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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI RAPPRESENTANTI DI ASSOCIAZIONI
E MOVIMENTI CATTOLICI

Sabato, 17 gennaio 1987

 

1. Mi è particolarmente gradito questo incontro con voi, carissimi fratelli e sorelle, qui riuniti per approfondire i problemi del mondo del lavoro alla luce dell’enciclica Laborem Exercens.

Vi porgo il più cordiale benvenuto e vi esprimo il mio fervido compiacimento.

Saluto il presidente della Conferenza episcopale italiana, il caro card. Poletti, e lo ringrazio per le sue amabili parole. Saluto parimenti il segretario generale mons. Camillo Ruini, il presidente della Commissione per i problemi sociali e il lavoro mons. Fernando Charrier con i membri della Commissione, i rappresentanti delle associazioni e dei movimenti cattolici dediti alla grande causa del sostegno e della promozione, in senso cristiano e quindi pienamente umano, dei fratelli, nel loro rapporto con la realtà del lavoro. Con pari affetto mi rivolgo a voi tutti ringraziandovi per la vostra numerosa e attiva partecipazione, la quale testimonia un impegno di fedeltà e di coerenza con la vocazione cristiana. Nelle vostre persone rivolgo il mio più cordiale pensiero a tutti i lavoratori e a tutte le lavoratrici.

2. Vedo nell’odierna iniziativa un segno che la Chiesa in Italia persevera nella volontà di rafforzare “un’azione pastorale di viva attenzione ai problemi e alla cultura degli uomini del lavoro” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI/2 [1983] 1119) secondo l’indicazione data il 18 novembre 1983, a conclusione di un analogo convegno, anch’esso promosso dalla Commissione per i problemi sociali e il lavoro della CEI, indicazione che il convegno assunse tra i suoi programmi operativi. Me ne rallegro sinceramente, sicuro che in tale direzione, oggi, grazie alla vostra opera, viene scritto un nuovo capitolo di sicura vitalità.

Siete infatti animati dall’intento di cercare le risposte più adeguate ai molteplici mutamenti intervenuti nel mondo del lavoro in questa nostra epoca. E, convogliando ammirevolmente le varie energie in un disegno unitario, vi siete posti sul cammino del magistero con puntualità e sensibilità costruttive. Un cammino che, anche in questi tempi moderni, conserva come punto di riferimento la Rerum Novarum del mio predecessore Leone XIII, di cui è stato commemorato il novantesimo anniversario con la Laborem Exercens e che tra quattro anni raggiungerà la tappa centenaria.

3. La nota pastorale “Chiesa e lavoratori nel cambiamento” redatta dalla Commissione “Problemi sociali e Lavoro” della Conferenza episcopale italiana, è destinata ad essere ulteriormente esaminata e approfondita dai vescovi nelle rispettive diocesi e sulle istanze collegiali appropriate. Essa ha avuto origine da un seminario di studio sul tema della solidarietà sociale. E i richiami alla solidarietà hanno pervaso in varie forme le dodici testimonianze che abbiamo or ora ascoltato: quale espressione di aggregazioni che prestano la propria opera in diversi settori del lavoro umano, e si fanno portavoce delle loro ansie, necessità, aspirazioni.

La solidarietà è un imperativo che si va sempre più acutamente imponendo a misura delle crescenti difficoltà del momento.

Il momento che sta attraversando ora il mondo del lavoro è indubbiamente difficile, a motivo, in linea generale, degli aspetti decadenti che contrassegnano negativamente il volto della civiltà, e, specificamente, a motivo dei complessi fenomeni dipendenti dalle rapide, profonde e incessanti trasformazioni nel campo della scienza, della tecnologia e dell’automazione.

La solidarietà, d’altra parte, è una caratteristica che accompagna lo sviluppo di quella che si è soliti chiamare la “questione operaia”. La necessità di eliminare abusi e soprusi, di promuovere il riconoscimento di inalienabili diritti e di garantire condizioni di lavoro conformi a giustizia ed equità “ha fatto sorgere e quasi irrompere un grande slancio di solidarietà tra gli uomini del lavoro . . . Era la reazione contro la degradazione dell’uomo come soggetto del lavoro” (Laborem Exercens, 8); cioè dell’uomo che rifiuta, com’è nella nobiltà della sua indole, di essere considerato strumento produttivo, ma vuole giustamente essere soggetto: reale, effettivo e riconosciuto.

Questo obiettivo assume tuttora un peso enorme. “Perciò bisogna continuare a interrogarsi circa il soggetto del lavoro e le condizioni in cui egli vive. Per realizzare la giustizia sociale nelle varie parti del mondo, nei vari paesi e nei rapporti tra di loro, sono necessari sempre nuovi movimenti di solidarietà degli uomini del lavoro e di solidarietà con gli uomini del lavoro” (Laborem Exercens, 8).

