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VISITA ALLA PARROCCHIA DI SAN LUIGI GONZAGA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 6 novembre 1988

 

Ai bambini nella scuola materna delle suore Dorotee

“Vedi abbiamo fatto come ci hai insegnato tu, abbiamo aperto, anzi spalancato festosamente i cancelli della nostra scuola per accogliere . . .”. Con voce squillante, ferma nel tono, sicura nelle parole pronunciate a memoria un bimbo di 8 anni assolve il suo non facile compito di accogliere per primo il Santo Padre in visita alla comunità parrocchiale di San Luigi Gonzaga ai Parioli. E lo accoglie insieme con tantissimi suoi compagni di scuola nel cortile dell’Istituto Carosi Martinozzi retto dalle Suore Dorotee di Vicenza, dove, vista l’esiguità dell’edificio parrocchiale, sono stati radunati i rappresentanti più giovani della comunità.
Il Papa, dopo essere stato salutato dal Cardinale Poletti, dall’ausiliare per il Settore Nord, Monsignor Boccaccio e dal Parroco Monsignor De Grada, si immerge nell’abbraccio di questi bambini che lo hanno pazientemente atteso per ore ed ore, provando e riprovando canzoni discorsi preghiere.
 

Gesù diceva: lasciate i bambini venire a me. E queste sue parole sono rimaste per tutte le generazioni, non solo tra i cristiani ma tra tutta l’umanità. Perché Gesù voleva avere vicino a sé i bambini? Certamente perché i bambini portano nei loro occhi la rivelazione di quello che Dio ha creato a sua immagine e somiglianza. Basta vedere questi piccoli che già si rivela l’uomo, unico, la persona, il futuro; già rivela quello che, fra tutte le creature del mondo visibile è il più sublime. Ma volendo avere così vicino a sé i bambini Gesù diceva “Lasciateli venire perché a loro appartiene il Regno dei cieli”. E queste parole ci dicono ancora di più non solo la bellezza, la sublimità della persona umana in sviluppo, ma ci rivelano nello stesso tempo un’altra realtà soprannaturale, in ciascuno di questi piccoli infatti cresce il Regno dei cieli, il Regno di Dio. E questa parola è una rivelazione anche maggiore perché ci parla non solo di ciò che è visibile ed umano, ma ci parla di quello che è invisibile e divino. Sì, carissimi fratelli, in noi c’è non solo quello che è propriamente umano e che costituisce propriamente la nostra dignità naturale; in noi c’è di più, c’è quello che è divino e che costituisce la nostra dignità soprannaturale. Questo Regno dei cieli, che si trova in ogni piccolo dal momento del battesimo, deve crescere, deve svilupparsi. E questo è un compito della comunità cristiana proprio a cominciare dalla famiglia; la Chiesa domestica. Deve essere sviluppato, sempre più approfondito questo Regno di Dio che si trova in ogni bambino e che deve crescere proprio come cresce e si sviluppa la sua natura umana. Io vedo qui la realizzazione di questo processo di crescita attraverso quelli che si preparano alla prima comunione. Certamente nella crescita del Regno di Dio attraverso ciascuno di noi la prima Comunione è un momento culminante. Ci sono poi quelli che si preparano alla Cresima, cioè ad un altro momento che segna sì una crescita umana, ma che rappresenta anche una crescita cristiana, improntata dal Regno di Dio che si sviluppa nei nostri cuori. Così ci incontriamo insieme nella parrocchia subito con la piena realtà di ciò che è la Chiesa nelle sue diverse dimensioni, nella sua universalità, nella sua dimensione romana, nella sua dimensione parrocchiale; la Chiesa serve questo misterioso sviluppo, questa misteriosa crescita del Regno di Dio in ciascuno di noi. Noi tutti, siamo debitori alle nostre parrocchie. Io stesso quando sono tornato nella mia parrocchia, come Papa, come Vescovo di Roma da poco eletto, ho baciato il battistero; l’ho baciato con grande devozione perché questo battistero ha significato un momento decisivo della mia vita, il mio inserimento nella realtà del Regno di Dio. Ed il battistero segna l’inserimento di ciascuno di noi in questo Regno ed apre un cammino, il cammino che fa la Chiesa, ma che con la Chiesa compie sempre Gesù Cristo stesso attraverso lo Spirito Santo. Questo è il cammino della fede, della speranza, della carità. Ecco, lo vorrei augurare a questi giovani parrocchiani di entrare bene in questo cammino, di continuarlo bene insieme con i genitori e con tutta la Chiesa di Roma e vi auguro anche tutto il bene per le vostre famiglie, tutta la pace e tutta la concordia, vi auguro buone amicizie e tutto ciò che serve per la vostra crescita.  

