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VIAGGIO APOSTOLICO IN ESTREMO ORIENTE E A MAURITIUS

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE INDONESIANA
NELLA SEDE DELLA NUNZIATURA APOSTOLICA

Jakarta (Indonesia) - Venerdì, 13 ottobre 1989

 

Cari confratelli Vescovi.

1. Mentre la mia visita pastorale si avvia al termine, non posso esimermi dal ringraziare voi, i Pastori della Chiesa in Indonesia, per il vostro zelante servizio alla comunità cattolica di questo vasto arcipelago. È vero, il Signore ha fatto “grandi cose” (cf. Lc 1, 49). Qui, grazie al ministero di Pastori come voi che hanno predicato il Vangelo “non quale parola di uomini ma, come è veramente, quale parola di Dio” (1 Ts 2, 13).

Sono venuto a voi come un fratello che vi porta i saluti e l’amore fraterno della Chiesa in Roma. Sono venuto anche come successore di Pietro, a cui Dio chiede una speciale sollecitudine come Pastore della Chiesa universale. Prima di partire voglio vivere questo momento di comunione collegiale con voi, meditando sulla vocazione del Vescovo ad essere segno vivente del Verbo incarnato, e sulla sua personale responsabilità della trasmissione del Vangelo per la santificazione del Popolo di Dio a gloria e lode della Santissima Trinità.

2. Nei giorni passati ho incontrato migliaia di cattolici indonesiani. Riconosco che essi costituiscono una minoranza rispetto alla totalità della popolazione. Ma, come ci dice san Paolo, al fine di realizzare il suo piano salvifico, Dio sceglie ciò che è piccolo, vulnerabile e apparentemente senza importanza agli occhi del mondo “perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio” (1 Cor 1, 29). Perché è grazie al dono libero e sovrano di Dio che l’umanità caduta è restituita alla vita divina attraverso la morte e Risurrezione di suo Figlio.

Nell’adempiere a questo piano, la missione della Chiesa qui e in tutto il mondo è quella di essere “il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium, 1); “segno elevato alla vista delle nazioni” (Unitatis Redintegratio, 2); “il fermento e quasi l’anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio” (Gaudium et Spes, 40).

Queste ed altre immagini del nuovo testamento ci parlano di una Chiesa la cui fecondità, talvolta nascosta, è sproporzionata alla sua diffusione e alle sue risorse umane. È una Chiesa la cui sopravvivenza e crescita non dipende dalla volontà dell’uomo, ma da quella di Dio, la cui missione è quella di essere coraggiosa nel predicare la buona Novella della salvezza “in ogni occasione opportuna e non opportuna” (2 Tm 4, 2).

3. Cari fratelli: quali Vescovi voi siete gli “araldi” della buona Novella della salvezza eterna in Cristo (cf. Lumen Gentium, 25). Il vostro ministero quali Pastori e maestri è diretto sia ai membri del gregge di Dio, che contano su di voi per la guida, l’ispirazione e l’incoraggiamento, sia verso la società nel suo insieme. Sarà vostro impegno garantire che la Chiesa compia la sua missione non soltanto attraverso la predicazione del Vangelo, ma anche attraverso la testimonianza cristiana di tutti i fedeli, affinché, come nel caso di Natanaele, anche gli scettici possano “venire e vedere” (Gv 1, 46).

Non abbiate paura di incoraggiare la popolazione cattolica ad una sempre maggiore testimonianza pubblica delle verità e dei valori della loro fede, mentre occupano il giusto posto nella società di cui sono degni cittadini. Nonostante occasionali difficoltà, la vostra costituzione nazionale garantisce ai cattolici e agli altri il pieno diritto alla libertà di religione e alla pratica della loro fede.

“Praticare la fede” significa molto di più di un obbligo e di una devozione religiosa privata. Uno dei grandi temi del Concilio Vaticano II è stato l’appello a riconoscere che il Vangelo tocca ogni aspetto della vita-culturale, economica, sociale e politica. Con le parole della Gaudium et Spes: “La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell’uomo, orientando così lo spirito verso soluzioni pienamente umane” (Gaudium et Spes, 11). Ciò non significa che la Chiesa abbia soluzioni concrete da offrire per ogni problema riguardante la vita della società, piuttosto essa propone una dottrina sociale che offre principi per la riflessione, criteri di giudizio, come pure direttive di azione (cf. Congr. pro Doctrina Fidei, Libertatis Conscientia 72 ss.).

