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VIAGGIO APOSTOLICO IN TANZANIA, BURUNDI, RWANDA E YAMOUSSOUKRO

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON I MEMBRI DEL CORPO DIPLOMATICO NELLA
«STATE HOUSE»*

Dar-es-Salaam (Tanzania) - Sabato, 1° settembre 1990

 

Eccellenze,
Signore e Signori,

1. All’inizio della mia Settima visita Pastorale in Africa, ho il piacere di incontrare voi, illustri Capi di Missione e personale diplomatico accreditato presso il Governo della Tanzania, come pure i Rappresentanti delle Organizzazioni Internazionali presenti qui a Dar-es-Salaam. Ringrazio il Pro-Nunzio Apostolico per le parole di benvenuto che mi ha indirizzato a nome vostro, e vi saluto tutti con profondi sentimenti di amicizia e di stima. La migliore prerogativa della vostra vocazione e l’autentica ragione del suo prestigio sta nel vostro generoso impegno professionale a migliorare la comprensione e a promuovere lo sviluppo e la pace tra i popoli del mondo.

Allo stesso modo alla Chiesa è stata affidata dal suo Divino Fondatore una missione religiosa e umanitaria, diversa per la sua natura dalla vostra, ma aperta a molte forme di cooperazione e di mutuo sostegno. In effetti, la presenza della Santa Sede nella comunità internazionale corrisponde a ciò che può essere chiamato una “passione” per il bene della famiglia umana - per la pace, per la difesa della dignità umana e dei diritti umani, per il benessere integrale degli individui e dei popoli - una “passione” che deriva necessariamente ed eternamente dal Vangelo di Gesù Cristo, e che confido voi condividiate.

La Chiesa rivolge la sua più viva attenzione al mondo, teatro della storia umana (cf. Gaudium et spes, 2), dove essa contempla la famiglia umana sopraffatta dalla meraviglia delle proprie scoperte e del proprio potere, ma allo stesso tempo ansiosa sull’attuale direzione delle cose umane, e sempre più pressantemente preoccupata sulle questioni più profonde del ruolo dell’uomo nell’universo, sul significato dei suoi sforzi individuali e collettivi, e sul destino ultimo della stessa famiglia umana (cf. Ivi, 3). Essa vorrebbe entrare in conversazione con uomini e donne di buona volontà di tutto il mondo su questi problemi fondamentali, offrendo loro la luce della Rivelazione che ha ricevuto, e della sua riflessione teologica e antropologica. È in questa prospettiva che vorrei affrontare brevemente due questioni che hanno enormi ripercussioni sui popoli dell’Africa.

2. Il primo di questi problemi emerge da una drammatica statistica. Viene comunemente accettato il fatto che in Africa esistono circa cinque milioni di rifugiati, come pure circa tredici milioni di profughi. Vale a dire che milioni di nostri fratelli e sorelle sono senza casa e in esilio, privati di dignità e di speranza. Alcuni sono vittime di calamità naturali, ma la maggior parte sono vittime innocenti di conflitti etnici, lotte di potere, o del fallimento di politiche di sviluppo. Questa immensa tragedia umana di solito ha sull’opinione pubblica mondiale un impatto più debole rispetto a molte altre cause di crisi nel pianeta. Per questa ragione non posso fare a meno di cogliere quest’opportunità per ricordare a voi e ai Governi che rappresentate che la situazione esige un intervento urgente da parte della comunità internazionale al fine di aiutare questa gente non soltanto a sopravvivere, a nutrirsi, a ricevere assistenza sanitaria e cure mediche, ma anche a vivere delle esistenze utili e rispettabili e ad alimentare le loro speranze in un futuro migliore per se stessi e per i loro figli.

I Paesi dell’Africa o dell’Asia con un vasto afflusso di rifugiati si trovano difficilmente in una posizione tale da poter far questo da soli. Siamo tutti d’accordo sul fatto che le nazioni più favorite e le organizzazioni internazionali impegnate nell’aiuto ai rifugiati, stanno facendo molto, e di questo dobbiamo dar loro atto. Ma è necessario fare molto, molto di più, e i ripetuti appelli alla coscienza di quanti sono in grado di fare di più sono necessari, soprattutto tenendo conto che c’è una diminuzione delle risorse dirette a questo scopo. Il Paese che ci ospita, la Tanzania, fa parte di quelle Nazioni che ospitano i rifugiati e che hanno cercato di provvedere ai rifugiati delle aree limitrofe facendo ricorso alle proprie risorse, tanto necessarie, e divenendo così essa stessa bisognosa di sostegno, a questo riguardo, da parte della comunità internazionale. L’aspetto umanitario immediato di tutta la questione esige una risposta ugualmente immediata e generosa da parte delle Nazioni più sviluppate.

3. Allo stesso tempo la complessa natura di tutto il problema dei rifugiati e dei profughi indica chiaramente la necessità di un’azione su molti altri fronti, se si vuole che la situazione migliori. Le cause fondamentali possono essere intaccate soltanto dove esista una crescita nella pacificazione e nella democratizzazione della vita africana, con una partecipazione crescente di tutti i gruppi in un ordinamento della vita pubblica rappresentativo e tutelato giuridicamente. Occorre un grande sforzo per innalzare il livello dell’istruzione affinché un numero maggiore di persone possano ricoprire un ruolo responsabile nel determinare le politiche economiche, sociali e culturali da seguire. Deve essere promossa la consapevolezza della dignità umana e dei diritti umani.