L’incontro con le religiose

Un ruolo importante nella vita della comunità parrocchiale di San Luigi Gonzaga lo rivestono le suore delle diverse congregazioni che operano nell’ambito territoriale. Il Papa, prima di raggiungere la Chiesa parrocchiale le incontra in una sala della scuola rivolgendo loro un breve discorso.  

Vi sono suore di ordini diversi, di congregazioni diverse, di fondatori diversi ed anche di fondatrici diverse; ma c’è una cosa che vi unisce tutte, una cosa molto simile a quella di cui ho parlato poco fa ai bambini. Gesù ha detto lasciate i bambini venire a me perché a loro appartiene il Regno dei cieli. Ecco, voi avete in voi stesse questo tipo di fanciullezza, una fanciullezza soprannaturale. Anzi questa fanciullezza in voi diventa matura. In questa maturità c’è il mistero della scelta assoluta della dedicazione di tutta la vita per il Regno dei cieli: questa è la vostra vocazione nella Chiesa. Per questo la Chiesa vi ama, la Chiesa vi apprezza, la Chiesa vi benedice e soprattutto prega ogni giorno, - lo fa il Papa, i Vescovi e tutti i sacerdoti - prega per la vostra vocazione e per le vostre vocazioni di ogni giorno, perché la vocazione si vive ogni giorno. Pregare per le vostre vocazioni significa pregare per quelle nuove, per le vostre sorelle chiamate dal Signore per dare testimonianza delle cose escatologiche, del Regno dei cieli; per testimoniare ad un mondo che dimentica troppo spesso quella definitiva dimensione della vocazione umana alla quale tutti siamo chiamati, perché tutti siamo chiamati a diventare partecipi e cittadini della Gerusalemme celeste.  

Il saluto ai fedeli prima della Messa

Conclusa la prima fase della visita nell’Istituto delle Suore Dorotee, il Papa raggiunge la chiesa di San Luigi in via di Villa Emiliani. Dinanzi all’ingresso è radunata una piccola folla di fedeli ed il parroco indirizza al Papa il suo saluto di benvenuto. Alle parole del Parroco il Papa risponde salutando tutti.  

Saluto i componenti di questa parrocchia romana che si trova in una zona molto prestigiosa, e che porta il nome di un grande santo italiano, san Luigi Gonzaga. Ringrazio il parroco per le sue parole di saluto attraverso le quali ha fatto un’ampia sintesi delle attività parrocchiali. Durante la santissima Eucaristia offriremo tutto questo impegno sull’altare e vogliamo cercare, nel sacrificio di Cristo, la luce e la forza per il continuo compimento di queste testimonianze, di questi destini propri a noi tutti, a ciascuno di noi in quanto figli di Dio, cristiani. Auguro alla vostra comunità di guardare, insieme al vostro patrono san Luigi Gonzaga, a questi destini soprannaturali che accompagnano la nostra vita sulla terra; essi vanno insieme con noi e ci presentano continuamente un’ultima sfida ma al tempo stesso un’ultima promessa. Per questo la nostra vita umana e cristiana rappresenta da una parte un’esigenza e da un’altra è piena di speranza. Io vi auguro che queste due realtà, l’esigenza e la speranza dimorino tra di voi come cristiani, e vi auguro di trovare sempre in Cristo la forza per portare avanti la vostra vita cristiana in tutta la sua identità, in tutta la sua dignità.

L’impegno affidato alla gioventù

Un incoraggiamento e un aiuto sono chiesti al Papa dai giovani della parrocchia, nell’incontro avvenuto subito dopo la Messa. Mancano - dice il Capogruppo degli Scouts - degli adulti profondamente motivati che offrano testimonianza cristiana tra i più giovani.
Parlando a nome dei ragazzi e degli adolescenti, il dirigente Scout non nasconde le difficoltà di un quartiere “che mentre si sta ringiovanendo per un ricambio generazionale si trova oggi di fronte a una carenza d’impegno” proprio nel settore più vivo, ricco di potenzialità e aperto al futuro.
A questa “preoccupazione apostolica” il Papa risponde sottolineando come essa già sia una testimonianza d’impegno.
 

