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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DEL BRASILE
IN VISITA
«AD LIMINA APOSTOLORUM»

Sabato, 24 febbraio 1990

 

Miei amati fratelli nell’Episcopato,

1. Siate benvenuti a quest’incontro! È sempre un momento di profonda gioia il breve “convivio”, che la visita “ad Limina Apostolorum” dei miei “fratelli” nel Collegio episcopale mi offre. Oggi incontro Voi, Vescovi del “Regional Sul-IV” della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile, che comprende le Diocesi dello Stato di Santa Caterina.

Dopo aver parlato brevemente con ciascuno, gioisco della vostra professione di fede, nel venerare i sepolcri dei Beati Apostoli Pietro e Paolo. E voglio ringraziarvi per aver condiviso con me e con i vari Organi centrali della Sede Apostolica di Roma, a servizio della mia “preoccupazione per tutte le Chiese” (2 Cor 11, 28), che è anche Vostra, le consolazioni di Dio e le privazioni, le lotte e le speranze. È fatta di questo la guida pastorale delle greggi diocesane che vi sono state affidate.

Pastori “secondo lo spirito di Dio” quali volete essere, disposti ad agire sempre come “buoni amministratori della multiforme grazia divina” (cf. 1 Pt 5, 2; 4, 19), siete venuti a questa visita accompagnati spiritualmente dalle vostre Comunità ecclesiali. Nel salutarvi cordialmente desidero estendere il mio saluto anche ai fedeli delle vostre Diocesi: ai sacerdoti, vostri intimi collaboratori, ai religiosi, alle religiose e tutti i consacrati come pure a coloro che sono impegnati nell’apostolato, infine a quanti condividono ed a quanti dispensate il vostro ministero episcopale.

2. Nel corso dei nostri brevi colloqui, ho potuto confermare l’impressione che avevo, riguardo alla vitalità religiosa delle vostre Chiese particolari, che ho sentito molto vicine al mio cuore di Pastore, ascoltando le confidenze che mi avete fatto. I Caterinensi sono conosciuti come popolo stimato, pacifico e lavoratore, che coltiva valori umani, religiosi e morali capaci di illuminare i diversi campi dell’esistenza. Questo è il frutto di una evangelizzazione che viene da lontano; essa ha lasciato segni profondi e ha aperto il cammino perché si crei un’ordinata comunità umana, formata da persone provenienti da diverse culture: dai portoghesi delle Azzorre ai tedeschi, dagli italiani ai polacchi; senza dimenticare, naturalmente, popolazioni indigene che si sono fuse nel popolo caterinense, nel Popolo brasiliano.

Questa gente, laboriosa e fedele a Dio - la cui adesione e il cui affetto per il Successore di Pietro mi avete confermato - con la propria dignità, sta contribuendo affinché il Brasile costruisca una società a misura d’uomo e degna di ogni uomo e di tutti gli uomini. Questo si è concretizzato nell’impegno per la tutela della famiglia, nell’amore per il lavoro e nella dignità, nella convivenza fraterna, animata da spontanea solidarietà. Tali caratteristiche hanno fatto della vostra regione un autentico granaio delle vocazioni per la consacrazione alla vita sacerdotale e religiosa: una grazia per l’evangelizzazione del Brasile, e non solo; lo dimostra la partecipazione al noto “progetto Chiese-Sorelle”.

3. Non ignoro, d’altro canto, e anche Voi mi avete riferito, che, a Santa Caterina, cominciano ad aumentare gli squilibri sociali che legittimano altre religioni vicine. Una moderazione relativa, in termini di proprietà, di produzione e di urbanesimo, comincia a risentire degli inconvenienti del fenomeno dei grandi agglomerati di popolazione, nei quali affluiscono tanti poveri senza terra, senza tetto, e senza mezzi di sussistenza. Così, vi sono minacce di destabilizzare le comunità, distruggere le famiglie, tradizionalmente solide e sane, ed alterare la gerarchia dei valori sinora coltivati.