Il dialogo e il negoziato devono prendere il posto del conflitto nella risoluzione delle tensioni. Sempre di più i popoli dell’Africa si stanno convincendo che devono essere gli artefici del proprio destino. Le Nazioni sviluppate, da parte loro, avendo superato la tentazione di guardare all’Africa semplicemente come ad una risorsa da sfruttare per il proprio vantaggio, devono certamente comprendere che è nell’interesse di tutti vedere questo Continente svilupparsi come partner capace e vigoroso negli scambi economici e culturali.

Tutto ciò esige che l’interdipendenza dei popoli e delle Nazioni sia riconosciuta come una categoria morale, la cui risposta correlativa è una solidarietà che non sia solo comprensione e compassione - che hanno il loro giusto posto nei rapporti umani -, bensì un fermo e perseverante proposito di operare per il bene comune di tutta la famiglia umana (cf. Sollicitudo rei socialis, 38). Alla base di questo atteggiamento di solidarietà sta la convinzione che tutti sono responsabili di tutti, vale a dire che ciascuno è legato da un imperativo morale universale a riconoscere gli altri come detentori degli stessi diritti umani e degni di un eguale trattamento. Ciò che si applica agli individui vale anche per le Nazioni: quelle più ricche e più forti devono avere un senso di responsabilità morale nei confronti delle altre Nazioni, affinché si stabilisca un sistema internazionale che si basi sull’equità per tutti i popoli e sul necessario rispetto per le loro legittime differenze (cf. Ivi, 39).

Il problema dei rifugiati e dei profughi è una drammatica istanza che chiama in causa la responsabilità morale della comunità internazionale. Signore e Signori, lavoriamo insieme per dare una risposta adeguata: la Chiesa nel suo campo, educando i propri membri nel fondamento religioso dei loro doveri ed incoraggiandoli nel servizio generoso e altruista ai loro fratelli e sorelle nel bisogno; voi, quali diplomatici e rappresentanti di organizzazioni internazionali, facendo il massimo per promuovere una risposta adeguata alla calamità che colpisce tanti milioni di esseri umani, e soprattutto operando per un nuovo ordine internazionale basato sui principi morali più alti della responsabilità, della giustizia e della fratellanza.

4. Anche l’altro argomento di cui vorrei parlare brevemente sottolinea la realtà dell’interdipendenza globale. Il dramma dell’Aids minaccia non soltanto alcune Nazioni o società, bensì tutta l’umanità. Non conosce frontiere di geografia, razza, età o condizione sociale. Quest’epidemia, diversamente dalle altre, è accompagnata da un’inquietudine culturale unica, che deriva dall’impatto del simbolismo che suggerisce: le funzioni generatrici della sessualità umana e il sangue, che è l’epitome della salute e della vita stessa, sono diventati veicoli di morte. Solo una risposta che tenga conto sia dell’aspetto medico della malattia, come pure delle dimensioni umane, culturali, etiche e religiose della vita, può offrire una completa solidarietà alle sue vittime e accrescere la speranza che l’epidemia possa essere controllata e fatta regredire.

L’epidemia dell’Aids esige uno sforzo incommensurabile di cooperazione internazionale da parte dei Governi, della comunità medica e scientifica mondiale, e di tutti coloro che esercitano un’influenza nello sviluppare un senso di responsabilità morale nella società. La minaccia è così grande, che l’indifferenza da parte delle pubbliche autorità, le pratiche accusatorie e discriminatorie verso quanti sono affetti dal virus di immunodeficienza acquisita, o le rivalità di parte nella ricerca di una risposta medica a questa sindrome, devono essere considerate fattori di aggravamento di questo terribile male che ha colpito l’umanità.

I membri della Chiesa continueranno a fare la loro parte prendendosi cura dei sofferenti, come Gesù ha detto ai suoi seguaci di fare (cf. Mt 25, 36), e promuovendo una prevenzione che sia rispettosa della dignità della persona umana e del suo destino trascendente. La Chiesa è persuasa che senza una rinascita della responsabilità morale e senza una riaffermazione dei valori morali fondamentali, ogni programma di prevenzione basato soltanto sull’informazione sarà inefficace e addirittura controproducente. Ancora più dannose inoltre sono le campagne che implicitamente promuovono - per la loro mancanza di contenuto morale e per la falsa sicurezza che offrono - proprio quei modelli di comportamento che hanno grandemente contribuito all’espansione della malattia.

5. Gentili signore e illustri signori, ho parlato dei rifugiati e degli ammalati, due categorie di persone tra le più bisognose del nostro pianeta. La nostra sollecitudine individuale e collettiva per loro è un metro definito della nostra umanità, nel senso più nobile della parola. Come un fratello nella nostra comune umanità, faccio appello a voi affinché usiate tutta la vostra influenza per orientare gli sforzi e le risorse del mondo alla promozione del vero benessere della famiglia umana.

Una nuova era di sviluppo e di solidarietà, guidata non dall’egoismo, bensì da un profondo e convinto rispetto per la dignità umana ed i diritti umani, è la grande opportunità e la sfida che la mutata situazione mondiale ci permette di contemplare e di affrontare. Possa Dio garantire ai capi dei popoli la saggezza e la bontà che l’ora richiede. Dio benedica voi, le vostre famiglie e i Paesi che rappresentate. Grazie!


*L'Osservatore Romano 3-4.9.1990 p.6.

 

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