Ciò vuole dire che i giovani di questa parrocchia vivono nello spirito del Vangelo, nello spirito che ci ha portato Gesù. E lo vivono non come un’idea, o un complesso di idee, ma come persona divina.

Cristo ci ha aperto attraverso la sua croce, la sua resurrezione, la sua redenzione: ci ha portato il dono. La sua prima parola agli apostoli dopo la passione e la resurrezione fu questa: ha tramandato lo Spirito Santo; ha dato, ha offerto lo Spirito Santo agli apostoli, e in essi l’ha aperto a tutta la Chiesa, a tutte le generazioni dei cristiani. Noi siamo interiormente lavorati dallo Spirito Santo; lui lavora in noi. E questo è lo spirito di Cristo, lo spirito evangelico. Non è un’idea solamente: è una persona, è una realtà vivente. È una comunione con Dio Padre, con Dio Figlio nello Spirito Santo.

E così cominciamo ogni volta la celebrazione eucaristica con queste classiche parole paoline, che esprimono la dimensione della nostra vita.

Tutto questo s’inserisce anche nella caratteristica della vostra parrocchia, che ha come patrono un giovane, uno dei più grandi santi giovani della Chiesa: una figura straordinaria, con una vita breve ma esemplare. Viveva sulla terra ma viveva già anche nella dimensione soprannaturale: “ad maiora natus”. D’altra parte questo grande santo non aveva doti diverse da quelle che ciascuno di noi possiede: era battezzato con lo stesso Battesimo, cresimato con la stessa Cresima, si alimentava con la stessa Eucaristia, con lo stesso pane di Cristo; si confessava come noi ci confessiamo, nello stesso sacramento della Riconciliazione. Viveva la sua vita straordinaria, eroica, con le stesse fonti, con le stesse forze che sono a nostra disposizione.

E questo ci dice che tali forze in noi devono essere operanti per portare frutti significativi; forse non dello stesso grado - poiché esistono anche diversi gradi nella partecipazione dei doni divini - ma in misura sufficiente, in grado meritevole, che possa fare di noi testimoni di Cristo, cristiani autentici, apostoli. Giovani per i giovani. Da parte mia sono contento di incontrare i giovani delle parrocchie di Roma, perché attraverso la loro presenza si vede tutto l’impegno, la disponibilità, quell’impegno e quella disponibilità che sono un bene della Chiesa, ma anche un bene per ciascuno di voi. Non c’è un progetto di vita migliore, più concreto di quello che possiamo trovare seguendo Cristo. Ed è questo, carissimi giovani di tutti i gruppi e di tutte le associazioni della parrocchia, che io vi auguro, pensando con il vostro patrono a ciascuno di voi, alla vostra vocazione, al cammino che sta davanti a voi. E vi benedico affinché portiate avanti il progetto di vita che viene dalla vostra fede, dalla vostra speranza, nel quale si fa carne la vostra carità.  

Al Consiglio pastorale e alle associazioni parrocchiali

La ricerca della comunione e dell’integrazione tra i vari gruppi, nel rispetto dei carismi specifici è lo sforzo maggiore nel quale è impegnato il Consiglio pastorale della parrocchia. Lo dice al Papa il presidente, ammettendo come spesso le differenze di finalità e la ricerca legittima, ma eccessiva, delle proprie individualità “facciano perdere di vista il fine ultimo che ci accomuna”.
I membri del Consiglio - presenti all’incontro con Giovanni Paolo II - rappresentano tutti i gruppi, i movimenti, gli Istituti religiosi che operano nell’ambito parrocchiale. E proprio quest’anno, XXV della parrocchia, si è voluto imprimere una svolta anche operativa per l’unità e il servizio comune.
Ascoltato con attenzione l’intervento del Presidente del Consiglio pastorale della parrocchia, il Papa così si rivolge ai presenti.
 

