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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL 1° CONGRESSO INTERNAZIONALE
DEL «MOVIMENTO PARROCCHIALE»

Domenica, 4 maggio 1986

 

Carissimi fratelli e sorelle,

1. A voi tutti il mio cordiale saluto. Siete giunti da ogni parte del mondo per dar vita al 1° Congresso Internazionale del «Movimento parrocchiale». Siate i benvenuti ! Sono lieto di trovarmi con voi. In vοi saluto l'intero Movimento dei Focolari, di cui il vostro è una diramazione, esprimendo il mio apprezzamento per l'impegno che lo anima nello sforzo di essere sempre più fermento evangelico nella società di oggi. Un particolare pensiero desidero rivolgere alla Sig.na Chiara Lubich, fondatrice e presidente di questo multiforme Movimento, chiamato Opera di Maria, come pure a tutti coloro che collaborano con esso per la diffusione nel mondo dell'amore di Cristo.

Il tema sul quale riflettete in questi giorni è molto importante per la vita pastorale della Chiesa. Voi vi state interrogando sulle condizioni necessarie per costruire «una parrocchia-comunità ». Ovviamente, questa vostra ricerca suppone che voi siate convinti della validità che tuttora conserva questa espressione antichissima della vita ecclesiale. Eppure non sono mancati in questi anni coloro che hanno posto in questione l'attualità della parrocchia. Ci si è chiesto se essa sia tuttora all'altezza della complessa e pluricentrica realtà delle moderne città, così da poter rispondere alla sfida di un mondo sempre più diversificato. In particolare si è posto in dubbio che essa disponga ancora di sufficienti mezzi, di sufficiente vitalità, per rendere presente in maniera incisiva la Buona Novella, per raggiungere sulle vie della loro vita i bambini, i giovani e gli anziani, l'uomo realizzato e l'uomo fallito, l'uomo emarginato, deluso, indifferente.

Immane si presenta il compito della Chiesa nel nostro tempo e ad assolverlo non può essere certamente la parrocchia da sola. Eppure anche oggi la parrocchia può vivere una nuova e grande stagione. Spesso smarrito e disorientato, l'uomo contemporaneo cerca la comunione. Avendo non di rado visto frantumarsi o disumanizzarsi il suo contesto sociale, anela ad una esperienza di autentico incontro e di vera comunione. Ebbene, non è questa la vocazione della parrocchia, di essere cioè «una casa di famiglia, fraterna ed accogliente» (Catechesi tradendae, 67), una fraternità animata dallo spirito d'unità, la famiglia di Dio in un posto concreto? (Cf. Lumen gentium, 28)

La parrocchia non è principalmente una struttura, un territorio, un edificio. La parrocchia è in primo luogo una comunità di fedeli. Così infatti la definisce il nuovo Codice di Diritto canonico (Cf. Can. 515, 1). Ecco il compito della parrocchia, oggi: essere una comunità, riscoprirsi comunità. Cristiani non si è da soli. Essere cristiani significa credere e vivere la propria fede insieme ad altri, essere Chiesa, comunità (Lumen gentium, 32-33; Apostolicam actuositatem, 2-3; Presbyterorum ordinis, 2).

Non è certo un'impresa facile. Non si tratta di una comunità solamente umana. La comunità cristiana è realtà umano-divina. La nostra domanda, come nasce una comunità, trova allora una risposta precisa e meravigliosa: non nasce innanzitutto dagli sforzi nostri. È Cristo stesso a suscitarla. È l'annuncio della sua Buona Novella a radunare i fedeli (Cf. Lumen gentium, 26; Presbyterorum ordιnis, 4). L'origine e il principio della comunità ecclesiale è la Parola di Dio annunciata, ascoltata, meditata e messa poi a contatto con le mille situazioni di ogni giorno, al fine di «applicare la perenne verità alle circostanze concrete della vita» (Cf. Presbyterorum ordinis, 4). Non basta infatti ascoltare la Parola, non basta annunziarla, occorre viverla.

So che vi riunite nelle vostre comunità parrocchiali in piccoli gruppi nei quali approfondite la Parola di Dio, anche mediante lo scambio di esperienze vissute. Questo vi dà modo di scoprire la dimensione comunitaria della Buona Novella. Ebbene, mettete quest'esperienza al servizio dei vostri fratelli e delle vostre sorelle. Fatevi costruttori di comunità nelle quali, sull'esempio della prima comunità, vive ed agisce la Parola (Cf. Atti 6, 7; 12, 24).

4. La comunità cristiana nasce dunque dalla Parola, ma ha per centro e culmine la celebrazione dell'Eucaristia (Cf. Christus Dominus, 30). Mediante l'Eucaristia essa affonda le sue radici nel mistero dei Cristo pasquale e, tramite Lui, nella comunione stessa delle tre divine Persone. Ecco l'abissale profondità della vita di una comunità cristiana ! Ecco il significato delle celebrazioni liturgiche: esse ci inseriscono nel cuore della vita di Dio; in esse incontriamo il Cristo che, morto e risorto, vive fra noi.