In tal modo, dal momento che aumentano le sollecitazioni nel vostro campo di lavoro pastorale, comprendo e condivido la vostra preoccupazione di fronte alle sfide che oggi si presentano all’evangelizzazione nelle vostre Diocesi. Si possono considerare indice di tale preoccupazione alcune decisioni del vostro “Regional Sul-IV”, che sono presenti nel nuovo Piano di Pastorale.

4. Incontri come questo mi fanno ricordare l’esperienza descritta nel Libro degli Atti degli Apostoli, quando Paolo e i suoi compagni, giunti a Gerusalemme, riferirono a quella Chiesa quanto il Signore avesse operato tramite il loro “ministero” del Vangelo. Chiarite alcune questioni, fu resa grazia a Dio e furono fatte alcune considerazioni riguardo alla futura Evangelizzazione (cf. At 21, 17-22).

Nell’esercizio del mio ministero di successore di Pietro, desideroso di poter sempre “confermare i fratelli”, anch’io vi presento oggi alcune considerazioni sull’Evangelizzazione, compito essenziale della Chiesa, che è divenuto così evidente in America Latina, negli ultimi tempi. Evangelizzare costituisce, realmente, la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda.

Dall’appello che ho lanciato a Porto Principe, ad Haiti, nel 1983, per una nuova Evangelizzazione, i Fratelli Vescovi latinoamericani si sono preoccupati di assumere come motto - nelle commemorazioni del quinto centenario dell’arrivo della Buona Novella in questo continente - di suscitare in quel luogo un nuovo impulso evangelizzatore. Anche tra Voi Vescovi brasiliani, la Nuova Evangelizzazione è stata parola d’ordine negli ultimi tempi, e di ciò mi rallegro.

5. Rimane valido quanto il mio predecessore Paolo VI, che ricordo con rimpianto, ha sintetizzato nella nota Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi. Le sue analisi e i suoi orientamenti hanno avuto ovviamente, lo sviluppo e le applicazioni che situazioni particolari, vecchie e nuove, sollecitano. Queste esigono che noi, Vescovi, viviamo coraggiosamente e fedelmente questa dimensione del mandato apostolico episcopale, che lo Spirito Santo ci ha conferito. Ma “annunciare a tutte le genti”, per noi, Pastori, comprende anche la verifica dell’autenticità dei doni elargiti ai battezzati con l’annuncio della Buona Novella.

Evangelizzare, come sappiamo, è la testimonianza che il Figlio dell’uomo dà di se stesso, perpetuato nella missione della Chiesa. L’Incarnazione stessa è evangelizzazione: poiché il Verbo, fatto carne, è l’ultima e definitiva Parola che Dio rivolge all’umanità, dopo averle parlato molte volte ed in molti modi (cf. Eb 1, 1-3). Evangelizzare fu il compito, per eccellenza, del Signore Gesù, come degli Apostoli: “povero me se non annunziassi” il Vangelo (cf. 1 Cor 9, 16). In modo analogo, ciò dovrà costituire la preoccupazione di ogni battezzato, consapevole della propria dignità e della propria missione ecclesiale.

È stato detto molte volte che il grande Evangelizzatore, il vero Vangelo, è lo stesso Gesù Cristo, così come ci viene storicamente presentato dalle Sacre Scritture e trasmesso dalla Tradizione. Questa, lo sappiamo, è la forma con la quale Dio “dialoga” senza interruzione con la Chiesa, Sposa del suo amato Figlio; è la forma cui lo Spirito Santo - per mezzo del quale la voce del Vangelo risuona viva nella Chiesa, e attraverso di essa nel mondo - introduce coloro che credono nella piena verità (cf. Cost. Dei Verbum, 8).

6. La Chiesa, nata dall’azione evangelizzatrice di Gesù, è a sua volta “mandata” da Lui a evangelizzare. Da evangelizzata essa diviene evangelizzatrice, luce delle nazioni e segno della presenza di Cristo stesso (cf. Esort. Apost. Evangelii nuntiandi, 15); e suo Corpo mistico, essa è sacramento di salvezza per tutti.