4. Questa ricerca di ciò che è “pienamente umano” sotto la potestà di Dio costituisce un punto di convergenza per gli Indonesiani di tutte le religioni. La Chiesa entra in dialogo e desidera cooperare con tutti in mutuo rispetto e buona volontà. Ma essa a sua volta resta ferma nella sua identità e nella sua missione, che sono innanzitutto cattoliche. La diversità religiosa nella unità dell’Indonesia non deve essere temuta, meno che mai dai cattolici indonesiani, i quali, come leali cittadini, partecipano alla vita nazionale così come è stata garantita dal Pancasila.

Allo stesso modo, un’adeguata applicazione del principio della libertà religiosa va anche a vantaggio dello Stato e della società nel suo insieme, in quanto la religione educa i cittadini a riconoscere le esigenze dell’ordine morale e di conseguenza “a svolgere le proprie attività con senso di responsabilità, e ad impegnarsi e perseguire tutto ciò che è vero e giusto, collaborando generosamente con gli altri” (Dignitatis Humanae, 8). Ormai in molti campi dell’apostolato e del servizio sociale esiste una vasta collaborazione fra la Chiesa e le istituzioni civili, soprattutto nel campo dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria. C’è da augurarsi che tale armonia possa proseguire e crescere, poiché rappresenta una forma vitale di rispetto per la dignità umana e i diritti umani fondamentali.

A questo proposito, tuttavia, una preoccupazione è costituita dalla tentazione del mondo d’oggi di ridurre il messaggio evangelico ad una forma di umanitarismo. La Chiesa quindi deve sempre riconoscere che la sua missione fondamentale di evangelizzare ha la propria “base, centro e insieme vertice . . . in una chiara proclamazione che in Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, morto e risuscitato, la salvezza è offerta ad ogni uomo, come dono di grazia e misericordia di Dio stesso” (Pauli VI, Evangelii Nuntiandi, 27). Ciò in nessun caso diminuisce, ma piuttosto accresce l’obbligo di cercare “soluzioni pienamente umane” e di promuovere l’autentico sviluppo, ma sempre avendo presente l’adeguata prospettiva del rapporto fra la “città di Dio” e la “città terrena”. La missione della Chiesa non è limitata all’ambito della esistenza temporale, né si identifica completamente con i desideri, le speranze, i problemi e i conflitti temporali. Piuttosto essa è al servizio di una salvezza trascendente ed escatologica, che ha il suo inizio in questa vita ma che si compie nella eternità (cf. Pauli VI, Evangelii Nuntiandi, 27).

5. Cari fratelli, a voi è stato affidato con l’ordinazione episcopale il grande compito di continuare la missione apostolica “di predicare il Vangelo e raccogliere ogni razza e popolo in un unico gregge da guidare e governare sulla via della santità” (Pontificale Romanum, “De ordinatione Episcopi”, Homilia). Quali successori degli apostoli avete il duplice compito di preservare il Vangelo per le generazioni future in tutta la sua pienezza e integrità, e allo stesso tempo di assicurare che sia applicato in modo dinamico alle realtà odierne delle vostre Chiese locali.

La sfida quindi è quella di garantire la presenza e la vitalità della fede cattolica in ogni aspetto della vita degli individui e delle comunità, e nel contesto della diversità religiosa della società stessa. Ciò significa promuovere tra i fedeli senza esitazione o timore l’esplicita concezione cristiana della vita e del lavoro. È il problema di trovare sempre nuove ed efficaci vie affinché il Vangelo sia vissuto in modo autenticamente indonesiano all’interno “della Chiesa una santa, cattolica e apostolica”.

6. Se la Chiesa con il suo insegnamento cerca di promuovere “soluzioni che siano pienamente umane” ai problemi e alle sfide che la famiglia umana deve affrontare in ogni momento della storia, spetta ai laici, in particolare, “esplicare tutte le loro attività terrene unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi . . . (ed) essere testimoni di Cristo in mezzo a tutti, e cioè pure in mezzo alla società umana” (Gaudium et Spes, 43).

Spetta ai Pastori della Chiesa ispirare ed educare i laici su quanto la Chiesa offre alla società e alla vita pubblica. Amore e giustizia quali parametri della libertà, amore per il prossimo e dignità della persona creata a immagine di Dio, i principi di sussidiarietà e di solidarietà: questi sono i capisaldi fondamentali del contributo cattolico alla vita e alle istituzioni pubbliche (cf. Congr. pro Doctr. Fidei, Libertatis Conscientia 26 et 73). Sull’esempio di Cristo, i cristiani devono essere pronti a rendere testimonianza profetica ovunque la dignità e i diritti delle persone siano minacciati o quando la giustizia e la carità lo richiedano.