Questa relazione mi ha richiamato alla mente un’analogia paolina. Sappiamo bene che san Paolo ha usato questa analogia per esprimere la natura della Chiesa: il corpo di Cristo. È un’intuizione che può anche sembrare un po’ strana: Chiesa, corpo. Ma riflettendo, e cercandone le ragioni, si vede sempre meglio che il corpo - il corpo umano - è un’insieme, un agglomerato, una unità straordinariamente perfetta. E un’insieme di elementi diversi: nel corpo c’è diversità, anche una estrema diversità, come ben sappiamo, e ancor meglio sanno gli studiosi di scienze biologiche umane. Ma al tempo stesso c’è l’unità di elementi così diversi. C’è un motivo molto profondo per questa analogia paolina: la Chiesa è il corpo di Cristo. Vuol dire che Cristo, con la sua incarnazione, con la sua redenzione, con la sua croce e resurrezione, con i suoi sacramenti, è diventato un centro di unificazione di tante persone. Potenzialmente di tutti gli uomini. Abbraccia e unisce tutta l’umanità. Noi non sappiamo in che misura ciascuno dei nostri fratelli e sorelle della famiglia umana appartiene a questo corpo. È un mistero. Ma certamente è anche una profonda realtà. Cristo ha redento tutti, ha abbracciato tutti, e tutti si trovano in questa unità soprannaturale causata una volta e per sempre da lui.

Ecco più o meno una breve esegesi di questa analogia paolina tra il corpo di Cristo e la Chiesa. Vi ho pensato, ascoltando il vostro presidente, perché nella Chiesa ci sono dimensioni diverse: essa è nello stesso tempo, universale e locale, particolare; è la Chiesa di Roma e delle Indie, del Brasile e del Sudan, di tanti Paesi del mondo, di tanti popoli del mondo. In questa Chiesa vi sono dunque diverse Chiese, diverse comunità particolari, sino ad arrivare alla famiglia, che si chiama “Chiesa domestica”, passando attraverso la parrocchia. Quest’ultima è una Chiesa particolare molto speciale. Ecco, voi siete la parrocchia. Siete persone, ma come rappresentanti della parrocchia siete anche un corpo: il corpo dei parrocchiani. Che cosa vi unisce? Un sentimento, una consapevolezza della responsabilità. Una responsabilità maggiore di quella degli altri? Non lo sappiamo esattamente, ma possiamo supporlo.

Ora questa consapevolezza della responsabilità vi unisce: responsabilità per la Chiesa, la Chiesa concreta che è la vostra parrocchia.

Questo corpo che è la vostra parrocchia certamente si trova in un edificio, possiamo dire una casa, che sembra insufficiente alla sua vera dimensione. Avete ereditato questa chiesa, onorata dal titolo di san Luigi Gonzaga, grande giovane, patrono dei giovani; forse una volta era adeguata al corpo che costituiva la vostra parrocchia. Oggi non sembra più sufficiente. E come di questa insufficienza fare sufficienza? Sappiamo che vi sono dimensioni del corpo materiali; e vi sono dimensioni dello spirito. Sono convinto che in questa angustia di spazio parrocchiale, in senso materiale, fisico, voi potete certamente sviluppare una larghezza dello spirito, una dimensione dello spirito propria della vocazione cristiana. Perché la vocazione cristiana è larga, non è mai chiusa, è sempre aperta agli altri come nel corpo ogni cellula è aperta all’altra cellula e, tutte insieme all’ organismo intero.

Allora questa larghezza proviene dall’apertura: apertura dei cuori, apertura degli intenti, apertura delle preoccupazioni, apertura dell’amore. Ecco, con tutte queste considerazioni volevo arrivare alla parola amore. Per augurarvi, carissimi fratelli e sorelle, questo amore che “fa la Chiesa, che fa la sua vera natura, il suo dinamismo, la sua missione, e anche la sua estensione, al di là degli spazi diversi. L’amore contiene tutto, abbraccia tutto, interagisce in tutto. Vi auguro l’amore, nella vostra parrocchia, nonostante l’angustia della vostra chiesa di san Luigi Gonzaga, insufficiente per la vostra comunità.  

