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VISITA QUARESIMALE ALLA PARROCCHIA DI SANT’EUGENIO A VALLE GIULIA

DISCORSO

DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 2 marzo 1986

 

Ai piccoli, ai ragazzi e ai genitori 

Saluto cordialmente tutti i presenti e voglio rispondere alle parole del vostro parroco che guida questa chiesa di Sant’Eugenio tanto legata alla memoria e alla persona di Papa Pio XII. Voglio salutare in questo incontro soprattutto i parrocchiani più piccoli. Entrando in questa sala ho visto tanti piccoli bambini tra le braccia delle loro mamme e dei loro papà. È questa un’immagine molto commovente. Sono questi piccoli, voi, e poi gli altri bambini della scuola che sono un po’ cresciuti che non sono tra le braccia delle madri o dei loro genitori ma, ho pensato, sono anch’essi nelle braccia di una madre: questa madre si chiama Madre Chiesa. La Chiesa è la nostra Madre. Questa Madre Chiesa cerca di assomigliare alla Madre di Dio, Maria. Questo è un grande mistero della Chiesa. Questa sua somiglianza alla Madre di Dio, Maria, Madre di Cristo e Madre della Chiesa. Allora anche quelli più grandi sono nelle braccia della Madre Chiesa. Anzi, questa Madre, adesso, non solamente accarezza questi bambini, ma cerca di formarli, di insegnare loro la parola di Dio, di preparare loro ai sacramenti della nostra fede e soprattutto all’Eucaristia, al sacramento della Penitenza.

Così si formano i giovani cristiani sempre tra le braccia della Madre Chiesa. Ma tutti noi, fratelli e sorelle, genitori qui presenti, siamo nelle braccia di questa Madre. Anzi, tramite la Chiesa Madre che imita la Madre di Cristo siamo tutti tra le braccia invisibili del Padre celeste. Questo è un mistero della famiglia divina. Gesù Cristo nel suo Vangelo ci ha presentato questa visione della famiglia divina soprattutto quando ha parlato agli uomini adulti e maturi che erano i suoi apostoli. Ha detto infatti a tutti: Se non diventerete come i bambini, non entrerete del regno dei cieli. I bambini sono così nella Chiesa un elemento esemplare e significativo perché loro fanno da legame tra noi e Gesù Cristo, tra noi e la Madre Chiesa e fanno soprattutto legame tra noi e il Padre celeste. Vi auguro di essere tutti bambini nel senso evangelico; di essere semplici come loro, aperti al Padre celeste, alle sue ispirazioni e alla voce della sua grazia sempre consapevoli della sua paternità e desiderosi di diventare i suoi figli e le sue figlie. La parrocchia deve vivere e deve crescere come famiglia di Dio. Sono contento di toccare con mano qui la prima tappa di questa famiglia.

Una famiglia che cresce in tutte le sue componenti rimanendo sempre tra le braccia della Chiesa che è Madre e tra le braccia del Padre celeste.

Ai partecipanti ai corsi di dottrina cristiana  

Vi auguro di continuare in questa vostra vita cristiana sempre più intensamente e in modo più approfondito, attraverso gli esercizi spirituali e lo studio della teologia, per formare persone più consapevoli di quel tesoro che è la nostra fede, la nostra vocazione cristiana. Vi auguro anche di compiere un apostolato fruttuoso tra le persone che vi sono vicine e anche tra i non credenti, tra i “lontani”. Questo apostolato deve farvi sempre più riconoscere che Cristo è il nostro bene. Ma questo bene non è solamente per noi, è un bene anche per gli altri. Per questo dobbiamo far conoscere Cristo al nostro prossimo, portare Cristo a tutti.  

Al Consiglio Pastorale  

Poiché lei ha parlato di “tempo prezioso”, vorrei approfondire questo concetto. Direi che il tempo umano è sempre prezioso quando è dedicato a un’opera buona, quando è riempito di un contenuto, di motivi validi, profondi. E il tempo più prezioso è quello dedicato a Dio perché è Dio che riempie più profondamente il tempo umano, in modo sovrabbondante. Vi ringrazio per le vostre parole e voglio rispondervi prendendo spunto dallo stesso concetto di “tempo prezioso” espresso dal vostro rappresentante.