Voi talvolta siete dolorosamente consapevoli che certe pratiche tradizionali e altre influenze sociali contemporanee portano con sé un oscuramento dei principi fondamentali relativi alla vita familiare e alla trasmissione responsabile della vita. Quali Pastori sapete che la stessa natura della vostra risposta personale a questa sfida determina in larga misura la vitalità di ogni Chiesa locale nell’aiutare le coppie cristiane ad adempiere il piano di Dio per le loro vite. Uno sforzo catechetico globale si rende necessario ovunque nella Chiesa per recuperare la consapevolezza del primato dei valori morali. Nella Familiaris Consortio ho scritto che “l’educazione della coscienza morale, che rende ogni uomo capace di giudicare e di discernere i modi adeguati per realizzarsi secondo la sua verità originaria, diviene così un’esigenza prioritaria e irrinunciabile” (Familiaris Consortio, 8).

Affinché i laici possano compiere la loro missione nel mondo, i Pastori devono aiutarli a coltivare una coscienza cristiana adeguatamente formata, in grado di guidarli in tutte le decisioni e le attività della vita. Perché nell’insegnare il cammino verso la salvezza, la Chiesa fa necessariamente riferimento all’ordine morale che governa il modo in cui le persone agiscono e si rapportano l’una all’altra, con ripercussioni in ogni campo della vita. La formazione di una coscienza cristiana, insieme al rafforzamento del carattere morale e all’approfondimento della vita spirituale, sono essenziali per la trasformazione del mondo dall’interno. È l’unica garanzia sicura della fecondità dell’inculturazione.

7. Rivolgendomi a voi, desidero ringraziare Dio per la vita e per il ministero dei vostri sacerdoti, diocesani e religiosi, nativi o forestieri, che condividono con voi la fatica quotidiana di occuparsi della Chiesa in Indonesia. Poiché voi presiedete con amore il presbiterio, sapete quanto sia importante incoraggiare, sostenere e amare veramente i vostri sacerdoti. Sull’esempio di Cristo, il sommo sacerdote, che è in grado “di compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, come noi, escluso il peccato” (Eb 4, 15), voi, con dolcezza ma con fermezza, li chiamerete alla santità, all’abbandono di sé nelle mani di Dio, ad una vita che sia umile e vicina ai poveri e ai più bisognosi. Per molti aspetti la vocazione sacerdotale è la chiamata ad una vita segnata dalla Croce, e veramente essa spesso diventa “un segno di contraddizione” (Lc 2, 34). La vostra vicinanza ai vostri sacerdoti, la vostra apertura a loro, in giustizia e amore, e le vostre preghiere per la loro perseveranza, faranno molto per sostenerli.

Come non rallegrarci insieme per la crescita delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa che stanno registrando le vostre Chiese particolari? Questo è certamente un segno della provvidenza amorevole di Dio. Di fatto, fra i molti vivi ricordi che porterò con me a Roma, uno dei più consolanti è la vista di tanti sacerdoti e religiosi, uomini e donne, felici e zelanti, che ho incontrato nel corso della mia visita.

Allo stesso tempo, questo dono del Signore lancia una sfida a voi in quanto Vescovi: quella di offrire a quanti rispondono alla chiamata del Signore una formazione spirituale e dottrinale che li prepari ad una vita di dedizione al servizio della Chiesa. Come ben sapete, i sacerdoti e i religiosi hanno bisogno di formazione, non soltanto durante gli anni di preparazione nei seminari e nelle case religiose, ma durante tutta la loro vita. È necessario che vengano messe a loro disposizione opportunità di approfondire la loro comprensione del messaggio evangelico così come viene interpretato e insegnato dalla Chiesa. So che condividete questa sollecitudine per la loro formazione, consapevoli come siete del fatto che essi a loro volta sono chiamati a formare altre persone.

8. Cari fratelli: nel discorso di addio ai discepoli, che troviamo nel Vangelo di San Giovanni, Gesù prega: “(Padre) consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anche essi consacrati nella verità” (Gv 17, 17-19).

Queste parole si applicano pienamente ai Pastori della Chiesa. Mentre la mia visita volge al termine, esprimo la mia fervida preghiera e speranza che la Chiesa, la cui esistenza in Indonesia è una delle “grandi cose” che ha fatto la potenza di Dio, possa godere della guida di Vescovi che siano autentici discepoli ed apostoli di nostro Signore Gesù Cristo. Che possiate perseverare nella verità e crescere nella “santità della verità” (Ef 4, 24). Perché è la verità che ci fa liberi (cf. Gv 8, 32) e la verità è Gesù Cristo (cf. Gv 14, 6). A lui la gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.

 

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