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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL NUOVO AMBASCIATORE D'ITALIA PRESSO LA SANTA SEDE*

Sabato, 21 dicembre 1985

 

Signor Ambasciatore,

1. La ringrazio di cuore per le nobili espressioni, che ha voluto rivolgermi nel momento in cui ha inizio la sua missione di Ambasciatore straordinario plenipotenziario della Repubblica Italiana presso la Santa Sede. Nell’accogliere dalle sue mani le Lettere Credenziali, il mio pensiero si volge con sentimenti di deferente stima al signor Presidente della repubblica Francesco Cossiga, che ho avuto il piacere i ricevere all’inizio dello scorso mese di ottobre, in occasione della sua prima visita ufficiale fuori del territorio nazionale e che nel prossimo gennaio visiterò, recandomi al Quirinale.

Subentrato nell’alto incarico al suo benemerito predecessore, Ella avrà l’onore di rappresentare tutto il popolo italiano, sempre così vicino al mio cuore per la sua fede e per la sua storia millenaria, per la sua capacità di superare e vincere le ricorrenti difficoltà, per tanti vincoli di vicinanza e di devozione che lo legano alla sede di san Pietro. Questo popolo mi è particolarmente caro sin dai tempi della mia formazione giovanile che ebbe il suo coronamento nella Città eterna. La sollecitudine pastorale per la Chiesa universale, i viaggi periodici in ogni parte del mondo, dove il Vangelo del Signore si diffonde come l’albero che cresce ed estende i suoi rami, non possono farmi dimenticare i rapporti quotidiani con una Nazione, che io considero mia seconda patria. L’affetto, poi, del popolo italiano e i suoi sentimenti di sincero attaccamento, io ho modo di sperimentarli di continuo, a Roma come nelle varie regioni del Paese.

2. In una circostanza come questa è spontaneo, specialmente per chi, come me, ha avuto i natali altrove, rendere testimonianza al patrimonio culturale e artistico di questa Nazione privilegiata, alla sua ricchezza morale, umana e cristiana, alla fioritura i santità che in ogni secolo da essa è scaturita come da viva sorgente, a edificazione della Chiesa e a beneficio dell’umanità.

In tale solco di gloriose tradizioni, fin dall’inizio del mio servizio pastorale per tutta la Chiesa, io ho auspicato il proseguimento e lo sviluppo di quell’armonia di rapporti fra Italia e Santa Sede, che, a partire dai Patti Lateranensi, è stata promossa e proficuamente salvaguardata.

Nelle tradizioni tra le due Parti, infatti, si è stabilito un positivo grado di equilibrio, che risulta a bene comune del popolo italiano e della Chiesa, contribuisce non poco alla conservazione della pace interna e favorisce il progresso sociale e civile del Paese.

È un equilibrio fondato sulla rispettiva autonomia, intesa come espressione consapevole della libertà propria di ciascuno, sulle reciproche competenze necessariamente distinte e fedelmente osservate. È un equilibrio che anni di riflessione e di studio hanno consentito di definire alla luce delle trasformazioni del quadro istituzionale della Repubblica Italiana e dei vari orizzonti aperti dal Concilio Vaticano II: tale ripensamento ha condotto al recente accordo di modifica del Concordato, che apre nuove prospettive di rapporti, improntati a mutuo rispetto, fiducia e collaborazione per venire incontro ai bisogni religiosi, morali e culturali degli uomini del nostro tempo.

3. La consonanza di valori e di obiettivi, a cui Ella, signor Ambasciatore, ha fatto giusto riferimento, chiama la Chiesa e lo Stato italiano a superare le difficoltà del cammino, a incontrarsi sul terreno comune di attività di grande rilevanza, per contribuire a risolvere i molti problemi che toccano da vicino le moderne società industrializzate: promozione dell’uomo e del suo sviluppo, intesa fra le nazioni, aiuti ai Paesi poveri, autodecisione dei popoli oppressi, lotta alla droga, alla violenza, alla fame nel mondo.

La Chiesa, animata dallo spirito del Vangelo, si preoccupa di fomentare nei cuori, anzitutto dei giovani, l’apertura verso i grandi e veri valori di amore, libertà, fraterna solidarietà, pace, giustizia sociale. Sono valori che costruiscono il futuro e la grandezza di un Paese autenticamente civile.

È per questa ragione che la Chiesa, ponendo l’uomo al centro del proprio impegno pastorale, continua a proclamare a piena voce il rispetto e la sacralità della vita, che ogni stato di diritto deve porre in cima alle sue preoccupazioni. Se la civiltà si misura dal riconoscimento e dalla tutela effettiva dei diritti della persona, appare evidente il dovere di dare la precedenza assoluta alla vita di ciascun essere umano e garantirla in ogni momento dell’arco dell’esistenza.

Per la stessa ragione la Chiesa, illuminata dalla fede ricevuta dall’alto, si sforza di difendere i preziosi beni del matrimonio e della famiglia, senza dei quali non è possibile assicurare, in maniera degna della persona umana, la promozione dell’uomo e della donna, né contribuire al rinnovamento della società (cf. Familiaris consortio, 3 ss.). È peraltro confortante constatare che in Italia, malgrado segni di preoccupante degrado di valori fondamentali, la famiglia, nella maggioranza dei casi, continua ancora a tenere il suo ruolo.

4. Dopo che nell’aiuto di Dio, la mia fiducia è riposta nella vitalità sana delle nuove generazioni, le quali, superate ormai, come spero, le scosse di pericolosi smarrimenti, mostrano di sentirsi sempre più attratte dalla riscoperta dei grandi e perenni ideali, in ordine all’edificazione, per sé e per la società, di un migliore avvenire.

Né posso dimenticare l’attività generosa e illuminata dei Pastori della Chiesa che è in Italia e di quanti - sacerdoti, religiosi e religiose impegnati nelle diverse forme di apostolato - collaborano con essi. Il loro riconosciuto contributo alla vita della Comunità nazionale è motivo di speranza per il futuro.

Mentre le attesto tutta la mia stima, Signor Ambasciatore, le imparto di cuore l’apostolica benedizione, che desidero estendere alle persone che l’accompagnano, ai suoi familiari e all’intera cara Nazione italiana.


*AAS 78 (1986), p.627-629.

Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VIII, 2 pp. 1566-1568.

L'Attività della Santa Sede 1985, p. 1058-1059.

L’Osservatore Romano 22.12.1985 p.4.

 

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