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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA PLENARIA
DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE PER LA REVISIONE
DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO ORIENTALE

Sabato, 12 novembre 1988

 

1. Con viva gioia vi rivolgo il mio saluto, venerati fratelli, che prendete parte all’assemblea plenaria della Pontificia Commissione per la revisione del Codice di Diritto Canonico orientale. Lo faccio tanto più volentieri in quanto mi vedo circondato dai massimi rappresentanti di quelle Chiese le cui tradizioni, i riti liturgici, le tradizioni ecclesiastiche e la disciplina della vita cristiana la Chiesa cattolica ha tenuto in gran conto, come s’esprime l’importante decreto conciliare “Sulle Chiese Orientali Cattoliche” (Orientalium Ecclesiarum, 1). In esse, infatti “essendo illustri di veneranda antichità, risplende la Tradizione apostolica tramandata dai Padri, che costituisce parte del patrimonio divinamente rivelato e indiviso della Chiesa universale” (Orientalium Ecclesiarum, 1). Tali Chiese, benché diversificate tra di loro “in ragione dei cosiddetti riti, cioè per la liturgia, per disciplina ecclesiastica e patrimonio spirituale” (Orientalium Ecclesiarum, 3), formano una “mirabile comunione”, di modo che la “varietà nella Chiesa non solo non nuoce alla sua unità, ma anzi la manifesta” (Orentalum Ecclesiarum, 2), in quanto si tratta di una “varietà tendente all’unità” che “dimostra con maggiore evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa” (Lumen Gentium, 23).

Tale “varietà” si rispecchia felicemente nel collegio dei membri di questa commissione fin dal suo inizio, per espresso volere di Papa Paolo VI di venerata memoria. È per me motivo di gioia accogliervi oggi nella mia casa e dare a ciascuno il bacio della pace nella comunione di “un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo, un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4, 5).

Il successore di Pietro, il Vescovo della Chiesa di Roma che “presiede alla carità”, come si esprime sant’Ignazio di Antiochia, si trova con gioia in mezzo a coloro che presiedono le antiche Chiese patriarcali, che la costituzione Lumen Gentium presenta in questi termini: “Per divina provvidenza è avvenuto che varie Chiese, in vari luoghi fondate dagli apostoli e loro successori, durante i secoli si sono costituite in vari raggruppamenti, organicamente congiunti, i quali, salva restando l’unità della fede e l’unica divina costituzione della Chiesa universale, godono di una propria disciplina, di un proprio uso liturgico, di un patrimonio teologico e spirituale proprio. Alcune fra esse, soprattutto le antiche Chiese patriarcali, quasi matrici della fede, ne hanno generate altre a modo di figlie, colle quali restano fino ai nostri tempi legate da un più stretto vincolo di carità nella vita sacramentale e nel mutuo rispetto dei diritti e dei doveri” (Lumen Gentium, 23).

2. Pertanto, mi compiaccio di rinnovare un fraterno e cordiale benvenuto prima di tutto alle loro Beatitudini i Patriarchi qui presenti, all’Arcivescovo maggiore e poi ai Metropoliti, Arcivescovi e Vescovi, uniti con loro nello stesso collegio dei membri di questa commissione. Nelle loro persone saluto ed abbraccio i fedeli delle Chiese affidate alla loro sollecitudine pastorale.

Saluto altresì i Cardinali e Vescovi di Curia, presenti a questo incontro e li ringrazio per la collaborazione che mi prestano, secondo le rispettive competenze, nel disimpegno della mia responsabilità pastorale verso le Chiese orientali.

Sono grato dal profondo del cuore a Dio onnipotente, Padre nostro, da cui “discende ogni dono perfetto”, per averci concesso di radunarci insieme nel nome di nostro Signore Gesù Cristo e sotto la protezione della “Theotokos” la beatissima Vergine Maria.