4. Non bisogna stancarsi di propugnare, approfondire e diffondere il primato dell’uomo sul lavoro.

L’odierna crisi dei valori, che tante coscienze raggiunge e turba, costituisce un ulteriore argomento per tenere decisamente puntato l’obiettivo sull’uomo, su ciò che l’uomo è, sulla verità del suo essere.

Diventa così sempre più impellente il ritorno alle pagine bibliche della creazione, a quel “realismo” nel quale l’uomo creatura assurge a collaboratore nell’opera e nella “fatica” del Creatore, e quindi a dominatore intelligente e sagace delle innumerevoli potenzialità nascoste nel cosmo, che i progressi scientifici e tecnici vanno sempre più scoprendo. Su quello sfondo misterioso e sublime l’uomo - “laborem exercens” - appare nella statura autentica della sua grandezza. Da quella sorgente scaturisce l’assoluta intangibilità dell’uomo, la garanzia che essa non può essere mercanteggiata mai, a nessun prezzo, qualunque sia l’evoluzione delle ideologie o delle politiche sociali ed economiche.

Un allargamento dell’orizzonte della solidarietà, quale è richiesto dall’addensarsi di fattori di crisi che affligge in vario modo tutti gli ambiti del lavoro - dall’agricoltura, all’industria, all’artigianato, ai servizi, alle attività autonome - postula la necessità di fare ogni sforzo per allargare i consensi sul principio basilare della dignità personale della donna e dell’uomo in relazione al lavoro, e quindi dell’assoluta e irrinunciabile supremazia della persona sull’attività ch’essa svolge o che è abilitata a svolgere.

È un compito di primordiale importanza, da cui nessuno, che abbia onestamente a cuore il benessere sociale, può sentirsi esonerato.

A titolo specialissimo esso incombe su coloro che sono investiti di pubbliche responsabilità, in primo luogo sugli esponenti di quell’arte destinata a promuovere il bene comune che è la politica, e insieme tutti coloro che hanno la possibilità di influire sull’opinione pubblica.

Vorrei mettere in particolare evidenza il ruolo degli uomini del pensiero. Esso è tanto più necessario quanto più la mentalità odierna viene a trovarsi di fronte ad espressioni massificanti che distraggono dall’essenziale della vita e convogliano invece verso il contingente, quando non addirittura verso il fatuo e il marginale.

Desidero pure sottolineare il ruolo degli operatori dei mezzi della comunicazione sociale. Essi hanno a disposizione preziosi strumenti con i quali possono cooperare costantemente a diffondere in ogni circostanza, come idea-madre della soluzione delle questioni sociali, la supremazia della persona sul lavoro.

5. Nel cumulo di mutamenti sociali, strutturali, culturali che attraversa con tendenza crescente il mondo del lavoro, la solidarietà assume tutti i caratteri di un’urgenza prioritaria.

Il diffondersi dell’automazione postula inevitabilmente di considerare in un modo nuovo l’esigenza di garantire la piena occupazione, esigenza che ogni società bene ordinata considera un traguardo necessario, ben sapendo che cosa significhi per gli individui, le famiglie, la comunità la condanna alle braccia conserte.

Nella realtà concreta l’individuazione di quel nuovo rapporto sembra ancora lontana. Lo denunciano con implacabile eloquenza le statistiche della disoccupazione, particolarmente di quella giovanile legata alla ricerca del primo impiego, e le schiere di sotto-occupati, che popolano i rami dell’attività produttiva.

Questi gravi risultati stanno a indicare un malessere di fondo che permea il tessuto della società. Un malessere generale, non soltanto economico, come dimostra il persistere di molti squilibri nonostante l’elevarsi del tenore di vita.

I meccanismi della solidarietà, per entrare in funzione e far sentire la propria efficacia, hanno bisogno di un “motore” spiccatamente etico e morale. Una mentalità meramente economicistica, qualunque ne sia la matrice filosofica e sociale, produce quanto meno devianti sfasature. Invece una coscienza che sintonizza la sensibilità sui ritmi dello sviluppo tecnologico e delle varie evoluzioni del pensiero e dell’attività umana e tutto rapporta al valore “uomo”, non si stanca di cercare “in radice” la soluzione dei problemi emergenti. “In radice”: ossia non semplicemente nell’ambito settoriale, ma sul terreno in cui l’uomo vive - e deve poterla vivere in pienezza, senza frazionamenti compartimentali - l’esperienza di artefice della propria crescita umana.

6. Il problema della disoccupazione dei giovani è strettamente connesso con il tipo degli ordinamenti scolastici. La serietà dell’insegnamento e dell’apprendimento, la capacità della scuola - nei metodi pedagogici e nei programmi di studio - di preparare efficacemente alla vita, sono fattori fondamentali dell’apertura al mondo del lavoro. La scuola è per natura sua fucina di formazione della personalità, a continuazione del compito educativo della famiglia. Essa possiede - si direbbe per diritto nativo - un carattere di sacralità, che proscrive imperiosamente manipolazioni di qualsiasi genere, e domanda invece tutti i sostegni finalizzati all’assolvimento della sua preminente funzione. In quest’ottica trova la sua naturale collocazione il corretto rapporto tra scuola e sbocco alle attività professionali, in grado di bonificare un po’ alla volta quelle paludi nelle quali ristagna la piaga della disoccupazione e della sotto-occupazione giovanile. L’armonia tra scuola e mondo del lavoro deve essere oggetto di tenace ricerca.

