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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELL'EMILIA ROMAGNA
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Venerdì, 1° marzo 1991

 

Venerati fratelli nell’Episcopato della Regione Emilia-Romagna!

1. Sono lieto di concludere con questo incontro collegiale le vostre visite “ad limina”, nel corso delle quali mi avete recato la rinnovata testimonianza della comunione con la Sede di Pietro delle Chiese a voi affidate. Sono grato all’Arcivescovo di Bologna, il caro Cardinale Giacomo Biffi, per l’elevato indirizzo rivoltomi a nome di tutti: nelle sue parole ho sentito vibrare le preoccupazioni e le speranze, che ciascuno di voi porta nel suo cuore di Pastore, incaricato dell’annuncio evangelico e della promozione della vita cristiana tra gli uomini e le donne del nostro tempo.

Durante le mie visite in Emilia-Romagna ho parlato spesso della necessità di una nuova evangelizzazione, e ho indicato nella nuova inculturazione della fede il compito primario della generazione cristiana che s’affaccia sul terzo millennio.

Il dialogo di questi giorni con ciascuno di voi mi ha ulteriormente convinto dell’urgenza di questo impegno, perché il processo di secolarizzazione, cioè di estromissione della motivazione e della finalità religiosa da ogni atto della vita umana, prosegue rapidamente. Le prospettive di non poche persone sono rinchiuse entro l’angusto orizzonte della ricerca del proprio benessere; e poiché, questa, alla fine tradisce, non vi è da stupirsi se il tasso di rifiuto della vita - suicidi, aborto, eutanasia, droga - è in Emilia-Romagna altissimo. Si ha a volte l’impressione che il vostro sia un popolo che crede di amare la vita, ma non sa quale vita amare.

2. Questa situazione assegna al compito della nuova inculturazione della fede un contenuto primario: annunciare il valore religioso della vita umana, la quale solo in una prospettiva aperta al “mondo invisibile” (cf. 2 Cor 4, 18) può essere veramente vissuta nelle sue intrinseche e connaturali dimensioni personali, familiari e sociali.

La vostra terra ha bisogno di verità: tanto più ne ha bisogno, perché non sembra più essere interessata a cercarla. Imprescindibile compito di voi Pastori - insieme con tutto il popolo cristiano, e particolarmente con le parrocchie, associazioni, movimenti, gruppi organizzati - è di annunciare in ogni circostanza e in ogni ambiente la verità della vita. Cristo è principio originale e radicale della vita: “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Gv 1, 3). Anzi è Egli stesso la vita: “Ego sum vita” (cf. Gv 11, 25; 14, 6).

La fede nel Signore, Dio della vita - Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, non dio dei filosofi - ci pone in una prospettiva di rasserenante certezza: la vita umana non è un dato puramente biologico. Infatti, “chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv 11, 25).

Perciò ammonisce il Signore, “non di solo pane vive l’uomo”(Dt 8, 3): non di solo benessere, di desiderio di possesso, di ambizione, di potere, di edonismo, di erotismo, di illusorie felicità. La dimensione interiore dell’esistenza, questo sguardo umile e sincero dentro di sé, che scopre con stupore riconoscente “il dono di Dio” (Gv 4, 10), è troppo spesso assente dall’orizzonte di interesse dell’uomo del nostro tempo, sazio e secolarizzato. A tale sguardo, Venerati fratelli, non dovete mai stancarvi di richiamare i vostri fedeli: Maria, che “serbava nel suo cuore meditando” (Lc 2,19) le “grandi cose” fatte in Lei dall’Onnipotente (cf. Lc 1, 49), è di ciò archetipo e modello sicuro.

Quando la dimensione religiosa della vita è accolta, allora - e solo allora - la vita umana acquista pienezza di significato in relazione alla persona, alla famiglia, alla società. Nella presente economia, Dio non ha due progetti sull’uomo, uno naturale e uno soprannaturale: ne ha uno solo, ed è la nostra misteriosa ma reale partecipazione in Cristo alla vita di conoscenza, di amore, di gioia, che è propria della Trinità.

