Index   Back Top Print

[ IT  - PT ]

VIAGGIO APOSTOLICO
A CAPO VERDE, GUINEA BISSAU, MALI, BURKINA FASO E CIAD

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON I SACERDOTI, I RELIGIOSI, I SEMINARISTI E I CATECHISTI

Cattedrale di «Nostra Signora della Concezione» di Bissau (Guinea Bissau)
Sabato
, 27 gennaio 1990

 

Eccellenza, carissimi fratelli e sorelle,
“Davvero il Signore è risorto”
(Lc 24, 34).

1. Con questa grande certezza pasquale, vi saluto tutti cordialmente.

Voglio manifestare la gioia che provo, per l’opportunità datami dalla Provvidenza, di incontrarmi qui con voi, sacerdoti, religiosi e religiose, seminaristi e catechisti della Guinea-Bissau. Siete venuti in grande numero in questa bella Cattedrale, centro spirituale della comunità cattolica nel vostro Paese, luogo privilegiato di incontro con Gesù Eucaristia, col Cristo pasquale, morto e risorto, che ci è dato di contemplare con gli occhi della fede.

La Cattedrale, luogo di incontro sacramentale con Dio, è al tempo stesso il centro propulsore della testimonianza cristiana, del rinnovamento interiore e dell’azione missionaria. E nell’atto di “spezzare il pane” intorno alla mensa eucaristica, che la presenza di Cristo ci illumina e il nostro cuore si prepara ad ascoltare gli insegnamenti divini, che ci infiammano di zelo e di entusiasmo per la causa del Vangelo e per la salvezza degli uomini. E anche i nostri occhi si aprono per riconoscere: “Davvero il Signore è risorto!”.

Incontriamo una ammirevole spiegazione di questo fondamento eucaristico della missione nell’episodio dei discepoli di Emmaus raccontatoci da San Luca (Lc 24, 13-35). La Chiesa ci insegna che coloro che vogliono essere annunciatori della Buona Novella al mondo, devono, innanzitutto, lasciarsi compenetrare e convertire dalla parola di Cristo; poi, fare l’esperienza del suo amore pasquale nell’Eucaristia; per porsi infine nel cammino dell’uomo, al fine di affrontare la sua situazione concreta e donargli la novità della vita inaugurata dal Signore risorto.

2. Il momento centrale dell’entusiasmante esperienza dei discepoli di Emmaus fu quando essi riconobbero il Signore risorto, dopo aver dato ospitalità a quel viandante che fino ad un attimo prima, era un pellegrino sconosciuto. Ma già li aveva colpiti grazie al suo meraviglioso potere di attrazione spirituale, quando gli spiegava i passaggi delle Scritture che proprio al Cristo si riferivano.

Il Signore Gesù si manifestò nel fratello, da essi amorosamente accolto alla loro mensa; e si fece conoscere in un momento di intimità e di amicizia, come può esserlo quello del convivio; si manifestò in colui che avevano accolto pur non riconoscendolo, disposti a riconoscerne la dignità e ad ascoltarlo come interprete della Parola di Dio.

Questo gesto di carità, di generosità, di amicizia e di ascolto venne premiato. E quale non fu il loro entusiasmo e la loro gioia, quando scoprirono che il pellegrino sconosciuto era proprio il Signore risorto! La scoperta non poteva lasciarli inattivi. Il contatto con la luce ci rende luminosi. La comunione con la vita ci dà una nuova vita e ci fa comunicatori della vita. Lasciarsi animare dalla presenza di Dio, che agisce in noi, ci arricchisce di uno zelo apostolico insopprimibile e inesauribile, che ci porta ad un costante atteggiamento di servizio ai fratelli, e ci impone di assumere delle iniziative missionarie e di evangelizzazione, sempre nuove e ogni volta più audaci: “Partirono senza indugio” (Lc 24-33), ci dice San Luca, riferendosi ai due discepoli entusiasmati dall’incontro con Gesù risorto.

3. L’impegno missionario è preceduto e preparato dal momento della contemplazione: i discepoli insistono perché il pellegrino, ancora sconosciuto ma già amato per un presentimento del cuore, rimanga con loro “poiché si fa sera” (v. 29). E la prima e forse la più commovente preghiera della comunità cristiana dopo la Pasqua.