Ma questo, che ho appena accennato, non è che un aspetto della drammatica “piaga” della disoccupazione. Essa presenta molti e complessi risvolti di diverso genere, che vanno attentamente studiati e continuamente seguiti.

7. In questo ordine di idee non si può non mettere a fuoco la persistente coesistenza tra disoccupazione, emigrazione e immigrazione, di cui la situazione italiana è un esempio, in certi sensi, particolarmente caratteristico.

Questo “insieme” di fenomeni che, teoricamente e secondo talune previsioni, avrebbero dovuto l’uno rimediare all’altro, si è andato inavvertitamente estendendo in proporzioni insospettate.

Esso pone, anzi impone gravi interrogativi alle politiche migratorie concepite a raggio settoriale e praticate con criteri spesso economicistici, legati a interessi di parte, lontani dal considerare la ricerca del lavoro un vero e proprio diritto dell’uomo, un concreto esercizio di quella libertà, che è prerogativa della persona umana. L’incremento dell’innaturale trinomio: disoccupazione-emigrazione–immigrazione, esprime una dura realtà e apre prospettive preoccupanti. Il fatto poi che vi siano coinvolti uomini e donne di ogni età, condizione sociale e categoria lavorativa obbliga maggiormente ad approfondire la riflessione e l’attenzione.

Al riguardo, occorre prender coscienza del fatto che oggi i problemi del lavoro devono essere impostati su scala mondiale. Occorre fare ogni sforzo perché gli accordi internazionali siano sempre più applicati e perché ne siano adottati di nuovi affinché la dignità degli uomini del lavoro possa essere concretamente riconosciuta sulla base di una solidarietà e di una coscienza del bene comune in campo economico, che si allarghino a comprendere la totalità del genere umano, indipendentemente dalle differenze etnologiche o culturali.

8. L’allargamento dell’orizzonte della solidarietà e la vivificazione dei suoi contenuti domanda ai cristiani l’apporto del carisma peculiare dell’amore. La vocazione cristiana abilita a questo. Cristo, divino lavoratore, redentore del lavoro, costituisce il modello esemplare, il sostegno e l’animatore con la sua luce e la sua grazia. Occorre perciò perseverare nella meditazione e nello sforzo di assimilazione del “Vangelo del lavoro”, il cui primo nucleo risalente all’alba della creazione conosce il suo misterioso sviluppo nella casa di Nazaret durante la quasi trentennale fatica materiale del Figlio di Dio e poi lungo le strade di Palestina, nei suoi molteplici contatti con la umanità.

Il “Vangelo del lavoro” è la sorgente a cui attingere l’illuminazione e l’energia nell’affrontare le questioni insorgenti. Di qui l’ispirazione per iniziative concrete di servizio e di promozione. Di qui la versatilità nella sapiente inventiva degli strumenti tecnici - compito specifico del laicato - idonei a dare slancio alla elevazione globale del mondo del lavoro. E dalla medesima sorgente deriva la generosa prontezza alla collaborazione, quali “testimoni dell’autentica dignità dell’uomo”, come scrivevo nell’enciclica Dominum et Vivificantem, “per realizzare e valorizzare tutto ciò che nell’odierno progresso della civiltà, della cultura, della scienza, della tecnica e degli altri settori del pensiero e dell’attività umana, è buono, nobile e bello” (Giovanni Paolo II, Dominum et Vivificantem, 60).

Carissimi fratelli e sorelle!

A suggello della Rerum Novarum (Leonis XIII, Rerum Novarum, 35) Leone XIII proponeva come soluzione delle questioni affrontate nella sua magistrale enciclica la carità, “quella carità cristiana che compendia in sé tutto il Vangelo, e che è pronta sempre a sacrificarsi per il prossimo”.

Questa è la parola d’ordine anche nel presente, mentre, camminando verso il Duemila, vogliamo accogliere e far fruttificare in noi stessi le virtualità del messaggio evangelico di salvezza e di liberazione.

Sono certo che nel corso del prossimo Anno Mariano i programmi pastorali delle Chiese particolari, anche per vostro interessamento, comprenderanno iniziative appropriate allo studio e all’analisi delle problematiche degli uomini e delle donne del lavoro, con speciale attenzione ai più umili e bisognosi, ai quali la Vergine, come anche attesta la storia dei santuari a lei dedicati, ha sempre riservato i tratti della sua predilezione materna.

Invocando la sua protezione sulle vostre care persone e sulle vostre attività, vi imparto di cuore la benedizione apostolica, che estendo a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori della diletta Italia.

 

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