Non vi è perciò vita umana che possa realizzare in pienezza la sua originaria vocazione sociale, se non all’interno di una prospettiva religiosa. È solo in questa che il rapporto con gli altri si fa dono gratuito di sé, partecipa dell’Amore del Padre, si purifica e si sublima unendosi misteriosamente alla croce di Cristo.

3. A prima vista, il corpo sociale della vostra Regione appare forte e vigoroso: in esso è diffusa un’accentuata prosperità economica e si gode una certa tranquillità civica, favorita dalla tolleranza e dal rispetto reciproco tra cittadini. L’Emilia-Romagna è ricca di prestigiose istituzioni culturali e di luoghi di attiva partecipazione. La Chiesa è amata dai fedeli e stimata da chi ritiene di esserne estraneo.

Ma, accanto a questi segni di vigore, emergono stigmate di malattia e di morte. La denatalità, arrivata a livelli allarmanti, cui conseguono l’invecchiamento della popolazione e la frattura tra generazioni; il frequente ricorrere di divorzi e di separazioni coniugali; l’assuefazione alla piaga dell’aborto, che atrofizza il senso morale e mina la capacità di accogliere e di proteggere la vita in ogni sua fase; l’alto numero di suicidi; la spaventosa diffusione della droga; il preoccupante fenomeno delle inutili morti del sabato notte sulle strade; l’emergenza di nuove e subdole forme di povertà; il diffondersi di malattie che trovano terreno fertile in stili di vita che negano la verità della persona. In questo quadro la solidarietà rischia di essere più dichiarata che vissuta; la tolleranza può trasformarsi in disinteresse e disimpegno; il rispetto reciproco può degradare in chiusura egoistica e in relativismo morale.

La cultura e la scienza, poi, non sempre si orientano alla ricerca della verità, ma tendono a darsi un fondamento autonomo, fino a ritenere moralmente lecito tutto ciò che è tecnicamente possibile: il pensiero va, in particolare, alla sperimentazione sugli embrioni umani e alla manipolazione genetica. Nell’ambito, infine, delle strutture pubbliche non pochi sembrano confondere una corretta laicità con l’agnosticismo in materia di valori, riducendo la funzione della norma alla semplice registrazione e regolamentazione del costume.

È, dunque, urgente un’azione pastorale che investa le radici più profonde delle scelte personali e sociali, e conduca a recuperare il valore religioso e sociale della vita.

4. Qui sta infatti la chiave di tutto: nel senso e nel valore che si attribuisce alla vita. Se la vita è dono, l’uomo e la donna non ne sono i padroni. Ne sono i fruitori, gli amministratori: sono chiamati a trasmetterla tenendo conto non solo della sua dimensione naturale, ma anche della sua contemporanea e concomitante potenzialità soprannaturale, che Dio riserva a sé di riempire e di svolgere. In questo consiste la fecondità della famiglia, cellula essenziale della Chiesa e della società.

La denatalità, l’ingiustificato rifiuto di trasmettere generosamente ad altri il dono ricevuto, significano in realtà la ricusazione del dono e del progetto divino. Altrettanto dobbiamo dire per l’aborto, in cui il peccato cresce sul peccato, la menzogna sul delitto. Presentato come diritto, sostenuto dai pubblici poteri, offerto senza remore morali nei servizi pubblici, l’aborto costituisce oggi una drammatica manifestazione di involuzione e di regresso nella percezione del senso vero e pieno della vita.

Con ferma franchezza nutrita di misericordia e di benevolenza, non dovete stancarvi di proclamare la verità del progetto divino sulla vita e sulla trasmissione della vita. Su questo tema, ancora una volta, la Chiesa è chiamata ad essere il sale che dà sapore e che preserva dalla corruzione.

La nuova evangelizzazione, che non mi stanco di invocare e di proporre, deve insistere su questo lieto annuncio: Dio, Autore della vita, ha per ognuno un progetto specialissimo di felicità e di eternità. Chiede solo di aderire a questo progetto, di affidarsi al suo amore, di orientare a Lui tutta la vita personale e sociale, accettando di conoscerlo, amarlo e servirlo. Tutta la Chiesa dell’Emilia-Romagna deve ripetere instancabilmente il grido di Paolo: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5, 20).