Fra Gesù Cristo, la Chiesa e il contenuto dell’evangelizzazione c’è un nesso, un vincolo inscindibile: “Chi ascolta voi ascolta me, e chi disprezza voi, disprezza me” (Lc 10, 16). Da ciò l’insistenza con la quale San Paolo insegna che nessuno deve predicare se stesso; bensì, Cristo Gesù, come Signore (cf. 2 Cor 4, 5); e ancora, che l’Evangelizzazione non consiste nel parlar bene o nel fare prodigi; bensì nell’annunciare Cristo, che ha salvato l’umanità, attraverso la virtù del Mistero Pasquale, fatto di Morte e Resurrezione (cf. 1 Cor 18, 22-23).

Nello sforzo della nuova evangelizzazione - “nuova nel suo vigore, nei suoi metodi e nelle sue espressioni” (AAS 75 [1983] 778), spetta a Voi salvaguardare, nelle Vostre Chiese particolari, l’integrità e l’autenticità del concetto di Evangelizzazione e del modo di evangelizzare, così come li proclama la Chiesa universale. Si tratta di un impegno assunto con l’Episcopato. Ed è qualcosa che riguarda l’essenza stessa della Chiesa. Questa, come sappiamo, ha progredito nella sua missione evangelizzatrice nel corso della storia, nella misura in cui è rimasta fedele a Gesù Cristo, nella misura in cui ha seguito i passi del suo Signore.

7. Nell’enfatizzare, quindi, un aspetto o un determinato contenuto del Vangelo, bisogna stare attenti a non farlo a discapito di altri aspetti o contenuti, di uguale, se non addirittura di maggior importanza. Nell’adattare l’annuncio della Fede alla mentalità e alla cultura degli evangelizzandi, non ci possono essere riduzioni né alterazioni dell’unico Vangelo, evitando confusioni di metodo con altri processi di umanizzazione.

Di fronte a qualsiasi riduzione della verità evangelica, il nostro ministero di Pastori e Maestri della Fede impone ineludibilmente l’obbligo di discernere, chiarire e applicare rimedi alle deviazioni, quando è necessario. La trascendenza del messaggio del Vangelo non può essere mai oscurata da una legittima attenzione rivolta ai problemi di ordine sociale. Così, in un contesto come quello brasiliano, dove s’impone sempre alla preoccupazione dei Pastori una promozione umana autentica, l’integrità dell’annuncio evangelico deve riflettersi in ogni magistero ed in ogni azione di chi ha ricevuto, con il dono apostolico-episcopale, la responsabilità di annunciare, di santificare e di governare la Chiesa di Dio.

8. È molto indicativo verificare come, durante i due millenni di presenza della Chiesa nel mondo, i messaggeri della salvezza di Gesù Cristo hanno saputo infondere solidarietà, senza dimenticare mai la promozione dell’uomo, il valore trascendente della sua umanità e il senso della sua esistenza, nella prospettiva di quel “mistero dell’economia divina, che ha unito la salvezza e la grazia con la croce” (Enc. Redemptor hominis, 11).

Così cominciò ad operare il Maestro. Nel passare “facendo il bene” curando le malattie e promuovendo la giustizia e la solidarietà fra gli uomini del proprio tempo, egli distingueva, con lungimiranza, il piano di Dio e il piano di Cesare. La salvezza che annunciava era trascendente, escatologica: con inizio in questo mondo, è vero; ma con il compimento nel mondo che verrà (cf. Esort. Apost. Evangelii nuntiandi, 27).

Così operarono anche i primi cristiani. Nella purezza e nell’entusiasmo della prima esperienza pasquale, essi condividevano i beni ed assistevano i bisognosi; ma non per questo dimenticavano i doveri della preghiera e della predicazione della Parola. I primi Diaconi, anzi, furono istituiti affinché gli Apostoli potessero continuare a dedicarsi, con assiduità, a ciò che era specifico della “missione”: “noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola” (At 6, 2. 4). Essi erano sensibili a tutto; ma in un’opera pastorale ordinata.

