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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLA SARDEGNA
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Venerdì, 9 gennaio 1987

 

Venerati fratelli nell’episcopato,

1. Sono lieto di rivedervi insieme in questo conclusivo incontro collegiale. Nel salutarvi di cuore, il mio pensiero si porta spontaneamente al mese di ottobre di due anni fa, quando voi mi accoglieste lungo le tappe del viaggio pastorale da me compiuto nella vostra isola. Ho ancora nella mente e nel cuore le manifestazioni di affetto delle popolazioni affidate alle vostre cure; e ora approfitto di questa occasione per inviare loro una speciale parola di saluto e di incoraggiamento, esortandole a perseverare nella fede, a sviluppare la carità, a rimanere legate alla Chiesa al fine di garantire la piena fedeltà al Vangelo.

Oggi, nella circostanza di questa vostra visita “ad limina”, desidero innanzitutto esprimervi la mia viva partecipazione alle ansie pastorali, presenti nel vostro animo di responsabili di Chiese dalle antiche e illustri tradizioni cristiane, sulle quali tuttavia soffia talora, non diversamente che altrove, il vento freddo del secolarismo, dell’indifferenza religiosa e del materialismo pratico. È necessario e urgente un nuovo sforzo di evangelizzazione, che riporti nel cuore delle masse popolari il fermento evangelico, consentendo a ciascuno di confrontarsi personalmente col messaggio di Cristo, per cercare in esso la risposta agli interrogativi di fondo, da cui trae senso la vita.

Occorre perciò implorare dal Signore e propiziare con l’azione pastorale l’invio di nuovi operai nella messe evangelica: non sarà mai abbastanza sottolineata l’urgenza dell’impegno vocazionale, la cui efficacia si rivelerà tanto maggiore quanto più coordinate ne saranno le iniziative sia tra le varie diocesi dell’isola, sia tra i diversi istituti religiosi operanti nelle Chiese locali.

Occorre poi stimolare fra i laici la consapevolezza di essere chiamati, in forza del loro battesimo, a collaborare alla diffusione del regno di Dio nel mondo. Ciò suppone un’approfondita opera di catechesi e un costante sostegno nel cammino formativo, che favorisca la crescita di cristiani maturi, capaci di rendere ragione davanti ai loro contemporanei della speranza che li orienta e li sostiene nel quotidiano cammino (cf. 1 Pt 3, 15). Ogni cristiano riceve nel battesimo la fiaccola della fede non per sé soltanto: egli ha il compito di tenerla ben alta con la parola e con l’esempio, in modo che tutti possano da essa attingere luce e calore.

2. Al di là, tuttavia, di questi problemi più generali, mi preme intrattenermi con voi, nel corso di questo incontro, su di un problema comune a tutte le regioni ecclesiastiche italiane, ma che in Sardegna è particolarmente urgente e meritevole perciò di continua riflessione. Intendo soffermarmi, cioè, sul tema, mai sufficientemente esplorato, della mobilità umana e sociale, fenomeno di così vaste dimensioni e con implicazioni così complesse da investire i diritti fondamentali della persona umana.

La realtà, così antica e così nuova, della migrazione, che tante persone ha coinvolto lungo il corso dei secoli e che ancor oggi impone frequenti e costosi distacchi nella famiglia, resta sempre uno dei problemi più attuali e drammatici.

La Sardegna è una delle regioni italiane a più alto tasso di disoccupazione, causa prima del fenomeno migratorio, con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano personale, morale e familiare. Quel fiume umano di esuli, caratteristico della prima storia italiana dopo l’unificazione politica, convogliò subito una forte percentuale di sardi verso il continente americano e, dopo il secondo conflitto mondiale, verso l’Europa e l’Italia del nord.

