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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA GENERALE DELLA
COMMISSIONE CATTOLICA INTERNAZIONALE PER LE MIGRAZIONI

Giovedì, 5 luglio 1990

 

Signor presidente, signor segretario generale, signore e signori.

1. È con vero piacere che, in occasione dello svolgimento a Roma della vostra Assemblea generale, vi accolgo, voi che condividete la responsabilità della Commissione cattolica internazionale per le migrazioni. Vi saluto cordialmente e ringrazio il vostro presidente delle sue parole deferenti e della presentazione che ha fatto dei vostri lavori.

Voi state esaminando insieme il programma d’azione della vostra Organizzazione che si trova ad affrontare, sin da quando è stata creata quarant’anni fa, problemi antichi ed esigenze nuove e pressanti. Senza dubbio in molte regioni il clima internazionale è attualmente meno teso, ma sono tuttora numerosi gli immigrati e i rifugiati che hanno bisogno di attenzione fraterna e di assistenza efficace, particolarmente da parte della comunità cattolica.

Nel corso degli anni, il vostro campo d’azione non ha cessato di ampliarsi. Ai vecchi flussi di immigrati si sono aggiunti i trasferimenti talvolta brutali di persone che sono state obbligate a cercare rifugio lontano, e che non avrebbero voluto lasciare la terra nativa di loro spontanea volontà. Simili situazioni, spesso drammatiche, toccano milioni di persone su tutti i continenti.

Si può, da ciò, rendersi conto che, malgrado l’impegno generoso della vostra Organizzazione e i risultati già ottenuti, resta ancora molto da fare in favore degli immigrati e dei rifugiati. Questo per dire quanto il ruolo della Commissione cattolica internazionale per le migrazioni rimane prezioso e urgente. Ciò porta da una parte a confermare l’importanza della vostra Istituzione, dall’altra a invitarvi a un impegno rinnovato così come a una revisione continua dei vostri metodi e dei vostri strumenti di lavoro.

2. A causa della persistenza e della crescita delle difficoltà incontrate dagli immigrati e dai rifugiati, nuove iniziative sono state prese dalla Chiesa al fine di contribuire all’assistenza di queste categorie di persone. Nella Curia stessa sono stati creati dei dicasteri che hanno come obiettivo quello di promuovere e di coordinare le iniziative pastorali e i programmi di assistenza messi in atto nella Chiesa in questo campo. Citerò in particolare il Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti e il Pontificio Consiglio “Cor Unum”.

È in questo spirito che i vostri statuti sono stati recentemente rivisti: essi includono il desiderio di collaborare in maniera continua con gli organismi della Santa Sede, particolarmente con quelli che operano nella stessa sfera di competenze. Si tratta di utilizzare al meglio le risorse umane e materiali di cui dispone il mondo cattolico, evitando il rischio del doppio lavoro e della dispersione delle energie.

Sul piano locale, è chiaro che le azioni possono essere portate avanti e sviluppate solo in armonia con le direttive dell’episcopato. In questa linea, la migliore politica che può applicare la Commissione cattolica internazionale per le migrazioni sarà quella di portare il proprio appoggio alle attività e alle iniziative della Chiesa locale, piuttosto che di organizzarne altre parallele. In questo modo si potrà offrire l’occasione a diversi gruppi, specialmente a quelli formati da giovani laici così come ai membri di altre comunità religiose, di associarsi nell’impegno in favore degli immigrati e dei rifugiati.

3. Nei limiti di questo breve incontro, evocherò in poche parole alcuni aspetti dei problemi di fronte ai quali vi trovate. Quando si parla di immigrati o di rifugiati, non si può evitare di interrogarsi sulle cause della loro partenza. E so che la vostra attenzione si sofferma spesso sui “Paesi di origine”: in questi si scoprono come cause di esilio non solamente dei conflitti violenti, ma anche la violenza della povertà e del sottosviluppo.

È qui che la riflessione e l’azione della Chiesa assumono tutta la loro portata pratica e suppongono il massimo di solidarietà effettiva. Perché si tratta, quando è possibile, di aiutare degli uomini e delle donne, delle famiglie, a vivere decentemente e in pace sulla propria terra. Ciò dipende da numerosi fattori naturali, sociali, economici e politici che solo i primi interessati possono veramente padroneggiare. Tuttavia un sostegno economico o tecnico è molte volte indispensabile per progredire, sostegno che marcia di pari passo, tengo a dirlo, con un rispetto continuo della dignità delle persone, delle famiglie, delle loro tradizioni, della loro salute, del loro diritto di vivere e di dare la vita.

