro questo insegnamento, e la vita acquisterà ogni giorno più pienezza di significato.

Soprattutto voi, cari fratelli e sorelle di Varallo, della Valsesia e di tutta la diocesi di Novara, fate vostro questo insegnamento; voi che avete il privilegio di annoverare tra le ricchezze spirituali della vostra terra questo Sacro Monte, sorto grazie all’intuizione, all’iniziativa e all’impegno di fra Bernardino Caimi nel 1486 e subito divenuto, per tanti, luogo privilegiato di meditazione e di devozione mariana, punto di riferimento per molte anime generose e forti che qui hanno saputo e sanno trovare ispirazione e sostegno per riuscire ad essere, nel mondo, testimoni di Gesù redentore, morto e risorto per la salvezza dell’uomo: perché di questo mistero, qui, tutto ci parla con voce suggestiva e suadente.

Sull’esempio di san Carlo, figlio della vostra terra, fate che non risuoni invano per voi il richiamo di questa voce! Amen.

 

© Copyright 1984 -  Libreria Editrice Vaticana

 


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