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VISITA PASTORALE ALLA DIOCESI DI GROSSETO

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AGLI IMPRENDITORI E AGLI OPERAI
DELLA ZONA INDUSTRIALE DI CASONE

Grosseto - Domenica, 21 maggio 1989

 

Cari operai, imprenditori e rappresentanti tutti del mondo del lavoro!

1. È con vero piacere che, in questa visita pastorale alla diocesi e alla città di Grosseto, sono venuto in mezzo a voi, nella pianura di Scarlino, al centro di questo grande e moderno complesso industriale, adagiato tra la costa e le colline metallifere.

Desidero ringraziare sentitamente i membri della direzione e i delegati dei lavoratori per il cortese indirizzo di omaggio, a me rivolto a nome loro personale, delle società qui operanti e dei colleghi. Rivolgo il mio cordiale saluto a ciascuno di voi ed anche a quanti, per le esigenze dei turni di lavoro, non possono prendere parte a questo incontro di amicizia e di fede. Parimenti rivolgo il mio saluto particolarmente affettuoso ed esprimo la mia solidarietà ai minatori che svolgono il proprio lavoro nella miniera di Campiano e in quella di Niccioleta; gli operai di quest’ultima, che appartiene alla diocesi di Massa Marittima-Piombino, sono accompagnati dal proprio Vescovo monsignor Lorenzo Vivaldo.

In occasione anche del centenario di coltivazione della miniera di pirite, ho voluto incontrarmi con voi, cari minatori, che affrontate ogni giorno un duro lavoro nel sottosuolo a centinaia di metri di profondità, per ricordare le vittime cadute in questi stessi luoghi, e per esprimere la mia partecipazione ai vostri problemi ed alle vostre preoccupazioni per la sicurezza e per il mantenimento del posto di lavoro.

Il mio fervido augurio è che queste industrie, oggi attrezzate con le più moderne tecnologie, restino a servizio dell’uomo e della sua promozione sociale.

2. Ogni incontro col mondo del lavoro - come sapete - mi è oltremodo gradito, perché mi consente di esprimere a quanti ne sono parte la sollecitudine che ha per loro la Chiesa. Tuttavia, il tipo di lavoro legato all’attività estrattiva o mineraria suscita nel mio animo una particolare risonanza, riportandomi agli anni della giovinezza, quando sperimentai personalmente i problemi legati a una tale industria. Esso poi sollecita ogni uomo a scoprire e a valorizzare il cumulo dei beni, che Dio creatore e provvidente ha largamente elargito a noi suoi figli. Anche sotto tale aspetto il mio saluto a ciascuno di voi vuole essere particolarmente affettuoso.

3. Da quando è nato il fenomeno della grande industria, nel senso moderno della parola, la Chiesa ha avvertito la necessità di seguire con la più viva attenzione le condizioni di vita delle maestranze e delle loro famiglie. E ciò ha fatto con continuità e con impegno crescente. Mi piace qui ricordare che mancano due anni al centenario della pubblicazione del primo grande documento, dovuto al mio venerato predecessore Papa Leone XIII, un uomo che seppe guardare lontano. Con l’enciclica Rerum Novarum egli stimolò autorevolmente la Chiesa cattolica ad adoperarsi per la soluzione della questione operaia e, più in generale, dell’intera questione sociale.

Dopo di lui i romani Pontefici sono intervenuti ripetutamente in questo campo per leggere la situazione sociale alla luce delle superiori verità della fede. Anch’io, che sono sempre grato per ogni occasione nella quale posso incontrarmi e parlare con gli operai nel luogo stesso del loro lavoro, mi sono preoccupato di rivolgermi con nuovi documenti sociali ai responsabili ed a tutti gli uomini di buona volontà per una soluzione tempestiva e adeguata dei problemi che via via si pongono in questo fondamentale settore.

4. Carissimi operai degli stabilimenti di Scarlino e della nuova Solmine! Se mi chiedete quali sono le ragioni profonde che spingono la Chiesa a interessarsi in maniera diretta e partecipata al vostro mondo, vi risponderò che sono soprattutto due, tra loro connesse e complementari.