Devo sottolineare che gli ultimi passi decisivi per la convocazione di questa assemblea sono stati fatti sotto la speciale protezione di Maria santissima durante l’anno mariano. Mi ricordo che nel ricevere, il giorno 29 gennaio di quest’anno, il vice presidente della commissione, monsignor Emilio Eid e il segretario di essa, padre Ivan Zuzek, SJ, dissi che la futura assemblea plenaria dei membri di questa commissione, pur riunendosi ad anno mariano ormai concluso, si sarebbe potuta considerare come una continuazione di esso. La “Theotokos” stessa presieda questa assemblea con la sua materna presenza, come avvenne nel cenacolo, nel giorno di Pentecoste. Tutto si faccia sotto il suo materno sguardo, sotto la sua guida e protezione.

Le lodi innalzate alla nostra Madre celeste durante l’anno mariano qui a Roma nei riti orientali di tutte le cinque tradizioni - alessandrina, antiochena, armena, caldea e costantinopolitana - siano propiziatrici per la buona riuscita dei vostri lavori. Sei volte, durante tale anno, ci siamo raccolti in devota preghiera con molti di voi dinanzi alla icona della Madre di Dio e sono stati momenti indimenticabili di grande consolazione.

3. La regolamentazione della disciplina canonica ha sempre suscitato la costante cura della Chiesa, fin dai primi concili ecumenici tenuti in oriente.

Quando si intensificarono i contatti con le venerate Chiese orientali nella piena comunione con la Sede apostolica romana, divenne anche più intensa la sollecitudine per una codificazione relativa alle singole Chiese orientali.

Fu a partire dal Concilio Vaticano I che si pensò ad una codificazione canonica comune. Allora, oltre alle suppliche esplicite di avere un Codice per tutta la Chiesa latina, come consta dalla “Praefatio” del Codex Iuris Canonici promulgato nel 1917, furono espressi anche i primi voti di avere un Codice di Diritto Canonico per le Chiese orientali, “un Codice autorevole” completo e generale, (“Congressus VI Commissionis orientalis”, die 4 dec. 1868: Mansi, t. 49, col. 1012).

Da allora sono passati quasi 120 anni e molte furono le vicissitudini e difficoltà che si dovettero superare per avviare e far progredire i lavori di redazione del desiderato Codice comune a tutte le Chiese orientali. La celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, con la grandiosa opera di aggiornamento di tutta la disciplina canonica della Chiesa che l’accompagnò, impose una nuova pausa di riflessione. A Concilio concluso, il mio predecessore di beata memoria, Paolo VI, istituì l’attuale commissione nel 1972 con il compito di preparare “la riforma del Codex Iuris Canonici Orientalis sia nelle parti già pubblicate . . . sia nelle restanti parti, già ultimate, ma non ancora pubblicate”, come fu comunicato al Cardinale Presidente della Commissione il 10 giugno dello stesso anno. Il medesimo Pontefice volle sottolineare il carattere orientale della Commissione nella sua allocuzione alla prima assemblea plenaria, il 18 marzo 1974, con le seguenti parole: “La costituzione e la forma di questa nostra Commissione tutelano per quanto è possibile, la sua indole orientale, come risulta dalla molteplicità delle Chiese, e nello stesso tempo apertamente dimostrano che noi desideriamo che gli stessi orientali portino a termine il Codice: tale Codice condurrà a quella carità, grazie alla quale nel mondo di oggi le Chiese possono fiorire sempre più e assolvere al compito apostolico ad esse affidato con nuovo vigore” (Pauli VI “Allocutio ad Pontificiam Commissionem CIC Orientali recognoscendo”, die 18 mar. 1974: Insegnamenti di Paolo VI, XII [1974] 265).