Uno sguardo d’insieme su questi problemi fa comprendere che i Paesi più favoriti non possono disinteressarsene, che essi portano la loro parte di responsabilità negli squilibri di cui soffrono i Paesi più poveri e che devono contribuire all’attenuazione delle vistose disparità che sono altrettante incitazioni all’immigrazione, anche clandestina, e quindi non desiderata. Gli organismi di coordinazione e di riflessione possono giocare un ruolo determinante perché si prenda una più viva coscienza dall’ampiezza umana dei problemi e dell’urgenza della loro soluzione.

4. Più direttamente, la vostra vocazione vi porta a preoccuparvi degli immigrati e dei rifugiati nei Paesi dove sono accolti, o qualche volta appena tollerati. Per molti dei nostri fratelli la migrazione, che era un cammino di speranza, si trasforma in un percorso irto di difficoltà e di amare disillusioni. Delle frontiere si chiudono davanti a loro, delle legislazioni si induriscono fino a comportare rifiuti infinitamente dolorosi, a mantenere separate delle famiglie, a creare dei veri apolidi. Oppure, entrati talvolta clandestinamente, gli immigrati si ritrovano sfruttati, essendo il loro lavoro mal retribuito, le loro condizioni di vita e di soggiorno per molto tempo precarie. Ricorderò qui ciò che scriveva il mio predecessore Paolo VI a proposito dei lavoratori immigrati: “E urgente che si sappia superare nei loro confronti un atteggiamento strettamente nazionalista per dar loro uno statuto che riconosca un diritto all’emigrazione, favorisca la loro integrazione, faciliti la loro promozione professionale e permetta loro l’accesso a un alloggio decente, nel quale possano raggiungerli, se è il caso, le loro famiglie” (Octogesima adveniens, 17).

Occorre ancora ribadire che, per gli immigrati come per i rifugiati come per ogni altro essere umano, il diritto non è fondato innanzitutto su una appartenenza giuridica a una comunità determinata ma, precedentemente a ciò, sulla dignità della persona? In questo spirito, voi vi unite a quanti lottano contro discriminazioni di ogni genere che, in realtà, contraddicono la vocazione sociale positiva dell’uomo e dei gruppi umani. Quali che siano i motivi del trasferimento delle persone, è giusto non soltanto accordare loro dei mezzi di sussistenza, ma anche entrare con loro in un rapporto costruttivo. Un primo, necessario aiuto condurrà in seguito immigrati o rifugiati a prendere in carico la propria integrazione nel Paese di accoglienza o, quando è possibile, a preparare il proprio ritorno nella patria di origine. In tutti i casi, occorre che essi beneficino di condizioni sanitarie, educative, professionali che permettano di sviluppare le loro qualità senza distruggere il patrimonio di cultura e di tradizioni che desiderano preservare.

5. Le preoccupazioni, evocate qui a grandi linee, sono condivise da numerose persone e da diverse organizzazioni che manifestano un interesse per questa urgente attività umanitaria. È responsabilità di tutti contribuire a creare un tessuto sociale favorevole all’accoglienza e alla solidarietà con gli immigrati e i rifugiati. I cattolici hanno qui una testimonianza da dare: la rivelazione evangelica, con la sua luce e le sue esigenze, mostra chiaramente che essi hanno vocazione ad assumere una parte attiva in questo compito.

I cattolici che si pongono al servizio degli immigrati e dei rifugiati non possono dimenticare che essi sono i discepoli di colui che si riconosce sotto i tratti del buon samaritano e che afferma di identificarsi con il povero e lo straniero (cf. Lc 10, 29-37; Mt 25, 35. 43). Quelli che accolgono sinceramente questo aspetto del messaggio di salvezza non possono mancare del coraggio e della perseveranza necessaria per far progredire l’accoglienza degli stranieri. Occorre giungere alla conversione del cuore di ciascuno, e così alla conversione delle stesse comunità. Questa conversione sarà reale allorché si sarà compreso che il servizio dei fratelli non è un’“opera buona” un po’ secondaria, ma è strettamente legato al rapporto personale del cristiano con il suo Signore, il buon pastore che offre la sua vita perché non si perda una sola pecora (cf. Gv 10, 14-18). Un aiuto disinteressato è condizione perché si costituisca il corpo di Cristo nell’unità e nella diversità dei suoi membri, in un medesimo Spirito, sotto lo stesso capo, il Figlio di Dio che, attraverso la sua morte e la sua risurrezione, riconcilia tutta l’umanità con il Padre.

Cari amici, vi incoraggio nel compimento dei vostri impegni. Che il Signore vi illumini e vi fortifichi!

 

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