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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AD UN SEMINARIO DI STUDIO
PROMOSSO DALLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE

Venerdì, 23 gennaio 1987

 

1. Un caro saluto a voi, partecipanti al Convegno teologico pastorale promosso dal Pontificio Istituto Pastorale dell’Università Lateranense, in collaborazione con la Caritas italiana e dedicato a riflettere sulla carità come elemento ispiratore sia della teologia, sia della concreta vita cristiana.

Parlare della carità significa toccare le radici profonde dell’uomo, e al tempo stesso attingere al cuore della fede e della vita cristiana. Un testo di san Basilio che ci viene proposto dall’Ufficio divino lo illustra stupendamente: “Quando Dio - si legge - ha costruito l’uomo, pose dentro di noi una certa forza razionale a guisa di seme contenente in sé la capacità e la necessità di amare, e quando la scuola dei divini precetti è venuta a contatto con essa, ha cominciato a coltivarla diligentemente, a nutrirla sapientemente e portarla a perfezione con l’aiuto di Dio” (S. Basilio, Regulae fusius tractae, Resp. 2, 1: PG 31, 908-909).

Questa capacità di amare, insita nell’uomo, che lo Spirito di Dio eleva e perfeziona, ed è per il cristiano un debito che non si estingue mai (Rm 13, 8), viene espressa da san Paolo in modo penetrante con le parole: “veritatem facientes in caritate” (Ef 4, 15).

Sta qui la felice idea del vostro convegno: scrutare la verità della carità per innervarla sempre più nel tessuto del pensiero e della prassi cristiana, individuale e comunitaria. In tal modo la teologia - “fides quaerens intellectum” - viene a mettere in luce l’intero dinamismo della vita cristiana, del quale “la carità” è la forza animatrice fondamentale.

2. La fede vissuta, operante nella carità, diventa così un vero e proprio luogo teologico, a cui bisogna fare riferimento, superando quella separazione che talvolta si è fatta notare tra una riflessione speculativa preoccupata solo di lucidità dottrinale e una teologia della situazione pratica, carente di fondamento teoretico. In realtà, tale divaricazione appare perniciosa sia per la teologia morale che per la teologia speculativa. La carità che anima, infatti, l’opera della fede (cf. 1 Ts 1), non è solamente conseguenza pratica di un principio speculativo. La carità entra nel contenuto stesso della rivelazione di Dio, che è Amore (1 Gv 4, 8). La Rivelazione, pertanto, non è solo un insieme di parole-concetti, ma è anche un evento-realtà e dono, per cui il credere, nella sua perfezione, è un accogliere con amore la parola-amore di Dio; al che consegue “l’operosità della carità” (1 Ts 1, 3), che non è altro che la manifestazione concreta dello stesso contenuto della fede.

Alla teologia spetta perciò il compito di aumentare l’intelligenza della fede aprendo la via a una più penetrante e ricca comprensione della rivelazione del Dio Amore. In tal modo, essa non stabilisce soltanto l’unità tra la speculazione e la prassi, ma elabora anche metodicamente un discorso di fede che rispetta il suo orientamento essenziale alla vita per mezzo della carità: “fides quae per caritatem operatur” (Gal 5, 6).

Nella misura in cui la teologia prende atto del suo riferimento alla vita della Chiesa vissuta nella carità, il suo compito critico ed ermeneutico viene vivificato e allargato: non resta confinato alla preoccupazione dell’obiettività scientifica e della precisione dottrinale, che sono requisiti pur sempre necessari, ma, mantenendosi in stretto contatto col dinamismo vivente nella carità e nella comunione ecclesiale, contribuisce ad aprire le vie del futuro della Chiesa, nella quale essa perennemente si rinnova, pur sempre mantenendo la sua identità essenziale voluta da Cristo.

In tal modo, una teologia attenta all’“operosità della carità” si libera dal rischio di restare prigioniera di un immobilismo conservatore, e diventa sempre più una “teologia dinamica” e aperta, preoccupata di preparare il futuro da costruire per il domani dei credenti, e venendo ad assolvere a un ruolo profetico nella stessa Chiesa e nel mondo, in comunione con la Chiesa stessa e con i suoi pastori.

3. In questo contesto, emerge l’importanza di un continuo rinnovamento della teologia sistematica, in funzione della vita della Chiesa, affinché la teologia possa avere quel dinamismo operativo della carità, che la rende elemento propulsore della testimonianza ecclesiale, e la pone in stretto rapporto con i valori della storia della salvezza, della liturgia, della contemplazione, della santità.

Ciò però potrà avvenire soltanto nella misura in cui il lavoro teologico verrà maggiormente pensato in funzione della grande verità biblica del Dio Amore, Padre della misericordia, che conduce l’uomo all’amore verso Dio e verso gli uomini.

In questo, la cristologia ha un compito centrale, in quanto è in Cristo che si manifesta e si attua originariamente la Parola-Amore di Dio: il trattato trinitario, da parte sua, esplicita le dimensioni tripersonali di questo amore che si manifesta nella vita di Gesù e particolarmente nella sua croce: il trattato dell’antropologia teologica mostra il volto dell’uomo nuovo, liberato e promosso alla dignità di Figlio di Dio e guidato dalla legge interiore della carità: il trattato ecclesiologico studia le dimensioni comunitarie dell’amore divino che fonda il nuovo popolo di Dio quale “istituzione operante dell’agape”, quel popolo in cui l’uomo è generato ed educato dalla Chiesa come da una madre, a vivere la propria condizione di libertà filiale; la teologia sacramentaria dal canto suo, prendendo le mosse da Cristo “sacramento” dell’agape, e della Chiesa “sacramento” della carità di Cristo illustra l’incarnazione di questo amore nella storia, fino al compimento del nostro cammino cristiano, individuale e collettivo, che sarà il trionfo dell’amore di Dio, quando saremo con lui e lo vedremo come egli è (cf. 1 Ts 4, 17; 1 Gv 3, 2).

4. Una riflessione conseguente e analoga può essere fatta per tutte le iniziative che scaturiscono dalla comunità ecclesiale: tutto deve essere pensato e attivato nel segno della carità, per recare con le parole e con i fatti agli uomini - a tutti gli uomini, soprattutto ai più bisognosi, ai poveri, ai sofferenti, agli oppressi - la buona notizia dell’amore di Dio in Gesù Cristo per mezzo della Chiesa.

Questo vi dice il mio interesse e la mia compiacenza per la vostra iniziativa così qualificata, che attesta il vostro impegno rispettivamente nello studio e nell’azione. Auguro abbondanti frutti al vostro lavoro e mentre invoco su di esso l’intercessione della Madre della misericordia vi imparto volentieri una larga benedizione.

 

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