5. Occorre che la Chiesa dell’Emilia Romagna entri in stato di missione. Se il pastore della parabola non si dà pace perché ha smarrito l’uno per cento del suo gregge, le Comunità cristiane non possono restare in pace vedendo lo smarrimento doloroso e mortale di tanti fratelli, la loro vita sempre meno ricca di senso.

L’annuncio incontra ostacoli: è una lotta contro il mondo, quel mondo che non ha riconosciuto Cristo (Gv 1, 10) e che mette in opera tutte le sue forze per rifiutarlo. Cristo ha vinto il mondo: e “questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede” (1 Gv 5, 4). La preghiera e soprattutto l’Eucaristia, fonte, culmine, alimento della vita cristiana, siano la vostra forza: soprattutto l’Eucaristia, celebrata dalla comunità cristiana la domenica, da ricuperare anche essa al suo originario significato religioso di “giorno del Signore” e alla sua rilevanza sociale di giorno del riposo e dell’incontro personale.

L’annuncio si esprima in tutta l’esistenza del cristiano, in tutte le situazioni. Si annunci con la parola, senza la quale il valore apostolico delle buone azioni diminuisce o sfugge. Si annunci con le opere di carità, testimonianza viva della fede, non dimenticando le opere di misericordia spirituale accanto a quelle materiali. Non ci siano riserve nell’associare la parola di Cristo alle attività caritative, per un malinteso senso di rispetto delle altrui convinzioni. Non è carità sufficiente lasciare i fratelli all’oscuro della verità; non è carità nutrire i poveri o visitare i malati portando loro risorse umane e tacendo loro la Parola che salva. “Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di Lui grazie a Dio Padre” (Col 3, 17).

6. Ma anche il seme sparso più generosamente può essere soffocato da un ambiente sociale deficiente o maldisposto, da una cultura ostile. Agite dunque per l’inculturazione della fede, stimolando e guidando sapientemente ogni iniziativa opportuna. In un ambiente in cui non raramente la libertà di parola è usata come arma per svigorire la libertà di pensiero, non manchi la franca presenza pubblica del pensiero cattolico.

Presenza culturale significa anche presenza civile e politica. Nella vostra società altamente complessa le decisioni politiche permeano ogni settore della vita, e concorrono spesso a indirizzare verso stili di vita sempre più lontani dal senso cristiano. La doverosa distinzione di ambiti tra Chiesa e poteri pubblici non deve far dimenticare che l’una e gli altri si rivolgono all’uomo; e la Chiesa, “maestra di umanità”, non può rinunciare ad ispirare le attività che si dirigono al bene comune.

La Chiesa non intende usurpare compiti e prerogative del potere politico; ma sa di dover offrire anche alla politica uno specifico apporto di ispirazione e di orientamento. Una fede socialmente irrilevante non sarebbe più la fede esaltata dagli Atti degli Apostoli e dagli scritti di Paolo e di Giovanni.

7. Questo nostro incontro si svolge nel benedetto tempo della Quaresima, che ci prepara nella meditazione, nella preghiera e nella penitenza all’erompere della luce pasquale. Risuoni nelle Comunità della vostra regione, in piena sintonia col tempo liturgico, l’invito dell’apostolo Giovanni. “Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla, ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista” (Ap 3, 17-18).

Ai fratelli che, incerti sul senso della vita, rischiano di smarrirsi nelle tenebre del mondo, offrite dunque la luce di Cristo. Ogni battezzato sia una lucerna, non nascosta sotto il moggio, ma elevata alta sul lucerniere, a rendere presente Colui che è venuto nel mondo per esserne la luce (Gv 12, 46).

Con questo augurio, mentre invoco su di voi e sui fedeli affidati alle vostre cure la materna protezione della Vergine Santissima, di cuore imparto a tutti l’apostolica benedizione.

 

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