La prima ragione è che la Chiesa ha ricevuto da Cristo la missione di guidare l’uomo alla salvezza, orientandone l’impegno nei molteplici settori nei quali si esprime e si svolge la sua vicenda terrena. Di tale vicenda il vasto e differenziato campo del lavoro costituisce una componente essenziale. Il lavoro, perciò, fa parte del progetto che Dio ha sull’uomo, progetto che egli ha manifestato nella sua Rivelazione. C’è un Vangelo del lavoro che la Chiesa ha il compito di predicare, affinché l’uomo possa conoscere sempre meglio la sua vocazione e, accogliendola, contribuisca in modo costruttivo al comune progresso (cf. Laborem Exercens, 26).

La seconda ragione per cui la Chiesa si interessa al mondo del lavoro sta nella solidarietà profonda che essa avverte per l’uomo e per tutto ciò che “incide e decide” della sua piena realizzazione. Se la prima ragione si pone, per così dire, sulla linea verticale della parola salvifica di Dio da comunicare all’uomo, la seconda sta sulla linea orizzontale della condivisione con gli uomini dei loro molteplici problemi e travagli. In fatto di problemi umani la Chiesa ha una sua lunga esperienza alle spalle: essa, quindi, è in grado di recare un proprio originale contributo nella ricerca di soluzioni che siano rispettose della dignità dell’uomo e atte a promuoverne l’autentica affermazione.

5. Per queste due ragioni la Chiesa invita anche l’uomo del lavoro a prender coscienza del nobile progetto che Dio ha su di lui e per lui. Occorre sempre riflettere su chi è colui che lavora, perché egli lavora, a che cosa deve servire il suo lavoro.

Il lavoratore - ognuno di voi, voglio dire - non è un meccanismo della fabbrica, né uno strumento di lavoro: egli appartiene a un ordine di grandezza superiore a tutte le realtà materiali, esistenti nel giro del nostro orizzonte visibile. È un essere dotato, per sua natura, d’intelligenza e di libertà: in una parola, è persona. E ogni persona umana, senza discriminazione alcuna, è fatta ad immagine e somiglianza di Dio creatore. La sua dignità, pertanto, supera il valore di tutti i beni terreni.

Ma c’è di più: il lavoratore è chiamato da Dio ad inserirsi nel suo piano creativo e a diventare, in un certo senso, creatore egli stesso. Da ciò deriva una conseguenza immediata e importante, sulla quale mi sono soffermato nella mia enciclica sul lavoro umano: qualunque sia il livello in cui opera o la categoria alla quale appartiene, il lavoratore nell’esercizio della propria attività deve poter diventare più uomo, e non già degradarsi e umiliarsi per effetto del suo stesso lavoro (cf. Laborem Exercens, 9).

Tutte le ingiustizie, che si sono commesse o si commettono negli ambienti di lavoro, si devono misurare secondo questo criterio fondamentale: il criterio del valore e del vero bene della persona. Se questo viene trascurato, c’è rischio che le stesse proteste elevate contro le ingiustizie diventino sorgente di altre ingiustizie, forse più grandi.

6. Nella mia Patria che, come sapete, sta affrontando gravi difficoltà, qualcuno ha di recente affermato che ciò che oggi s’impone con urgenza è il serio impegno di un “lavoro sul lavoro”.

Che significa “lavoro sul lavoro”? Significa, anzitutto, lavorare sull’organizzazione del lavoro, cioè modellarla e ordinarla in modo che essa serva a promuovere lo sviluppo integrale della persona. Le applicazioni concrete sono, come ognuno vede, molteplici ed urgenti: occorre, ad esempio, procurare che a tutti sia assicurata la giusta partecipazione ai frutti del proprio lavoro; che ai singoli sia concessa una debita parte di responsabilità nella gestione dell’azienda o della fabbrica; che ogni attività industriale sia svolta nel rispetto dell’ambiente naturale e delle risorse . . . Occorre, in particolare, che il lavoro, a cui l’uomo e la donna dedicano il meglio dei loro anni e delle loro forze, serva loro come mezzo normale per procacciarsi non soltanto il minimo di sussistenza, ma per vivere una vita veramente umana. Se uno - poniamo - fosse costretto a fare più lavori per arrivare ad un livello di vita appena umana, non sarebbe già vittima di una situazione ingiusta?

