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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PRESULI BRASILIANI IN VISITA
«AD LIMINA APOSTOLORUM»

Sabato, 16 febbraio 1985

 

Venerabili e amati fratelli nell’episcopato.

1. Do un cordiale e fraterno benvenuto a voi, cari vescovi della provincia ecclesiastica di Porto Alegre e della regionale Sud-tre, della Conferenza nazionale dei Vescovi brasiliani, che aprite la serie delle visite “ad Limina” che l’episcopato brasiliano compirà durante il 1985. Ricordo con nostalgia il mio viaggio apostolico in Brasile, l’incontro con l’amato popolo brasiliano e, in particolare, con tutti i vescovi, a C, e con voi a Porto Alegre. Rammento con gratitudine l’allora arcivescovo, oggi sollevato, a causa dell’età, dalle responsabilità pastorali, il venerando Cardinale Alfredo Vicente Scherer, e gli altri illustri Vescovi.

Mi ha reso molto lieto l’incontro personale con ciascuno di voi, nei colloqui individuali. È stato un contatto diretto con la Chiesa particolare di cui siete Pastori. Sono anche grato degli incontri collegiali che permettono uno sguardo d’insieme sulla situazione ecclesiale della vostra Regione e di tutta la Nazione.

Le visite “ad Limina” costituiscono un momento significativo dell’unità e della cattolicità della Chiesa. E l’incontro dei Vescovi, successori degli apostoli, con il successore di Pietro, guida visibile di tutta la Chiesa e “principio e fondamento perpetuo dell’unità di fede e di comunione” (cf. Lumen gentium, 18). Si afferma la collegialità episcopale, che suppone unità di mente, di cuore e di disciplina, e che in tal modo si consolida. Il Pontefice Romano, in qualità di pastore supremo del “gregge del Signore”, ha l’occasione di comprendere la situazione concreta delle Chiese particolari e di condividere con i loro Pastori non solo le preoccupazioni, ma anche le gioie del servizio al Popolo di Dio.

Ciò che mi propongo di dire a un gruppo di Vescovi, vorrei estenderlo e comunicarlo a tutti gli altri gruppi, rendendo così complementare ciascun punto di vista. In tal modo, alla fine degli incontri, spero, con uno sguardo globale, di proporre alcuni orientamenti ai principali problemi che affliggono la Chiesa del Brasile.

2. Il campo d’azione che la Provvidenza affida al vostro zelo ha una fisionomia che lo caratterizza rispetto alle altre Diocesi e agli altri Stati del Brasile. Al ceppo lusitano, che l’antica emigrazione di abitanti delle isole delle Azzorre aveva costituito nell’estremo sud del Paese, sono venute a unirsi, da poco più di un secolo, numerose famiglie tedesche, polacche e italiane, soprattutto venete, che, obbligate a partire dalla propria terra per problemi sociali ed economici, hanno trovato in quel luogo un suolo fertile, da esse coltivato con amore e dedizione.

Da queste famiglie, materialmente povere ma ricche di fede, si formarono colonie, che furono ben presto sorgente di grandi risorse non solo di uomini di buona volontà e cristiani fervidi e convinti, ma anche di numerosissime vocazioni sacerdotali e religiose. Tutto il Paese, in questo secolo, ha sperimentato il beneficio di queste leve di ministri e di persone consacrate, oriunde dello Stato del Rio Grande del Sud.

75 anni fa, con la creazione delle Diocesi di Pelotas, di Santa Maria e di Uruguaiana, l’antica Diocesi di Sao Pedro, a Porto Alegre, divenne metropolia, arricchita 50 anni fa dalla nascita della diocesi di Caxias del Sud alla quale a poco a poco se ne unirono altre, come, 25 anni fa, quelle di Santa Cruz e di Bagé, per citare solamente le diocesi che celebrano ricorrenze giubilari, alle quali rivolgo anche le mie congratulazioni. Dal pioniere don Feliciano José Rodrigues Prates, una serie impressionante di vescovi illustri per virtù, sapere e zelo pastorale, hanno costruito e consolidato questa realtà che è oggi Provincia Ecclesiastica. Voi continuate a seguire le orme di questi Pastori del passato, continuate la loro opera a beneficio del regno di Dio nel Rio Grande del Sud; mi sono accorto dell’amichevole e cordiale unione con la quale vivete in comunione l’impegno di delineare e realizzare precisi programmi pastorali, coadiuvati da un clero zelante, di suscitare vocazioni e di preparare il laicato alla partecipazione attiva nella vita ecclesiale; vi impegnate, dunque, nel realizzare oggi come già nel passato, la vocazione e la missione dei Vescovi e dei Pastori a immagine di colui che l’apostolo Pietro definiva “pastore Supremo” (1 Pt 5, 4), “Pastore e Guardiano delle nostre anime” (1 Pt 2, 25).