9. Nel corso della storia, la Chiesa, annunciando il Regno di Dio, è stata allo stesso tempo, promotrice di condizioni umane sempre migliori, ma, come sappiamo, essa, come “inviata”, nel luogo ove si fonda; ha cercato sempre di armonizzare il valore trascendente e la dimensione sociale dell’uomo.

Come in ogni luogo, anche l’uomo brasiliano, quali che siano le sue condizioni sociali, spera e desidera di scoprire la sublimità della propria vocazione, la grandezza dell’amore per il prossimo e il senso della propria attività nelle “imperscrutabili” ricchezze di Cristo (Ef 3, 8). Come è stato previsto nella Costituzione conciliare Gaudium et spes, la Chiesa con la sua “missione”, lo deve aiutare a incontrarsi con Cristo. La Chiesa particolare e Voi, in qualità di Vescovi, in essa responsabili ultimi del buon esito della “missione”, dovete fornire tale aiuto.

Così, nel promuovere l’apertura per la dimensione sociale dell’evangelizzazione, non dimenticate di tener presente che ciò rimane espressione ecclesiale della “missione”. Dando spazio all’assistenza e alla promozione umana, e dando nei vostri cuori di padri e pastori la preferenza ai “più poveri”, fate in modo che rimangano primari i beni della salvezza; fate sì che si rispettino le finalità specifiche dei ministeri ordinati e fate sì che queste si nutrano della preghiera e della Parola di Dio, senza riduzioni né ambiguità.

A tale proposito, non è mai troppo ricordare che le Sacre Scritture non possono essere distorte né usate a piacimento per giustificare e difendere posizioni personali di tipo politico-partitico. Conserva piena attualità il monito dell’Apostolo Pietro: “sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo, parlarono quegli uomini da parte di Dio” (2 Pt 1, 20-21). Quanto all’esercizio della “missione” da parte di ogni battezzato, fate di tutto affinché essa sia attuata ordinatamente, nel rispetto dei diritti di ognuno. Il recente Sinodo dei Vescovi è stato molto preciso in materia. Uno è il campo e il modo di intervenire di un laico. Sarà necessariamente un altro il campo e il modo di intervenire di un battezzato al quale è stato conferito un ministero ordinato.

10. Cari fratelli nell’episcopato, l’evangelizzazione avrà molto da guadagnare nel rispetto di tali principi, che applicate già e continuerete ad applicare con abbondantissimi frutti, ne sono certo, nei diversi settori della vita ecclesiale in mezzo al Vostro popolo, tanto profondamente legato alla Chiesa. Che nessun timore possa adombrare la Vostra speranza: “Non sia turbato il vostro cuore” (Gv 14, 1), ci disse il Signore nell’Ultima Cena.

Chiedo a Dio che effonda la forza del suo Spirito su di Voi, affinché con il vostro orientamento sollecito e coraggioso, le vostre Chiese particolari siano sempre più evangelizzate ed evangelizzatrici. E che diffondiate quella speranza che la vita cristiana può suscitare, come cammino efficace affinché siano superati meglio i problemi umani, di tipo individuale e sociale.

Tornate alle vostre Diocesi, quindi, con rinnovata fiducia! Gesù Cristo, che vi ha chiamati per guidare il suo gregge, non cesserà di essere con voi, per assistervi nelle vostre opere e per far sì che il vostro ministero episcopale dia molti frutti in amore e santità. Vi accompagni il mio ricordo nella preghiera, affinché in ognuno continui l’azione di Colui che, “secondo i suoi benevoli disegni, opera in noi il volere e l’agire” (cf. Fil 2, 13). E che la Madre della nostra fiducia, Nossa Senhora Aparecida, guidi i vostri passi e illumini le vostre menti come “speranza nostra”.

Con questo augurio vi imparto, insieme alle vostre Comunità Diocesane, la Benedizione Apostolica, che sia per tutti i caterinensi garanzia di grazie divine, con l’intercessione di Santa Caterina.

 

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