Chi ha dunque un lavoro in officina, come in una miniera o in un ufficio, deve poter trovare proprio mediante questa attività l’accesso ad un genere di vita degno e decoroso per quanto concerne sia l’alloggio, il vitto, la salute, la prevenzione, nonché la cultura, il tempo libero, l’autoelevazione spirituale e religiosa. È qui che risiede il criterio di distinzione tra lavoro “a misura d’uomo” e le varie forme anche moderne di sfruttamento.

Alla luce di questi principi, chi non ha un lavoro si trova in una situazione oggettivamente ingiusta, e la società con le sue istituzioni è tenuta ad agevolargli una soluzione adeguata, senza costringerlo a rassegnarsi di fronte alla disoccupazione, come se fosse un fenomeno inevitabile. Nei disoccupati è la società stessa ad essere ferita, perché viene privata dell’apporto valido di chi può e deve lavorare.

7. “Lavoro sul lavoro” significa insomma un impegno efficace a servizio di chi lavora. Secondo il progetto di Dio il lavoro è la strada sulla quale l’uomo deve perseguire la piena attuazione della propria umanità. In esso, quindi, non deve esser presa in considerazione soltanto la dimensione economica: deve essere tenuta presente e valorizzata anche la dimensione culturale, spirituale, religiosa, così che il lavoratore possa esprimere nel suo lavoro non soltanto le proprie capacità fisiche o intellettuali, ma anche la propria coscienza, i propri principi morali, la propria fede.

A questo proposito debbo riaffermare che, privato della dimensione morale e religiosa, l’uomo è svuotato della sua più vera grandezza. Una società che tendesse a coartare lo sviluppo entro i confini dell’avere, puntando esclusivamente sul benessere materiale, a scapito di una crescita nell’essere, non risolverebbe i problemi di fondo dell’uomo, il quale, invece di “dominare” un patrimonio pur grande di beni, finirebbe per diventarne prigioniero, con conseguente insoddisfazione.

Come ho scritto nell’enciclica Sollicitudo Rei Socialis, “il male non consiste nell’avere in quanto tale, ma nel possedere in modo irrispettoso della qualità e dell’ordinata gerarchia dei beni che si hanno. Qualità e gerarchia che scaturiscono dalla subordinazione dei beni e dalla loro disponibilità all’essere dell’uomo e alla sua vera vocazione” (Sollicitudo Rei Socialis, 28).

È chiaro come, in una simile impostazione, non c’è alcuno spazio per l’egoismo sia individuale che di gruppo. Da essa deriva, per ovvia conseguenza, il dovere della solidarietà non solo verso chi fatica allo stesso banco di lavoro, ma anche verso ogni membro dell’umanità.

8. Cari fratelli e sorelle! La fede in Cristo redentore, accolta e vissuta nella sua autenticità, ricostruisce in ognuno il bene della libertà e della dignità più vera. Essa - ricordate sempre - è un fattore indispensabile di riequilibrio interno per la persona, la famiglia, la società, la natura.

So che le vostre imprese, oltre a tener conto dei criteri di modernizzazione tecnologica, si sono preoccupate degli aspetti ecologici. Io auguro che questi impianti, grazie allo sforzo rinnovato e costante dei responsabili, possano divenire un modello industriale, in cui i rapporti tra uomo e ambiente, tra operaio e dirigente siano sempre più umani, nel senso dell’autentico sviluppo.

Ancora una volta vi ringrazio tutti per la vostra accoglienza, per la vostra attenzione, e benedico di cuore voi e le vostre famiglie.

 

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