Nella stessa allocuzione di Paolo VI furono autorevolmente delineate le linee maestre da seguire nell’arduo lavoro di aggiornamento della disciplina canonica orientale, tuttora valide come “Magna Carta” della Commissione. Tra le massime espresse da Paolo VI voglio riferirmi in particolare a quanto fu detto circa la “duplice preoccupazione di mantenere la congruenza sia con il Concilio Vaticano II sia con la Tradizione d’oriente”, di modo che la revisione del Codice orientale venisse fatta “secondo l’intenzione dei Padri del Concilio Vaticano II e la Tradizione orientale nostra sorella”. Con queste parole furono chiaramente definite le competenze della Commissione che, nel suo lavoro, doveva attenersi a quanto stabilito dal Concilio Vaticano II e nel contempo alle genuine tradizioni orientali, che lo stesso Concilio voleva “salve e integre” (Orientalium Ecclesiarum, 2), ammettendo solo i cambiamenti necessari “per ragione del proprio organico progresso” (Orientalium Ecclesiarum, 6) delle Chiese orientali.

In particolare, per quanto riguarda “diritti e privilegi” dei Patriarchi, è necessario tenere presente che il Concilio Vaticano II vuole che essi “siano ripristinati secondo le antiche tradizioni di ogni Chiesa e i decreti dei Concili ecumenici”, richiamandosi in una apposita nota a vari Concili ecumenici, ad iniziare dal canone 6 del primo Concilio di Nicea e dichiarando che questi “diritti e privilegi sono quelli vigenti al tempo dell’unione dell’oriente e dell’occidente, quantunque debbano essere alquanto adattati alle odierne condizioni” (Orientalium Ecclesiarum, 9). Pertanto, anche in questa assemblea plenaria, nel vagliare le singole proposte è doveroso attenersi ai dettami dei Concili ecumenici, specialmente del Concilio Vaticano II, in primo luogo a quanto esso ha espressamente sancito nella costituzione dogmatica Lumen Gentium, nel decreto Unitatis Redintegratio e nel decreto Orientalium Ecclesiarum.

In altra materia particolarmente attuale, cioè quella dei diritti dei coniugi, i padri non mancheranno di considerare l’opportunità di dare il giusto rilievo al principio evangelico della “reciproca sottomissione dei coniugi nel timore di Cristo”, in modo che tale principio, anche grazie ad un’appropriata legislazione, riesca a “farsi strada nei cuori, nelle coscienze, nel comportamento e nei costumi” (Mulieris Dignitatem, 24. 4).

4. Quando, all’inizio del mio ministero sulla Cattedra di Pietro, visitai gli uffici della Commissione e fui informato da monsignor Miroslav Marusyn, allora vice presidente, circa lo svolgimento dei lavori della Commissione, mi rallegrai profondamente del progresso fatto. Si era allora alla fine della cosiddetta prima fase dei lavori relativa alla stesura degli schemi delle varie sezioni del progettato Codice, la fase indubbiamente più difficile, in cui si impegnarono con generosa dedizione, i diversi “Coetus studiorum” costituiti dai consultori della Commissione. In seguito, nella seconda fase dei lavori, la cosiddetta “denua recognitio” dei primi schemi, tutta la gerarchia delle Chiese orientali diede la sua efficace collaborazione, insieme con altri organi di consultazione, tra i quali i dicasteri della Curia romana, le unioni dei superiori religiosi, le università ecclesiastiche di Roma ed alcune altre che hanno cattedre o settori specializzati di teologia e di diritto canonico orientale. A tutti va un contributo di meritata riconoscenza.

È inoltre gradito costatare che quanto si è detto per il Codex Iuris Canonici della Chiesa latina alla sua promulgazione, si sta verificando per il Codice orientale, cioè che esso si sta elaborando in uno spirito altamente collegiale e in modo palese a tutti con la pubblicazione dei singoli schemi nel periodico della Commissione, “Nuntia”.

Promulgato il Codex Iuris Canonici per la Chiesa latina all’inizio del 1983, si è fatta sempre più pressante la necessità di completare l’aggiornamento della disciplina canonica della Chiesa universale. A questo fine si sono fatti appropriati passi per dare un impulso particolare ai lavori della Commissione per la revisione del Codice di Diritto Canonico orientale e di quella incaricata della revisione della costituzione apostolica “Regimini Ecclesiae Universae”, riguardante la Curia romana.