Anche voi carissimi dedicate il vostro tempo a un’opera buona per la Chiesa e per la vostra comunità cristiana di Sant’Eugenio. Ecco, è così che questo vostro tempo diventa prezioso e io vi auguro che lo sia sempre di più grazie al vostro impegno e alla protezione dello Spirito Santo che infonde al nostro tempo umano sempre una dimensione soprannaturale. E adesso a queste riflessioni desidero aggiungere la mia benedizione a voi personalmente, a questo Consiglio pastorale e a tutte le persone a voi care. E nell’imminenza della Pasqua desidero formularvi i migliori auguri.

Ai giovani  

Adesso cercherò di darvi una risposta. Ma prima vorrei confessarvi che a me piace molto ascoltare quando i giovani cantano, ne resto sempre incantato. E il vostro gruppo è veramente bello, belli i suoni, belle le vostre voci singole o in coro. E vi confesso che mi piace anche ascoltare quando si recita nella lingua che a me sembra più vicina all’italiano, che anzi è profondamente italiana. Mi piacciono i vostri monologhi e molto anche le vostre testimonianze. Non mi piace invece molto di essere intervistato, cerco di evitarlo, ma non sempre posso, e a volte devo dare ai giornalisti anche risposte poco piacevoli. E quando mi si pongono molte domande io devo cercare di riassumerle un po’, di fare una riduzione, una sintesi, in senso scientifico tuttavia, non in senso ontologico.

Così cercherò di essere breve per poter dare risposte al maggior numero possibile di domande. Voi mi avete fatto alcune domande, una catena che si potrebbe ancora prolungare e io intanto ho cercato di trovare quali parole potrebbero essere più adatte per una risposta: una risposta che sarà magari un po’ indiretta, mediata, ma sarà comunque una risposta. Del resto devo dirvi che molte delle vostre domande hanno già la risposta pronta. Per esempio, in quella canzone che avete eseguito, “Io ti darò di più, di più, di più . . .” - un canto molto bello - ecco, qui si trova in un certo senso la risposta alle vostre domande. “Io ti darò di più, di più . . .”. Voi giovani, specialmente in questo ambiente - e non si deve trascurare la circostanza che i vostri sacerdoti sono dell’Opus Dei - in questo ambiente voi siete interpellati, chiamati a dare di più. Ora, la risposta più sostanziale a tutte le vostre domande è questa: appunto, dare di più.

Nella canzone avete detto “io ti darò di più di quello che avrò da te”. Ecco, penso che quelle parole voi le rivolgiate al Signore. È vero, noi non possiamo dare di più di quello che abbiamo, non possiamo mai superare la sua generosità, la sua grazia, i suoi doni. Ma dobbiamo avere questa intenzione: di dare di più, mai di meno, di più, secondo le nostre possibilità. Perché dare di più è la testimonianza dell’amore. Sì, non possiamo dare di più a Dio di quanto è nelle nostre possibilità, ma possiamo amare Dio, e amare il prossimo, gli altri, i nostri fratelli e sorelle. E questo dinamismo, questo dare di più, è già la Grazia. Dio ci spinge a dare di più, lui che ci ha dato il massimo. Con la redenzione, con la croce, con la grazia, ci ha dato più di tutto quello che possiamo pensare, che possiamo immaginare. E ci ha dato anche quella disponibilità che potrebbe sembrare illogica ma che è invece logica secondo la logica dell’amore: la possibilità di amare. E appunto questa possibilità di amare implica sempre di voler dare di più. Oltrepassare, superare se stessi nel dono. Non so se questa è una risposta esauriente alle vostre domande . . .  

In coro la folta assemblea dei giovani gli risponde di sì, che quella è una risposta esauriente. Allora il Papa, sorridendo, così prosegue.  

Vorrei fare due piccole aggiunte. La prima per rispondervi su ciò che ho appreso in India. Ecco, potreste cercare la risposta in un articolo che ho scritto su “L’Osservatore Romano” quando ero ancora arcivescovo, dal titolo “La verità dell’enciclica”. E poi un’ultima cosa. Mi avete chiesto di pregare per le infermiere che assistono i malati negli ospedali e poi per voi giovani, per la vostra comunità e per ciascuno di voi singolarmente. Sì, pregherò, pregherò molto volentieri per voi.

 

© Copyright 1986 - Libreria Editrice Vaticana

 


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