Parlando di migrazione, permanente o temporanea, il pensiero va in particolare a quella categoria di persone, che sono costrette ad abbandonare famiglia e terra natia, e ad affrontare le incognite e le difficoltà proprie di un ambiente nuovo, per cercare altrove possibilità di vita. Si tratta in genere di lavoratori del braccio, di tecnici, di studenti desiderosi di perfezionamento culturale, ossia di uomini caratterizzati dalla nota comune del bisogno.

Se oggi molti aspetti deteriori del fenomeno si sono più o meno attenuati, la migrazione considerata in se stessa rimane sempre un evento penoso, a motivo della concomitanza di fattori largamente traumatizzanti. Quando un uomo lascia la propria terra per necessità economiche, si colloca in una situazione precaria, aggravata dalla barriera linguistica, dalla diversità dei costumi, dall’isolamento dell’ambiente, della carenza degli alloggi, dall’incertezza del posto di lavoro, dal pericolo dello sfruttamento e dell’emarginazione, dalla privazione dell’affetto delle persone care. Egli resta così esposto al rischio di profonde lesioni alla sua dignità.

E spesso anche dopo aver trovata una conveniente occupazione, le tensioni traumatiche permangono a motivo dell’atmosfera di anonimato e di indifferenza che è propria della città industrializzata. A ciò s’aggiunge l’influsso di ambienti religiosamente indifferenti o impregnati di ostili concezioni ideologiche, che possono mettere a repentaglio la fede del credente. Se poi il migrante conduce con sé la famiglia, le difficoltà vengono per altro verso moltiplicate.

Bastano questi accenni per indurre a considerare la necessità, anzi l’urgenza, che i poteri pubblici e le organizzazioni ecclesiali affrontino il problema dell’emigrazione con cura incessante, nel tentativo di ridurne l’incidenza negativa e di trarne opportunità di incremento della solidarietà umana, in un contesto di carità e di giustizia.

Questo sforzo di risanamento, che rientra nel quadro più vasto di animazione cristiana del mondo contemporaneo, indica da solo la gravità dell’impegno che deve costantemente e pastoralmente ispirare la Chiesa di partenza e quella di arrivo del fenomeno migratorio.

3. Entro l’ambito sostanziale dello stesso fenomeno coesiste il dramma crescente e più acuto dell’immigrazione, sul quale la concatenazione del discorso mi porta a dire una parola. In proposito, non posso fare a meno di pensare a quella massa incalcolabile di esseri umani, costretti prima all’esilio per sfuggire alla guerra, alla paura, all’ingiustizia sistematica, all’intolleranza politica e religiosa, e poi, indotti a vivere in campi di concentramento o di raccolta, ad accettare il ripiego di un lavoro clandestino, in stato di abbandono e di miseria.

Non è questa, in generale, l’immigrazione che investe direttamente l’Italia. Qui convengono per lo più persone desiderose di perfezionamento negli studi o in cerca di un miglioramento sociale. Il risultato è stato che l’Italia s’è trasformata da paese di emigrazione, quale era fino a qualche decennio fa, in paese di immigrazione. Si calcola che si sia superata già la cifra di un milione. Sono uomini e donne, grandi e piccoli, di diverse confessioni religiose: una ricchezza umana, da accogliere, valorizzare, promuovere con cura e amore.

È dovere degli organismi cattolici, guidati dai pastori, mobilitarsi per venire incontro alle loro necessità, soprattutto nell’insufficienza dei provvedimenti pubblici, perché questi fratelli, sottratti ai tentativi di sfruttamento, trovino il loro posto nella società di accoglienza, siano rispettati nella loro originalità propria, entro l’ambito del bene comune, e difesi adeguatamente con una legislazione tempestiva e promozionale.

In questo settore, alle Chiese particolari si apre un campo nuovo di attività, sotto il profilo sia della prima evangelizzazione missionaria sia dell’integrazione ecclesiale, nella prospettiva del realismo dinamico dell’incarnazione del Figlio di Dio.