Con la promulgazione della costituzione apostolica Pastor Bonus, il giorno 28 giugno di quest’anno, è terminato il lavoro di quest’ultima Commissione, a completamento non solo del Codex Iuris Canonici della Chiesa latina, ma anche del Codice delle Chiese orientali, in quanto si tratta di una legge riguardante la Chiesa universale. È naturale quindi che questa costituzione apostolica venga pubblicata nelle edizioni ufficiali di entrambi i Codici.

Per quanto riguarda il Codice orientale, tuttavia, non si è ancora arrivati in porto. È però necessario che la Chiesa universale respiri pienamente con “entrambi i polmoni”, di oriente e d’occidente, e viva tutta intera nella “tranquillità dell’ordine” e che anche le Chiese orientali abbiano un Codice che “crei tale ordine nella società ecclesiale che, assegnando il primato alla fede, alla grazia e ai carismi, renda più agevole contemporaneamente il loro organico sviluppo nella vita sia della società ecclesiale, sia anche delle singole persone che ad essa appartengono”, come ho scritto nel promulgare il Codex Iuris Canonici per la Chiesa latina.

Per dare maggiore impulso ai lavori della Commissione per la revisione del Codice di Diritto Canonico orientale, ho voluto esprimere, nell’allocuzione conclusiva della seconda assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1985, l’auspicio della “pubblicazione, in tempi brevi, del Codice di Diritto Canonico per le Chiese orientali secondo la Tradizione delle stesse Chiese e le norme del Vaticano II” (“Allocutio Synodo extraordinaria exeunte ad Patres congregatos habita”, 6, die 7 dec. 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII, 2 [1985] 1430). Allo stesso fine e per mettere in rilievo l’importanza del nuovo Codice per la vita e la missione delle Chiese orientali, nell’allocuzione alla Curia romana del 28 giugno 1986, ho indicato come uno dei tre compiti specifici prioritari quello che “in un tempo abbastanza breve sia dato alle venerate Chiese d’oriente un Codice, nel quale possano riconoscere non solo le loro tradizioni e discipline, ma anche e soprattutto il loro ruolo e la loro missione nel futuro della Chiesa universale e nell’ampliamento della dimensione del Regno di Cristo Pantocrator” (“Allocutio in Petriona basilica ad eus qui in Romana Curia ministerium suum implent coram admissos”, 7a, die 28 iun. 1986: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX, 1 [1986] 1961).

Ho rilevato con piacere la prontezza della Commissione a rispondere a questo appello, quando mi è stato consegnato, il 30 ottobre 1986, da monsignor Emilio Eid, vice presidente della Commissione, lo “Schema Codicis Iuris Canonici Orientalis” con la preghiera di poterlo inviare, come prescritto dall’iter della Commissione, al vostro esame, membri della Commissione, possibilmente con la data del 17 ottobre, festa di sant’Ignazio, Vescovo di Antiochia e Padre della Chiesa. Volentieri ho dato il mio assenso ad entrambi i desideri. Mi sono ancor più compiaciuto quando ho appreso nell’udienza concessa al vice presidente e al segretario della Commissione il 29 gennaio di quest’anno, che, essendo state ricevute le vostre osservazioni allo Schema ed essendo state vagliate da un apposito “Coetus de expensione observationum”, si era pronti per procedere alla convocazione di questa assemblea plenaria e che vi era una fondata speranza che il compito affidato alla Commissione potesse essere assolto definitivamente col presentarmi un “Codex” sotto ogni aspetto degno di essere promulgato come Codice comune di tutte le Chiese orientali cattoliche, “vehiculum caritatis” per la “salus animarum” di tutti i fedeli appartenenti a tali Chiese.

Con questo auspicio e affidando di nuovo i lavori di questa assemblea alla beatissima Vergine Maria, la “Theotokos”, Madre di Dio e madre nostra, vi invito a procedere nel cammino tracciato “in nomine Domini” e con la mia benedizione.

 

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