Con i neocatecumenali il congedo dalla parrocchia

Evangelizzazione e catechesi occupano ed hanno avuto, nell’impegno della parrocchia, un posto preminente rispetto ad altre attività. Si sono compiuti vari tentativi di animazione liturgica per le Messe festive e di coinvolgimento nelle iniziative con Giornate parrocchiali. Si sono cercati, con particolare attenzione, i “lontani”, con visite alle famiglie. Si è intensificata la preparazione alla Cresima, cercando di seguire anche il dopo-cresima, e la preparazione al matrimonio.
A questo lavoro assiduo, tanto impegnativo quanto fruttuoso, offrono un particolare contributo i neocatecumenali. Attivi a S. Luigi Gonzaga da quasi vent’anni, essi sono presenti oggi con 5 comunità che raggruppano circa 150 adulti e una ottantina di bambini. E dalla parrocchia dei Parioli sono partiti vari catechisti itineranti, i quali hanno raggiunto diversi Paesi dell’Europa, dell’Asia, dell’Africa e delle Americhe. I neocatecumenali ricevono il Papa sotto una grande tenda bianca e gialla, approntata nel cortile del complesso parrocchiale. Ad una breve introduzione del parroco, fa seguito la presentazione delle diverse comunità da parte di Kiko Arguello, fondatore del cammino neocatecumenale.
Il Papa, dopo un affettuoso saluto ai numerosi bambini presenti, pronuncia le seguenti parole.  

Il radicalismo evangelico, che incontriamo in diverse pagine dei Vangeli, si esprime soprattutto con le parole: dare la vita. Cristo certamente era un maestro, un “rabbi”, ha insegnato, ma ci ha detto tutto e alla fine, pienamente, dando la vita. Con la sua morte e la sua resurrezione. E la sua ultima parola è la parola più completa. Allora: dare la vita. Io vedo che nelle vostre comunità neocatecumenali questa parola si fa carne. Sono tanti che sono pronti a dare la vita: in modi diversi, e sono tanti. Lo sa bene lo Spirito Santo.

Un’altra considerazione è legata alla parola lievito. Sappiamo bene la parabola del Vangelo che parla del lievito. Ecco, voi siete un lievito, un lievito che fa crescere la pasta. La Chiesa è una massa, l’umanità è una massa maggiore. Anche la Chiesa è una massa. Ma questa massa qualche volta è una massa inerte, non sufficientemente catechitizzata, non sufficientemente alimentata dai sacramenti, non sufficientemente consapevole di quello che è il Battesimo. Il Battesimo è, possiamo dire, il primo lievito in ciascuno di noi, che ci fa vivere la vita di Cristo. Cristo crocifisso, morto e risorto: questo ci fa vivere personalmente nel nostro corpo, nella nostra anima, nella nostra persona il Battesimo. Noi siamo sempre insufficientemente consapevoli di quello che è il nostro Battesimo. San Paolo ci ha lasciato indicazioni, messaggi perfetti su quello che è il Battesimo. Noi però siamo sempre al di sotto nella consapevolezza di ciò che è, della sua realtà, di quello che vuol dire. Ecco perché ci vuole il lievito per far crescere la consapevolezza del Battesimo, che è esso stesso un lievito, un lievito sacramentale; ci vuole però un lievito anche apostolico.

Basandovi su questa consapevolezza, vi fate lievito per la massa nelle chiese, nelle diocesi, nelle parrocchie, e fate sì che si realizzi una parola che corrisponda pienamente a quello che voleva Cristo dagli apostoli: andate. Non diceva: prendete i palazzi, le ricchezze, le case . . . no. Gli diceva: andate. Così anche voi siete itineranti in corrispondenza alla parola di Cristo. Anche il Papa, nonostante la sua casa, il Vaticano, la Basilica di san Pietro, cerca di essere anche lui un po’ itinerante.

Non ho preteso di esaurire tutto l’argomento. Ma in queste quattro osservazioni potete già incontrare voi stessi, potete già trovare la vostra immagine, trovare anche un incoraggiamento per restare sempre quello che siete, quello che volete essere. Ma vedete in queste parole anche la mia benedizione e speriamo che essa esprima e porti con sé la grazia del Signore. Il lievito, l’itineranza, cresce nella grazia del Signore.

Il catechista che poco fa ci ha detto di aver sentito un rumore nel suo cuore, nella sua coscienza certo lo ha sentito perché c’era Kiko che ha operato, ma soltanto come strumento umano. In realtà era lo Spirito che ha operato, la Grazia del Signore, lo Spirito Santo che ha cominciato a soffiare. È stato lo Spirito a soffiare e a non lasciare in pace questo signore. Perché Cristo non è venuto per lasciarci in pace. È venuto a portarci la pace, la più grande pace alla quale aspirava la persona umana: la pace con Dio, la riconciliazione; ma non è venuto a portarci la vita comoda, tranquilla, no, certamente no.

 

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