Index   Back Top Print

[ EN  - IT ]

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DEGLI STATI UNITI
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Martedì, 31 maggio 1988

 

Cari fratelli nel Signore Gesù Cristo.

1. È di nuovo una grande gioia accogliere un gruppo di Vescovi americani. Saluto in voi tutti i sacerdoti, diaconi, religiosi e laici delle province di Louisville, Mobile e New Orleans. Il ricordo di New Orleans mi invita a mandare un saluto particolare a gruppi là incontrati: i giovani americani, gli apostoli dell’educazione cattolica, l’amata comunità negra del vostro Paese, e tutti coloro che cercano di affrontare la grande sfida dell’educazione cattolica superiore. Nello stesso tempo ricordo nel pensiero e ho caro nel mio cuore tutti i fedeli d’America, per i quali noi ci sforziamo di provvedere un autentico servizio pastorale nel nome del “Pastore supremo del gregge” (1 Pt 5, 4), il nostro Signore e salvatore Gesù Cristo.

Tra tutti gli avvenimenti pastorali vissuti con voi, Vescovi degli Stati Uniti - ogni avvenimento è in continuità con i precedenti - è mia intenzione riflettere con voi su una visione pastorale organica del vostro ministero episcopale. Questa visione organica deve tener conto delle esigenze perenni del Vangelo; deve anche esprimere le indiscutibili priorità della vita della Chiesa oggi, nelle sue necessità universali come in quelle particolari della Chiesa degli Stati Uniti. Nello stesso tempo deve riflettere fedelmente il richiamo del Concilio Vaticano II alla riforma e al rinnovamento, come viene ripetuto dal Vescovo di Roma e dall’episcopato di tutto il mondo in comunione con lui. Questa comunione è soprattutto evidente delle diverse sessioni del Sinodo dei Vescovi, le cui conclusioni sono di urgenza particolare per i piani pastorali della Chiesa.

2. Uno dei temi essenziali del Vangelo sottolineato dal Concilio Vaticano II e dal Sinodo dei Vescovi è il richiamo alla penitenza o alla conversione - e, per conseguenza, alla riconciliazione - necessarie per tutti i membri della Chiesa, e particolarmente rilevanti per la nostra vita e per il ministero di Vescovi. La conversione annunciata da Cristo è un grande programma di vita e di azione pastorale. È la base per una organica visione del ministero pastorale, legato ai grandi aspetti della rivelazione divina.

La conversione ci parla della necessità di riconoscere la supremazia di Dio nel mondo e nella nostra vita individuale. Presuppone l’esistenza del peccato e la necessità di rispondere a Dio in e attraverso Cristo salvatore, che ci libera dai nostri peccati. Il comando di Cristo di convertirci ci impone “l’obbedienza alla fede” (Rm 1, 5) con tutte le sue implicazioni.

La conversione diventa per noi una sintesi del Vangelo, e le continue conversioni lungo tutti i secoli rispecchiano l’incessante intervento di Cristo risorto nella vita della Chiesa. Gesù stesso ci introduce nel significato della conversione e della penitenza quando dice: “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1, 15). Conversione significa un cambiamento interiore di atteggiamento e disposizione verso Dio e il mondo. Così la Chiesa ha sempre compreso tale realtà. Il Sinodo del 1983 l’ha descritta come “l’intimo cambiamento del cuore sotto l’influsso della Parola di Dio e nella prospettiva del Regno”, e ancora come “la conversione che passa dal cuore alle opere e, quindi, all’intera vita del cristiano” (Reconciliatio et Paenitentia, 4).

3. La nostra conversione è quindi una risposta all’invito di Gesù ad abbracciare il Vangelo ed entrare nel suo Regno. Questo invito era stato anticipato dal precursore del Regno, Giovanni il Battista: “Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino” (Mt 3, 2).

Gesù stesso ha affidato questo invito agli apostoli e, attraverso loro, a noi. Nel giorno di Pentecoste fu accolto da Pietro che chiamò il popolo a proclamare Gesù Cristo, Signore e Messia, dicendo: “Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo” (At 2, 38). L’apostolo Paolo testimoniò pubblicamente il fatto che egli “predicava di convertirsi e di rivolgersi a Dio, comportandosi in maniera degna della conversione” (At 26, 20).