Ma ciò che celebriamo deve informare la nostra vita. L'Eucaristia ci rivela il senso delle nostre fatiche, di tutte le difficoltà che incontriamo sul nostro cammino, il senso di ogni dolore. Unito al sacrificio di Cristo, tutto questo può diventare offerta a Dio e fonte di vita. Nulla può fermare il cammino di una comunità che ha imparato a vivere la sua vita come una continua Pasqua: come un morire e risorgere insieme a Cristo (Cf. Rm 6, 4-s).

Ebbene, non è questo uno dei cardini della spiritualità che vi propone il Movimento dei Focolari: l'amore a Gesù crocifisso e abbandonato? Il vostro impegno pertanto non si fonda su motivazioni puramente umane, su un sentimento passeggero di entusiasmo. In Lui, crocifisso e risorto, incontrate la radice vivificante delle vostre comunità ed insieme la via per farle ancor maggiormente fiorire. In Lui trovate il modo di realizzare il vostro sacerdozio battesimale.

5. La comunità cristiana, dunque, nasce dalla Parola, e affonda le sue radici nel mistero pasquale. Ma vi è un terzo elemento che fa la comunità: è la carità effusa nei nostri cuori dallo Spirito Santo (Cf. Rm 5, 5). Che cosa infatti sarebbe una comunità senza la carità? Che cosa sarebbe se non attuasse quello che il Concilio ha chiamato la «legge» del nuovo popolo di Dio: il precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati? (Cf. Lumen gentium, 9) Che cosa sarebbe senza la piena comunione col proprio vescovo, con la Chiesa universale?

Questa carità però deve farsi visibile. Essa deve permeare ed ordinare tutti gli aspetti della vita della comunità. La comunione spirituale deve farsi comunione di tutta la dimensione umana, deve generare una socialità autenticamente cristiana. È importante – come ho avuto modo di sottolineare già in altra occasione «che la parrocchia diventi sempre più un centro di aggregazione umana e cristiana, cioè realizzi una piena dimensione comunitaria» (Discorso del 24 gennaio 1982).

Le nostre comunità sono chiamate ad essere un'anticipazione della civiltà dell'amore. E ciò significa che, sul modello delle prime comunità cristiane, esse devono realizzare strutture sociali concepite all'insegna della fratellanza, uno stile di rapporti informati dallo spirito di pace e del dono reciproco, una solidarietà che risani il corpo sociale, una vita spirituale comunitaria capace di unire l'amore di Dio e l'amore del prossimo.

Sο che in questo incontro state riflettendo su tutti questi aspetti. Essi sono necessari per la maturità di una comunità e per l'efficacia della sua testimonianza. Il mondo di oggi, spesso lontano da Dio, guarda più ai fatti che alle parole. Ma è il Cristo stesso ad avviarci su questa strada  «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35). La parrocchia è un luogo privilegiato per dare questa testimonianza, ripetendo nel nostro tempo il prodigio delle prime comunità, il prodigio di una vita nuova non sοlο spirituale ma sociale e storica.

La vostra spiritualità è incentrata nell'unità. Con la vostra vita e il vostro impegno volete contribuire alla realizzazione del Testamento di Gesù: «Perché tutti siano uno. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sοla» (Gv 17, 21). Con queste sue parole il Signore Gesù ci ha suggerito – come ha detto il Concilio Vaticano II «una certa similitudine tra l'unione delle persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità» (Gaudium et Spes, 24). Ecco il modello ultimo di ogni rapporto, di ogni convivenza umana: la Trinità ! Da questo supremo modello scaturiscono innumerevoli implicazioni anche per la parrocchia. La luminosa vocazione infatti della comunità ecclesiale è di sforzarsi di divenire, in un certo senso, una icona della SS. Trinità, «fondendo insieme tutte le differenze umane» (Apostostolicam actuositatem, 10) nell'unità tra anziani e giovani, donne e uomini, intellettuali e lavoratori, ricchi e poveri.

Compaginate dall'amore secondo questo modello, le vostre parrocchie potranno esercitare un'azione efficace nei confronti delle anime da avvicinare a Cristo.

Auspico di cuore, cari fratelli e sorelle, che possiate proseguire nel vostro impegno. Sforzandovi di «assimilare fedelmente la peculiare caratteristica di vita spirituale» propria del vostro Movimento – come il Concilio vi invita a fare – (Ibid., 4) e restando nello stesso tempo saldamente uniti ai vostri sacerdoti e ai vostri vescovi, potrete essere autentico lievito nelle vostre parrocchie; potrete aiutarle a scoprire e a sviluppare sempre più la loro vocazione comunitaria.

Non lasciatevi abbattere dalle difficoltà. Siate cemento di unità fra tutti i componenti, gruppi, movimenti e associazioni delle vostre comunità !

Maria, Madre della Chiesa, accompagni il vostro cammino e la vostra azione. Nessuno come Lei, che ha dato al mondo Gesù, vi può aiutare a far sì che nelle vostre parrocchie risplenda il volto di Cristo. Se così sarà, esse realizzeranno sempre più la loro splendida vocazione: essere fra gli uomini la presenza di Cristo (Cf. Giovanni Paolo II, Discorso dei 18 febbraio 1979).

Con la mia Apostolica Benedizione !

 

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