3. Vocazione e missione dei vescovi. Alcuni di voi che hanno vissuto come me la singolare esperienza del Concilio Vaticano II, si ricorderanno dell’attenzione e del fervore con cui, nelle Commissioni e nell’Aula conciliare, ispirandoci alle Scritture e alla vita della Chiesa, cercammo, se non di definire, almeno di descrivere questa vocazione e missione. Il pensiero e la convinzione del Concilio su questo tema, profondamente integrati nell’ampia ecclesiologia dello stesso Vaticano II, è stata presente in vari Documenti conciliari, specialmente nel terzo Capitolo della Lumen gentium e nel decreto Christus Dominus.

Il vescovo vi appare, innanzitutto, come colui che convoca i dispersi con la forza della Parola di Dio, che costruisce la comunità di fede, di carità, di preghiera e di testimonianza che è la Chiesa, in questo caso la Chiesa particolare della quale egli è Vescovo; che mantiene e consolida la comunità nell’unità ma, allo stesso tempo, nella pluralità, facendo sì che i fermenti della disgregazione, i conflitti e le tentazioni non rompano la comunione. Di ciascun vescovo dovremo dire con il Concilio che è un aggregatore, un costruttore di comunità. Ma è più eloquente un’espressione del Concilio stesso: il Vescovo è innanzitutto, nella sua diocesi, un segno visibile ed efficace di quella comunione di carità di cui la stessa Chiesa è “sacramento visibile” in mezzo al mondo (cf. Lumen gentium, 18).

4. Il vescovo, in secondo luogo, è “magister fidei” e “doctor veritatis”. Non lasciamoci ingannare da queste definizioni: esse non vogliono dire che il Vescovo sia padrone della verità; ma lo evidenziano, innanzitutto, come servo della verità; e giustamente, in quanto servo, egli non manipola la verità e le verità della fede a proprio piacimento, ma le comunica con rigorosa fedeltà; nell’evangelizzare, non le impone, ma le propone a tutti, a tempo e fuori tempo, senza prepotenza, ma con umiltà, coraggio e perseveranza.

Permettetemi, in occasione di questo incontro, di spronarvi fraternamente ad essere coraggiosi annunciatori, promotori e, se necessario, difensori della verità rivelata e della fede che di questa verità si nutre. Trasmettete questa fede integra e pura. Denunciate e combattete ciò che può contaminarla e travisarla. Alimentatela, anche a costo di sacrifici e incomprensioni, nella coscienza e nel cuore dei vostri fedeli.

A voi, posti dallo Spirito Santo dinanzi alle sue Chiese, compete la missione di confermare nella fede i fedeli delle vostre comunità, proclamando e custodendo la parola di verità con l’autorità che viene da Dio, affinché i teologi, i catechisti e tutti coloro che assumono la responsabilità di annunciare la verità, in particolare all’interno e attraverso le celebrazioni liturgiche e paraliturgiche, lo facciano nella più perfetta comunione con voi che risponderete davanti a Dio della fede del popolo che vi è affidato.

5. Il Vescovo è allo stesso tempo padre, guida e pastore. E con parole forti che Gesù Cristo, soprattutto nel Vangelo di Giovanni, si attribuisce il nome e la funzione di Buon Pastore. Ogni Vescovo riproduce e prolunga questo nome e questa funzione. Grazie a tale definizione, egli è colui che discerne il cammino del Vangelo e della vocazione del cristiano, nell’aggrovigliata strada che si presenta di fronte agli uomini. Egli prende ciascuno per mano, portandolo avanti, come il Buon Pastore che vuole mostrare il cammino, prevenire le insidie e difendere dagli assalti. Sono molti coloro che, ricchi del sapere umano, della scienza e della tecnica, ma poveri della sapienza che viene dall’Alto, ricorrono al Vescovo-Pastore. Non cercano risposte scientifiche ai loro problemi umani; cercano qualcuno che indichi loro il cammino rivelato da Dio.

6. La missione del Vescovo è, infine, quella del Santificatore. Conoscete bene la definizione di vescovo data da San Tommaso d’Aquino: “perfector”. Vuol dire che un vero Vescovo, in quanto e perché artefice di comunione e di comunità, in quanto maestro ed educatore nella fede, in quanto Pastore e padre spirituale - e per essere lealmente tutto questo - è colui che condivide e sprona, conduce e alimenta persone e collettività, nel seno della sua comunità, a crescere in ciò che è l’essenza della vocazione e della condizione del cristiano: il senso della ricerca dell’Assoluto di Dio, l’amore per i fratelli, lo spirito delle beatitudini, la sequela a Gesù Cristo nelle strade della vita, la realtà del mistero della croce e della risurrezione nell’esistenza di ciascuno di noi, la testimonianza della fede e della vita cristiana in mezzo al mondo . . . In altre parole, il Vescovo e Pastore ha l’esigente, bella e feconda funzione di sollecitare e condurre i fedeli alla santità.