Imitando gli apostoli Pietro e Paolo, tentando di abbracciare la realtà della conversione e predicandola, noi proclamiamo realmente l’intero contenuto della verità rivelata da Gesù sulla conversione. Parlando di conversione o penitenza noi dirigiamo l’attenzione della gente verso Dio stesso e verso il bisogno di vivere in conformità con la verità espressa da Dio sulla natura dell’uomo. Invitare a convertirsi significa proclamare il dominio di Dio su tutta la nazione, in particolare su tutti gli uomini. Significa onorare la legge di Dio e riconoscere tutti gli effetti pratici della creazione. Nell’atto di convertirsi la persona umana proclama la sua dipendenza da Dio e riconosce la necessità di obbedire alla legge del Signore per vivere liberi.

La conversione presuppone un riconoscimento della realtà della ribellione dell’uomo alla maestà di Dio. Nel cuore di ogni persona convertirsi significa la vittoria della grazia sul peccato, così che “laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5, 20). La conversione è resa possibile e compiuta nel cuore dell’uomo dalla vittoria di Gesù nel mistero pasquale. Ogni conversione umana è manifestazione del disegno di Dio, laddove gli esseri umani devono acconsentire all’azione salvifica di Dio. Dunque ogni conversione esprime la nobiltà degli sforzi umani e nello stesso tempo la loro assoluta inadeguatezza. Ogni conversione proclama la supremazia della grazia.

4. Riflettendo sulle parole di Gesù di convertirsi, di pentirsi, di aprire il cuore alla vita della grazia, di rinunciare al peccato, scopriamo il rapporto tra la conversione e l’amore di Dio, il rapporto tra la conversione e la potenza di Dio. Quando riflettiamo sull’invito di Gesù a fare penitenza, scopriamo la nuova parola di misericordia, rivelata nella croce.

La croce di Gesù Cristo è davvero - come ho detto prima - “una rivelazione radicale della misericordia, ossia dell’amore che va contro a ciò che costituisce la radice stessa del male nella storia dell’uomo: contro il peccato e la morte . . . la croce di Cristo, infatti ci fa comprendere le più profonde radici del male” (Dives in Misericordia, 8).

La misericordia a sua volta presuppone la conversione da parte nostra, e la nozione di conversione ci costringe a riflettere sulla verità con cui dobbiamo vivere. Accade spesso che quando la Chiesa parla della necessità della verità per la conversione e la misericordia, il mondo reagisce negativamente. Ma la Chiesa non può proclamare la realtà dell’infinita misericordia di Dio senza precisare come accettare la misericordia richiede una apertura verso la legge di Dio. Richiede che venga osservata la legge di Dio, come risposta alla misericordia. Dimostrando la sua fedeltà al suo amore paterno, Dio non può contraddire la sua stessa verità. Perciò la vera conversione, che consiste nello scoprire la misericordia di Dio, comprende il pentimento per ciò che nega la verità di Dio espressa nella natura dell’uomo.

5. Nello stesso tempo la conversione porta con sé la riconciliazione. È il dono del Padre dei cieli dato attraverso Cristo e nello Spirito Santo a coloro che si convertono. Con le parole di san Paolo: Dio “ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione” (2 Cor 5, 18).

La conversione resta la chiave per la riconciliazione e per il ministero di riconciliazione della Chiesa. Ogni riconciliazione individuale e collettiva proviene dalla conversione del cuore. Il tessuto sociale della Chiesa e del mondo sarà riformato e rinnovato solo quando la conversione sarà interiore e personale.

La necessaria riforma delle strutture economiche e politiche oppressive del mondo non può avvenire senza la conversione del cuore.

La riconciliazione dell’umanità a livello di individui, di comunità, di popoli e di blocchi di nazioni presuppone la conversione del cuore degli individui e deve fondarsi sulla verità. Il Sinodo sulla riconciliazione e la penitenza ha proclamato con decisione questa verità, mostrando come alla base di tutte le divisioni c’è il peccato personale, la cui ultima essenza e oscurità è la “disobbedienza a Dio” (Reconciliatio et Paenitentia, 14; cf. 16).