Da un lato, questa preghiera allude alla povertà e alla solitudine dell’uomo, che si fanno sentire soprattutto nei momenti oscuri dell’esistenza, quando sembra cadere più scura che mai la notte del disorientamento, dell’angustia e della sofferenza. Si sente, allora, la necessità di un prolungato colloquio di speranza; la necessità di non interrompere la dolcissima presenza del Signore.

D’altro lato l’invito rivolto al pellegrino affinché “resti”, poiché si fa sera, è anch’esso un gesto di delicata attenzione, per il timore che egli possa incontrare delle difficoltà col viaggio o con l’alloggio. Quando le tenebre cominciano a scendere, gli uomini tendono a stare insieme, a unire le forze per una difesa comune e un reciproco conforto. I pericoli e le minacce comuni rendono gli uomini coscienti della loro interdipendenza; quest’ultima crea una spinta alla solidarietà reciproca, che anima soprattutto la coscienza dei popoli, poiché sono loro più esposti a tutto ciò che minaccia la sicurezza e la serenità della vita.

Il divenire consapevoli di questa interdipendenza con la imprescindibile solidarietà reciproca che da essa deriva, come ho avuto occasione di affermare nell’enciclica Sollicitudo rei socialis (n. 38), costituisce un vero “valore positivo e morale”. Un fenomeno che è di consolazione ai popoli contemporanei, che sentono “come proprie le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani commesse in paesi lontani, che forse non visiteranno mai”. I discepoli di Emmaus sono poveri; povero è anche il misterioso pellegrino che essi hanno incontrato. E, nel pieno dell’incontro con lui, appare il Signore del Potere e della Gloria.

“Davvero il Signore è risorto!”.

4. Il momento della contemplazione ha il suo crescendo: la luce e il calore dello spirito che emanano dal misterioso pellegrino arrivano gradatamente ad una piena rivelazione: “Ed ecco, si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero” (v. 31). Ma la visione non può durare, perché non era di questo mondo, come avvenne nel caso della luce del Tabor, il suo scopo non era di saziare definitivamente la sete della Verità, poiché questo sarà possibile solo in Cielo; ma servì per dare fondamento, ragione, stimolo e coraggio ad un’azione in favore del prossimo, alle opere di giustizia, di carità e di misericordia e all’impegno missionario ed evangelizzatore. Serve per rianimarci quando sopravviene la stanchezza e per ricordarci la bellezza e l’elevatezza della meta che ci proponiamo.

La contemplazione in questo mondo ci permette di pregustare il Paradiso; ma nessuno può permettersi, in questa vita, neanche i contemplativi, di riposare nella sola contemplazione. Senza dubbio è necessario tenere gli occhi fissi sulla meta trascendente, per saper dare al nostro lavoro un preciso orientamento, affinché non ci affatichiamo invano né perdiamo il retto cammino del discernimento spirituale. L’esperienza contemplativa, quando è autentica, ovvero quando è fondata sulla vita sacramentale, sulla Parola di Dio e su un rigoroso impegno morale, ci permette di conoscere realmente quale sia la volontà di Dio e cosa dobbiamo fare per ottenere la vita eterna; questa consiste precisamente, come ci insegna l’Apostolo Giovanni, nella contemplazione dell’“unico vero Dio” e di Colui che Egli inviò, Gesù Cristo (cf. Gv 17,3).

5. Fu così che il misterioso viandante, nel quale si celava Cristo, corresse l’idea che i discepoli si erano fatti del Messia: un’idea legata ad una salvezza che si ispira a concetti puramente umani e ad un progetto meramente socio-politico che non coincideva coi disegni trascendenti di Dio.