7. Ho voluto, miei cari fratelli Vescovi, ricordarvi tutte queste dimensioni della missione episcopale. Aggiungo ancora un pensiero. Ciascun Vescovo ha il dovere di compiere la sua missione verso la sua diocesi, della quale egli è responsabile. Questa missione è - per usare un’espressione consacrata - “di diritto divino”. Il fondatore della Chiesa ha voluto che in essa il Ministro consacrato dall’imposizione delle mani esercitasse la sua “potestas sacra” e la sua “exousia” che viene da Dio, verso la sua Chiesa particolare. Ma tutti i vescovi, in quanto membri del Collegio Episcopale e legittimi successori degli Apostoli, sono obbligati, per istituzione e precetto di Cristo - è parola del Concilio - alla “sollecitudine per tutta la Chiesa” (cf. Lumen gentium, 23), a conferire perciò al loro pastorale governo l’indispensabile dimensione missionaria. E qui, mi fa piacere notare e lodare la generosa e fruttuosa esperienza condotta in buona parte delle vostre diocesi, chiamate “Chiese-sorelle”.

Dalla missione stessa del Vescovo, che lo inserisce nel Collegio Episcopale, deriva ancora un’altra espressione di questa “collegialità”: quella delle Conferenze Episcopali, definite e proposte dal Vaticano II e adeguatamente inquadrate nel Codice di Diritto Canonico.

Per sua configurazione e fisionomia la Conferenza Episcopale - lo sa la Conferenza nazionale dei vescovi brasiliani per la sua esperienza antesignana - è luogo di incontro, di dialogo e di reciproco arricchimento, per ciò che si riceve e per ciò che si dà. Nell’interscambio di esperienze e di pareri, nello scambio di opinioni, è sempre soggiacente all’espressione affettiva ed effettiva dei successori degli Apostoli una costante di tutto il popolo di Dio: “mosso dalla fede, per cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza e del disegno di Dio” (cf. Gaudium et spes, 11).

 Così, memori sempre della parola del Signore: “In questo riconosceranno tutti che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri” (Gv 13, 15), non potremo desiderare niente più ardentemente che di servire in ogni circostanza, con sempre maggior generosità ed efficacia, la porzione del Popolo di Dio che ci è stata affidata. Ed a questo compito ci possono aiutare molto, nell’azione pastorale locale, le grandi linee che la Conferenza, per sua natura e carisma, ci indica, come caratteristiche e momenti prioritari di una regione e nazione.

Nel lavoro di una Conferenza Episcopale rimangono sempre punti di riferimento ineludibili: l’identità di ciascun vescovo partecipante, al quale lo Spirito Santo ha affidato una Chiesa particolare, arricchendola per questo dell’autorità e della responsabilità personale; e, insieme ad essa, la comunione, per sostenersi gli uni gli altri nell’opera dell’evangelizzazione, per rispondere alle difficoltà pastorali comuni, sempre uniti tra voi, mostrandovi pronti a tutte le Chiese, poiché ciascuno, per istituzione divina e per esigenza dell’incarico apostolico è responsabile anche, insieme agli altri, di tutta la Chiesa (cf. Christus Dominus, 6). Saggezza e carità, prudenza e reciproco rispetto renderanno feconda questa comunione. E che il Dio della pazienza e della consolazione vi conceda di coltivare gli stessi sentimenti, gli uni verso gli altri, seguendo Gesù Cristo, affinché con una sola anima e una sola voce, glorifichiate Dio . . . e vi accogliate gli uni gli altri, come Cristo vi ha accolti (cf. Rm 15, 5-7).

8. Affido al Buon Pastore, Gesù Cristo, queste considerazioni, che spero siano utili alle vostre missioni; le affido alla sua santissima Madre, colei che moltitudini venute dalle vostre diocesi sulle orme dei martiri del Rio Grande del Sud venerano anno dopo anno sotto diversi titoli. Sia Ella, la Madre provvida, ad intercedere presso Dio per voi e per il vostro ministero episcopale. Sono queste le grazie che invoco sui vostri collaboratori immediati - i Vicari Generali ed Episcopali - sui presbiteri delle vostre diocesi, sui religiosi e le religiose, sui seminaristi, i novizi e le novizie, sui diaconi permanenti, i ministri non ordinati, le comunità ecclesiali di base, i movimenti e i gruppi, sulle famiglie e gli anziani, i giovani e i fanciulli, sui malati e coloro che soffrono. Il Signore sia per tutti fonte di pace e di conforto, con la mia affettuosa Benedizione Apostolica

 

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