4. Collegato con questi aspetti della mobilità umana è il turismo, che non a torto viene considerato un segno emblematico dei nostri tempi, almeno nel suo aspetto di fenomeno di massa. La rapidità e la molteplicità dei mezzi di trasporto consentono a categorie sempre più ampie di persone di fruire dei vantaggi del turismo sotto forma di vacanze estive, sport invernali, crociere, campeggi, viaggi organizzati. Anche questo fenomeno si pone alla coscienza della Chiesa quale problema di pastorale sociale da studiare e capire a fondo, e io lo ripropongo all’attenzione delle organizzazioni cattoliche della vostra isola, dove esso appare particolarmente vivo e attuale.

L’aspetto più preoccupante di questa realtà nuova è che il turismo di massa manifesta la tendenza a divenire fine a se stesso, fonte prevalente di guadagno economico, con l’evidente rischio di un ribaltamento di valori: non il turismo per l’uomo, ma l’uomo per il turismo. È così un fattore di per sé positivo, quale è il bisogno di uscire dalle abitudini della vita quotidiana e di concedersi una parentesi serena di svago e di riposo, può trasformarsi in occasione di fuga da se stessi, alla ricerca di una libertà fuori di ogni controllo morale, col pericolo di disperdere la propria personalità e di smarrire i valori soprannaturali.

Certo, il turismo sottende altri aspetti da rivalutare: la possibilità di godere l’armonia della natura, di elevarsi con l’arte alla contemplazione di modelli più alti di bellezza, di verificare da vicino come le varie culture dei popoli, lungo i secoli in ogni continente, concorrano ad arricchire il patrimonio dell’unica famiglia umana. In tal modo grazie al turismo gli uomini possono più facilmente constatare che le diversità poggiano sul sottofondo di valori universali comuni, e in particolare su un insopprimibile bisogno di Dio.

Il turismo offre così all’uomo elementi utili per la maturazione personale, per la comprensione e il rispetto degli altri, per la carità e l’edificazione interiore nel cammino verso una più autentica umanizzazione.

5. Questo argomento suggerisce qualche considerazione anche sul tema del riposo settimanale, divenuto ormai occasione di turismo periodico, col pericolo di secolarizzarsi in puro fenomeno di “fine settimana”, a scapito del concetto di giorno del Signore. Invece di giornata di raccoglimento, di gioia e di arricchimento interiore, la domenica diventa spesso occasione di evasione da un impegno sacro, motivo di dispersione e di vuoto.

È necessario che il riposo domenicale e festivo non perda la sua caratterizzazione di origine e riacquisti tutto il suo profondo significato di celebrazione del giorno del Signore, che è anche giorno dell’Eucaristia e della Chiesa, della preghiera comune e dell’ascolto della divina parola.

Nella loro sollecitudine pastorale, i vescovi dovranno adoperarsi con vigile cura per assicurare l’assistenza religiosa là dove più intenso si verifica il flusso turistico, e per offrire al popolo di Dio adeguate possibilità di partecipazione alla celebrazione eucaristica.

La festività celebrata come giorno del Signore nelle località eminentemente turistiche assume un particolare valore di evangelizzazione, riaffermando la priorità dell’esigenza spirituale sui bisogni di ordine materiale e divenendo segno della gioia futura, significata dal riposo.

6. Concludendo queste riflessioni sul problema delle emigrazioni, cari fratelli, desidero rivolgervi la raccomandazione di un rinnovato impegno nel provvedere agli aspetti negativi che ancora permangono nel settore, nel venire incontro al diritto fondamentale all’integrazione del migrante, nell’armonizzare l’azione ecclesiale con gli sforzi positivi della società civile, nel guardare con particolare cura all’aspetto dell’integrazione ecclesiale, perché tutti i cristiani nella Chiesa, che è comunione di fede e di carità, siano veramente fratelli e nessuno, nel suo ambito, si senta un estraneo.

Benedico di cuore voi e le vostre comunità.

 

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