Se paragoniamo questi suoi disegni iniziali con l’ardente supplica finale che indirizzano al Forestiero, restiamo meravigliati dalla trasformazione avvenuta. Cosa successe perché arrivassero a condividere le idee del persuasivo sconosciuto, e giungessero infine a riconoscere il Messia, non in qualche trionfo terreno o politico, ma nel dono pasquale del suo Corpo eucaristico? La narrazione evangelica attribuisce questa trasformazione alle spiegazioni della Sacra Scrittura: Gesù introduce i discepoli al significato misterioso dell’Antico Testamento. La nuova parola definitiva di Gesù fa sì che le antiche parole risplendano nel loro autentico significato profetico, tutto orientato verso la figura del Messia che deve venire; e tutto questo è stato preparato non per vaghe aspettative umane, ma per la generosa fedeltà di Dio.

L’itinerario rivelato dalla parola di Gesù si incontra con lo sconsolato cammino dei due discepoli, trasformandolo in un percorso di speranza; gli imprime un impulso evangelizzatore, un progressivo avvicinamento ai progetti di Dio: lo trasforma in un pellegrinaggio verso la Pasqua, la Chiesa e la Missione “fino agli estremi confini della terra”.

“Davvero il Signore è risorto!”.

6. Carissimi fratelli e sorelle, in seno al popolo di Dio che abita il vostro Paese, siete tutti particolarmente coinvolti, per diversi motivi e in diversa natura, nell’opera di missione e di evangelizzazione.

L’ambito di lavoro che si presenta ai vostri occhi è ancora vastissimo. Prego affinché, con l’aiuto dello Spirito Santo e grazie all’elaborazione di un attento piano pastorale, il vostro servizio di carità possa raggiungere un numero sempre maggiore di persone, portandole alla ricerca della verità, della giustizia e della salvezza.

Mi auguro, inoltre, che il Sinodo straordinario dedicato ai problemi e alle prospettive ecclesiali dell’Africa, possa, oltre al resto, offrire a tutti i cristiani del continente nuovi metodi e strumenti adatti per una vasta ed efficace azione evangelizzatrice. Le potenzialità umane e spirituali dell’Africa sono ricchissime e la crescita della realtà ecclesiale, in questo immenso territorio, è molto promettente. Anche nel vostro Paese si prepara oggi un buon lavoro di evangelizzazione, e, possibilmente, a partire da qui, della vostra nazione.

Vogliamo ripetervi, stando con voi, l’esortazione pronunciata un giorno dal mio predecessore Paolo VI: “Africa, sii missionaria di te stessa!”. E tale la forza con cui il Cristianesimo sta oggi crescendo in questo continente, che si può certamente dire che esso comincia ad essere nelle condizioni giuste e ad avere energie sufficienti per crescere in modo autonomo, senza dipendere da forze esterne. Queste ultime si trovano sempre, in un certo senso, in svantaggio, rispetto alle possibilità di cui godono le forze interne, nel comprendere in profondità le caratteristiche delle culture indigene e locali dove si impone di far penetrare il messaggio della Buona Novella.

7. Voglio infine congratularmi per l’intenso lavoro che state già realizzando nella vigna del Signore, nonché per la testimonianza che date nel settore della promozione umana, in particolare nei campi dell’educazione e della sanità.

Sono certo che l’urgenza di queste opere e del lavoro da svolgere, per importanti che siano, non vi impediranno di consacrare il tempo indispensabile alla vostra formazione permanente e ad una opportuna realizzazione culturale. D’altro lato, come sapete, la mancanza o anche solo l’insufficienza di tali momenti di rinvigorimento intellettuale e spirituale finiscono per privarvi della spinta ideale che deve sostenere la vostra azione, abbassandola al livello di un attivismo sterile e frenetico, se non addirittura pregiudiziale per voi stessi e per gli altri.

Vi esorto inoltre a curare nel miglior modo possibile la piena realizzazione della vostra vocazione, in accordo con le direttive datevi dai vostri Superiori, dal vostro Pastore e dalla Chiesa.

“Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per virtù dello Spirito Santo” (Rm 15, 13). E che la Beata Vergine Maria - qui chiamata “Nostra Signora della Candelora” - Regina degli Apostoli, vi protegga e vi guidi nel vostro cammino nella Chiesa e nella testimonianza del Vangelo! E ciò che chiedo, nel benedirvi con tutto il cuore insieme alle vostre famiglie e a quanti vi sono cari.

 



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana