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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA PLENARIA
DEL SEGRETARIATO PER I NON CREDENTI

Venerdì, 22 marzo 1985

 

Cari fratelli nell’episcopato,
cari amici.

1. È grande la mia gioia nell’accogliervi questa mattina in occasione dell’assemblea plenaria del Segretariato per i non credenti, istituito dal mio predecessore Paolo VI, vent’anni fa, come frutto ed esigenza del Concilio Vaticano II. È bene che noi rendiamo grazie a Dio del cammino percorso malgrado le difficoltà e che domandiamo a lui luce e forza per proseguire in esso.

Avete percorso la prima tappa sotto la direzione prudente e coraggiosa del caro e venerato Cardinale Franz König. Ora è con Monsignor Paul Poupard che voi continuate quest’opera. Lo ringrazio, come ringrazio anche tutti i collaboratori permanenti del Segretariato. Insieme a loro, vi ringrazio tutti, membri e consultori, venuti talvolta da lontano, per ciò che compite al servizio della Santa Sede e di tutta la Chiesa. Paolo VI disse: “Si tratta di un lavoro complesso e difficile, ma anche urgente e necessario” (cf. Paolo VI, Allocutio ad Secretariatum pro non-Credentibus habita, 18 marzo 1971: Insegnamenti di Paolo VI, IX [1971] 191).

La vostra missione ha infatti una finalità pastorale. Voi non vi accontentate di effettuare degli studi teorici sulla non-credenza - studi che hanno anch’essi la loro importanza - voi incontrate degli uomini, credenti e non credenti. Malgrado tutto ciò che li separa, voi volete gettare tra di loro, più che delle fragili passerelle, dei solidi ponti per costruire quella civiltà dell’amore che il mondo invoca con tutte le sue forze. Al di là delle frontiere politiche, delle separazioni ideologiche, voi li chiamate a scoprirsi fratelli, responsabili insieme del futuro dell’uomo, amanti della giustizia e della fraternità, della solidarietà e dell’amore.

2. Le risposte alla vostra indagine, delle Conferenze episcopali e delle università cattoliche, dei credenti e dei non credenti, che si possono leggere nella vostra rivista “Ateismo e dialogo” ne sono testimonianza: in vent’anni l’ateismo ideologico non si è rinnovato, è piuttosto rifluito, ma la non-credenza pratica si è sviluppata, l’indifferenza religiosa ha progredito, con una certa insensibilità per le questioni fondamentali, che non esclude però una viva sensibilità per il problema del male sentito, in tutte le sue forme, come uno scandalo.

Voi offrite al Papa, alla Santa Sede, alle Conferenze episcopali, un aiuto di primaria importanza per dare una risposta ai problemi vasti e complessi che pone alla Chiesa il dialogo con i non-credenti. Alcuni sono prigionieri di sistemi ideologici, e l’ateismo al potere impedisce loro di professare liberamente la loro fede. Si tratta, per la Chiesa, di lavorare con perseveranza perché l’opinione pubblica prenda le loro difese, non li dimentichi né li abbandoni. Altri hanno creduto che la scienza avrebbe risolto tutti i problemi e avrebbe portato all’uomo la felicità. Bisogna che noi li aiutiamo a convincersi che la scienza senza la coscienza non è che la rovina dell’anima, secondo il ben noto adagio, e che non tutto ciò che è scientificamente possibile è moralmente accettabile. L’esperienza tragica dei nostri tempi lo mostra a sufficienza. Altri ancora sono come invischiati in un mondo materialista, senza un orizzonte trascendente. Instancabilmente, noi dobbiamo ricordare loro che “non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4, 4). Talvolta, essi sembrano privi di ogni inquietudine metafisica, di ogni interrogativo esistenziale. Bisogna cercare di risvegliare in loro l’attenzione al mistero della vita e della morte. Altri, infine, sembrano sospettosi davanti ad ogni religione istituita e scettici. Come Pilato, si domandano: qual è la verità? La Chiesa ha la missione di mostrare loro il Cristo, nato dalla Vergine Maria, morto per i nostri peccati e risorto per chiamare con lui ad una vita d’amore, oltre la morte, nel seno del Padre e nella tenerezza dello Spirito: ecco l’uomo!

Sì, molti sembrano essere lontani da Dio e dalla Chiesa, senza una rottura drammatica apparente, come inghiottiti in un oceano di secolarizzazione. Ma la ricerca della felicità si è fatta più aleatoria, è apparsa la disillusione, con il suo pesante carico di afflizione e di violenza, di cinismo e di disperazione.

3. Questo fenomeno così profondamente contro natura ha già generato il suo contrario. Troppe aspirazioni profonde dell’uomo sono state represse e troppi bisogni religiosi rimangono non soddisfatti. L’attuale situazione mondiale impone, come una necessità, per sopravvivere, di ritrovare delle radici, un orizzonte, un senso. L’uomo non può vivere indefinitivamente nel vuoto spirituale, nell’incertezza morale, nel dubbio metafisico, nell’ignoranza religiosa. “L’uomo supera infinitamente l’uomo” (Pascal). Egli non si riduce all’aspetto socio-politico: le ricerche a tastoni del sacro ne sono testimonianza, a loro modo, anche nelle loro aberrazioni e nei loro sviamenti, come nella loro abbondanza sincretista. Questi segni del risorgere del religioso, dell’emergere di “religioni” sostitutive, o di “religioni” secolari, come si è detto, testimoniano a loro modo che una società di non-credenti non può fare a meno di credere. Ciascuno vorrebbe credere in qualcosa, anche se il profilo di questo credere rimane qualcosa di un po’ vago e incerto. Non si vede oggi stranamente risorgere, insieme con l’antico panteismo, l’antico paganesimo, la gnosi e le credenze esoteriche? Gli uomini hanno abbandonato le fonti d’acqua viva, diceva il profeta, e si sono rivolti a cisterne vuote (cf. Ger 2, 13). Ma la maggior parte, forse, degli uomini che noi chiamiamo non-credenti sono spesso alla ricerca oscura e dolorosa di luce e di gioia. Chi li aiuterà a scoprire, come il profeta Elia, il Dio d’amore, non nel fragore del tuono e negli urli del vento, ma nella brezza leggera e sensibile al cuore che ascolta, colma di amore e di tenerezza, di bellezza e di bontà, di giustizia e di solidarietà? (cf. 1 Re 19, 11-13).

Quale sfida lanciano alla Chiesa e a tutti i cristiani queste donne e questi uomini alla ricerca della fede, della speranza e dell’amore! Essi hanno bisogno di incontrare dei cristiani che, rispettando le loro coscienze, testimonino in maniera convincente, con la loro stessa vita, che la fede non è nociva alla vita, che non è estranea né indifferente, ma, al contrario, è vitale, per compiersi, già nel tempo, e più ancora oltre la morte, col Cristo. Ben lungi dal distogliere gli uomini dalle loro gravi preoccupazioni quotidiane, la fede animata dalla speranza escatologica li aiuta al contrario a sostenerle.

4. Si tratta del carattere insostituibile del dialogo, qual è stato proposto da Paolo VI nell’enciclica Ecclesiam suam e quale l’ha voluto il Concilio. La fede è l’adesione alla verità, è convinzione che la rivelazione è la verità e, nello stesso tempo, è capacità di dialogo con coloro che non condividono questa convinzione. Bisogna sempre meditare la conclusione della costituzione Gaudium et spes perché “il desiderio di stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della verità e condotto con l’opportuna prudenza, non esclude nessuno: né coloro che hanno il culto di alti valori umani, benché non ne riconoscano ancora la sorgente, né coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere”. Questo dialogo della fede è dialogo con Dio, che si è rivelato in Gesù Cristo, e dialogo con gli uomini, creati, riscattati, chiamati a vivere la pienezza della loro vocazione di uomini nello Spirito. Si esercita in un duplice rispetto: il rispetto della verità incarnata nel Verbo fatto carne, e il rispetto di ogni uomo creato a immagine e somiglianza di Dio. Comporta una duplice responsabilità; verso la verità che ogni uomo ha il dovere di cercare sinceramente e di seguire lealmente finché l’abbia trovata e verso gli uomini stessi davanti ai quali abbiamo il dovere di testimoniare la verità.

Bisogna che questo cammino esigente ed esaltante mostratoci dal Concilio sia compiuto oggi con fiducia e nella speranza. È il cammino del “dialogo sincero e paziente” (Ad Gentes, 11), di una fede, ci dice ancora il Concilio, “viva e matura, vale a dire opportunamente educata alla capacità di guardare in faccia alle difficoltà per superarle” (Gaudium et spes, 21 § 5).

5. Per i cristiani che lavorano a questo dialogo, la preghiera è un’esigenza vitale. Non siamo mai soli. Un Altro è sempre presente al centro dei nostri dialoghi, sia in noi che presso coloro con i quali siamo in dialogo, c’è un Altro che ci è più intimo di noi stessi (cf. S. Agostino). Non dimentichiamolo: i nostri discorsi su Dio devono fondarsi sul nostro rapporto personale con lui, e il nostro dialogo con l’altro dev' essere una testimonianza di vita e d’amore. Cerchiamo, cari amici, con la grazia di Dio, di condividere la nostra esperienza di Dio per risvegliarla anche in altri!

L’annuncio della buona novella di Cristo s’inserisce nella già lunga storia della salvezza, come esito delle attese più profonde, delle esigenze più segrete dell’anima dei popoli quali le manifestano le migliori espressioni del loro genio culturale. Nei Paesi di antica cristianità, il cristianesimo non può essere misurato da sondaggi e statistiche: è spesso sepolto nelle coscienze, bisogna risvegliarlo. Nei Paesi di ateismo dichiarato, esso sopravvive malgrado le oppressioni, e suscita nuove generazioni di credenti, di testimoni e talvolta di martiri. Nei Paesi di antiche religioni, grazie allo zelo di numerosi missionari e di quanti proseguono la loro opera, suscita attenzione, con il suo mistero di vita, di speranza e di amore.

Cari amici, siate uomini di dialogo e, mediante esso, siate quegli uomini di fede e di preghiera dei quali il filosofo Henri Bergson disse: “La loro esistenza è una chiamata” (Henri Bergson, Les deux sources de la morale e de la religion, Paris, Bibl. de Philosophie contemporaine, 1932). Con la mia affettuosa Benedizione Apostolica.

 

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