6. Chiamata ad essere segno di riconciliazione nel mondo, la Chiesa è perciò chiamata ad essere segno di conversione dal peccato e di obbedienza alla legge di Dio. Per sua stessa natura la Chiesa è il grande sacramento della riconciliazione. Per vivere pienamente questa verità essa deve in ogni momento essere una comunità riconciliata e riconciliante che proclama la forza di divisione di ogni peccato personale, ma soprattutto la potenza riconciliante e unificante del mistero pasquale di Cristo, in cui l’amore è più forte del peccato e della morte.

Fedele alla sua missione la Chiesa deve predicare l’esistenza del male e del peccato. Con grande intuizione il Sinodo dei Vescovi ha riconosciuto, con il Papa Pio XII, che “il peccato del secolo è la perdita del senso del peccato” (cf. Reconciliatio et Paenitentia, 18). Nell’esortazione apostolica post-sinodale ho notato che “ristabilire il giusto senso del peccato è la prima forma per affrontare la grave crisi spirituale incombente sull’uomo del nostro tempo” (cf. Reconciliatio et Paenitentia, 18). Già la Chiesa dei primi tempi aveva reagito con decisione di fronte all’illusione, da parte di alcuni, dell’assenza del peccato, come dimostra la prima lettera di san Giovanni: “Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi” (1 Gv 1, 8).

Quando prendiamo a cuore questo insegnamento, apriamo noi stessi all’azione dello Spirito Santo che ci rivela i nostri limiti e le nostre mancanze e ci “dichiara colpevoli” dei nostri peccati in atti e omissioni. Nello stesso tempo, come individui e come comunità nella Chiesa noi sappiamo di non aver ancora conseguito la meta, non viviamo ancora pienamente il Vangelo, non applichiamo ancora alla perfezione le direttive del Concilio. Più abbiamo il senso dei nostri limiti e peccati personali, più ci terremo lontani da ogni sentimento di trionfalismo e accoglieremo ogni osservazione e suggerimento pertinente sulla nostra vita e il nostro ministero.

7. Umiliata davanti al Signore e riconciliata con lui e con se stessa, la Chiesa è in grado di perseguire, con libertà interiore, la sua missione specifica, che è di “suscitare nel cuore dell’uomo la conversione e la penitenza e offrirgli il dono della riconciliazione” (Reconciliatio et Paenitentia, 23). Questo fa in molti modi, soprattutto attraverso la catechesi e i sacramenti a lei affidati da Cristo. Nel momento attuale della vita della Chiesa, negli Stati Uniti come in tutto il mondo, è opportuno riflettere sul sacramento della Penitenza, con l’intenzione di rafforzare, in comunione con tutta la Chiesa, un approccio pastorale organico a una questione di così suprema importanza per la conversione e la riconciliazione del mondo.

L’esperienza generale dei Vescovi partecipanti al Sinodo e di altri in tutta la Chiesa rispetto alla pratica di questo sacramento è stata riassunta in questo modo: “Il sacramento della Penitenza è in crisi . . . Perché il sacramento della Confessione è stato travisato” (Reconciliatio et Paenitentia, 28). Queste considerazioni non sono espressioni negative di pessimismo né causa di allarme; sono piuttosto espressive di un realismo pastorale che richiede una riflessione pastorale positiva, una pianificazione e azione. Per la potenza del mistero pasquale di Cristo attivo in essa, la Chiesa è in grado di rispondere a tutte le crisi che incontra, compresa questa. Ma deve accertarsi di riconoscere le crisi e di fronteggiarle con i mezzi soprannaturali a sua disposizione.

8. In questa crisi, che diventa una sfida per la fedeltà della Chiesa, i Vescovi hanno una responsabilità particolare, che devono assumersi con unitaria efficacia. In una materia così santa come questo sacramento, sforzi sporadici non sono sufficienti per superare la crisi. Per questo vi invito oggi, e attraverso voi tutti i Vescovi degli Stati Uniti, a elaborare un piano pastorale organico in ciascuna diocesi per ridare al sacramento della Penitenza il giusto posto nella Chiesa e rinnovarne la pratica in pieno accordo con le intenzioni di Cristo.

Un punto cruciale in questo processo di rinnovamento è “l’obbligo per i pastori di facilitare ai fedeli la pratica della confessione integra ed individuale dei peccati, che costituisce per essi non solo un dovere, ma anche un diritto inviolabile ed inalienabile, oltre che un bisogno dell’anima” (Reconciliatio et Paenitentia, 33). In questo impegno i Vescovi hanno bisogno del sostegno e della collaborazione fraterna di tutti. Di particolare importanza sono gli sforzi concertati di tutti i membri della Conferenza episcopale nel ribadire che la “gravis necessitas” richiesta per l’assoluzione generale sia intesa nel senso indicato nel Canone 961. In diverse parti del mondo la crisi del sacramento della Penitenza è dovuta in parte a interpretazioni non ufficiali di quanto costituisce le condizioni di “gravis necessitas” stabilite dalla Chiesa. I Vescovi, non solo degli Stati Uniti ma di tutti i Paesi, possono dare un grande contributo pastorale al vero rinnovamento del sacramento della Penitenza, con lo sforzo continuo di fare il possibile per promuovere la giusta interpretazione del Canone 961. È in gioco la questione del rapporto personale che Cristo vuole avere con ogni penitente e che la Chiesa deve difendere senza tregua. Nell’enciclica Redemptor Hominis ho parlato di questo rapporto che coinvolge diritti di ogni individuo e di Cristo stesso (cf. Redemptor Hominis, 20).

9. In quanto Vescovi noi contribuiamo anche al vero rinnovamento incoraggiando fraternamente i nostri sacerdoti a perseverare nel loro incomparabile ministero di confessori. Questo vuol dire che essi devono per primi percorrere questo cammino di conversione e riconciliazione (cf. Reconciliatio et Paenitentia, 29). Anche in questo voi dovete essere di esempio. I sacerdoti sono destinati da Cristo a una grande pienezza spirituale nel compimento del “ministero della riconciliazione” (2 Cor 5, 18), in una maniera unica e supremamente reale.

La riflessione sul sacramento della Penitenza come sacramento di conversione e riconciliazione aiuterà certo le persone e le comunità nella Chiesa a comprendere la vera natura del rinnovamento auspicato dal Concilio Vaticano II. Il sacramento della Penitenza è attuazione della vittoria pastorale di Cristo, poiché è l’applicazione alla persona della sua azione riconciliatrice del cuore. Senza un’appropriata pratica del sacramento della Penitenza ogni altra forma di rinnovamento sarà incompleta e, nello stesso tempo, la riforma e il rinnovamento delle strutture saranno limitati. Per questo il sacramento della Riconciliazione dimostrerà di essere una chiave per il progresso sociale e misura certa dell’autenticità di ogni rinnovamento nella Chiesa degli Stati Uniti e di tutto il mondo.

10. Mentre ci avviciniamo all’anno duemila, dobbiamo con sempre maggiore efficacia proclamare la pienezza della misericordia di Cristo e offrire al mondo la speranza che si fonda solo sul Salvatore pieno di amore e di perdono. Per compiere questo, siamo chiamati a fare il possibile per promuovere il sacramento della misericordia e del perdono, in accordo con il Concilio Vaticano II, le norme liturgiche della Chiesa, il Codice di diritto canonico e le conclusioni del Sinodo del 1983 espresse in Reconciliatio et Paenitentia. Una meta così grandiosa non può essere conseguita senza il costante e rinnovato impegno collegiale dell’episcopato di tutto il mondo. Oggi, in particolare, questo impegno lo chiedo a voi e ai vostri fratelli Vescovi degli Stati Uniti. A ciascuno di voi e alle vostre Chiese locali: “Grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro” (1 Tm 1, 2).

 

© Copyright 1988 - Libreria Editrice Vaticana

 



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana