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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI OGNISSANTI

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 3 marzo 1991

 

Ho ricevuto tanti doni e devo ringraziare tutti i donatori, soprattutto i più piccoli e i giovani e poi tutti gli altri, adulti, anziani, tutti. Ma soprattutto voglio ringraziare un grande “donatore” che per tutti noi è il Beato Luigi Orione. Ringraziamo Dio Onnipotente, ringraziamo la Santissima Trinità per la sua persona e per la sua opera, perché rifulga in tanti ambienti e in tanti Paesi. Ringraziamo per questo amore, amore che lo ha guidato nella sua vita, che lo ha fatto servitore dei giovani, dei bambini, dei poveri.

Ringraziamo per tutto quello che ci ha lasciato Don Orione come eredità, come testamento della sua vita e del suo impegno pastorale. Oggi posso entrare in questa parrocchia, in questo ambiente che già prima ho potuto conoscere e visitare, prima di essere Papa. Saluto cordialmente tutti i presenti. Saluto i figli spirituali di Don Orione a cui è affidata la guida pastorale di questa parrocchia di Ognissanti. Saluto poi i genitori che sono arrivati insieme ai loro bambini, e poi i diversi gruppi dei giovani che hanno espresso la loro partecipazione a questo incontro. Auguro alla vostra comunità, a questa famiglia spirituale, che lo spirito di Don Orione sia sempre vivo e fruttifichi nelle vostre famiglie e nelle generazioni sempre nuove, che vi faccia amare gli uni gli altri e specialmente amare e avere cura per le persone più bisognose, per i poveri, gli abbandonati, gli emarginati e gli altri che non ci mancano in questo mondo odierno.

Ringrazio anche tutti coloro che hanno guidato questo incontro, questo programma; lo hanno preparato e poi guidato durante il percorso attuale. È una buona inaugurazione della visita della parrocchia. Entriamo adesso nella chiesa per celebrare la Santissima Eucaristia e per esprimere in questa Eucaristia tutto quello di cui è pieno il nostro cuore, esprimere la nostra gratitudine. Eucaristia vuol dire ringraziamento, vuol dire grazie. Invito tutti a prendere parte a questa gratitudine mia, della vostra comunità insieme alla Chiesa che è in Roma per l’opera di Don Orione, per la sua persona e per la sua vita santa: che sia anche una vita santificatrice per gli altri, per voi tutti, per noi tutti. 

Alle religiose

Ora penso di aver capito qualche cosa. Sono cinque diverse famiglie, cinque diversi abiti, che sembrano uno . . . Si distinguono soltanto le africane, ma non so se è per loro merito, per loro privilegio, perché ciò che vi distingue, carissime sorelle, sta dentro, lo conosce lo Sposo. Grazie a voi si mantiene viva questa relazione, questo legame sponsale tra la Chiesa, popolo di Dio, e il Divino Sposo. Questo è il vostro privilegio, questo è il vostro segreto, questo è anche il vostro apostolato. Ci sono diversi apostolati, diversi ministeri di servizio anche qui nella parrocchia, ma questo è il principale. Per questo siete tanto preziose nella Chiesa e per la Chiesa, dappertutto. Vi auguro di crescere sempre più “qualitativamente”: essere spose, essere religiose, essere consacrate è una qualità difficile da definire dal di fuori. Questo lo sa lo Spirito Santo. Ma vi auguro anche di crescere “quantitativamente”. La Chiesa ha bisogno di voi, il mondo ha bisogno di voi, ha grande bisogno. Forse non lo dice, non osa dirlo, forse si vergogna di dirlo, ma lo sente. Vi auguro una buona continuazione in questa parrocchia.

Al consiglio pastorale

Mille grazie per questa presentazione. Ho seguito tutto il testo e ho pensato alla parola evangelica che si potrebbe trovare per esprimere tutto ciò in modo conciso, in modo evangelico, semplicemente. Io penso che questa parola si trova nella parabola del “lievito”, che lievita la massa. Ecco, questo Cristo voleva dai suoi discepoli: essere lievito. Io penso che la stessa cosa è attuale oggi. Oggi forse non si parla più del lievito perché è una categoria, come dire, “culinaria” . . . Si parla, per esempio, di animazione, di promozione, si parla anche delle istituzioni, commissioni, consigli. Tutto questo è giusto, perché la Chiesa vive sempre in un determinato periodo di tempo e anche nelle sue terminologie accetta i termini, le parole di questo periodo, di questa epoca. Questo è giusto.

Ma la parola evangelica è molto suggestiva e dice molto. Dice appunto quello che voi siete e che voi volete essere e dovete essere. Questa è la vostra scelta come parrocchiani legati molto alla tradizione di questa parrocchia, e al suo fondatore, il Beato Don Luigi Orione.

Certamente anche lui era un “lievito” a modo suo, in modo eroico, e ha saputo muovere la massa. Questa massa si muove anche oggi, non solamente come gli orionini in diverse parti del mondo, ma anche come voi. Quello che siete interiormente come persone, come comunità, come Consiglio, lo dovete anche a lui, a questo Santo sorridente che noi vediamo qui, il Beato Don Orione. Ecco, io ringrazio per tutto questo, perché appartiene alla natura della Chiesa, al suo dinamismo, al suo essere dinamico. Essere “lievito” appartiene alla vocazione cristiana, alla chiamata cristiana, a questo “seguimi” di Cristo; appartiene l’essere “lievito” nel senso personale e nei diversi sensi comunitari, con diversi aspetti, con diverse modalità. Sono tante le forme dell’apostolato, tante le opere dell’apostolato. Anche nella vostra parrocchia, anche dentro questo Consiglio c’è una ricchezza, un “mosaico”: il mosaico è sempre bello, è sempre suggestivo. Io vi auguro di essere “lievito”, di camminare e di trasformare questa “massa” del vostro quartiere, della vostra parrocchia, così come voleva Cristo. Egli diceva questa parabola del “lievito” per esprimere che cosa è il Regno di Dio. Essa è attuale per oggi. Anche noi cerchiamo di realizzare, di attuare, di preparare il Regno di Dio. Allora vi auguro di essere “lievito” e vi ringrazio.

Alle coppie di fidanzati e di giovani coniugi

Erano forse gli anni Venti o Trenta, fra le due guerre. In Belgio c’era un sacerdote che poi è morto cardinale. Si chiamava Joseph Cardin. Egli ha vissuto in una parrocchia operaia dove trovava molti giovani operai che s’incontravano con lui, ma soprattutto trovava molti operai indifferenti, molti giovani indifferenti, scristianizzati. Egli ha intuito il concetto - come Pastore, come sacerdote - che se si vuole convertire la classe operaia, cristianizzare la classe operaia, lo si deve fare attraverso gli operai.

Oggi noi viviamo, in diversi Paesi dell’Europa e del mondo, ma dell’Europa soprattutto, una crisi, una certa scristianizzazione del matrimonio e della famiglia. Si scrive molto di queste cose, si fanno analisi dell’amore umano, dell’amore responsabile. Tutto questo è utile, ma se si vuole cambiare il clima, la realtà matrimoniale e familiare del mondo odierno si deve farlo soprattutto attraverso le famiglie e attraverso i matrimoni, le coppie. Gli sposi cristiani possono fare cristiani, possono convertire gli altri sposi, le altre coppie, le altre famiglie. Questa forma di apostolato è molto attuale e provvidenziale. Naturalmente il primo passo è di scoprire il progetto divino sul proprio matrimonio, sulla propria famiglia, e questo progetto è ricchissimo, è stupendo. Questo progetto divino è anche profondamente umano, fa crescere la nostra umanità, la nostra personalità umana, il nostro essere uomini e donne: tutto questo cresce perché Dio è Creatore e se noi ci troviamo dentro il suo progetto troviamo la crescita, troviamo il progresso, la perfezione.

Allora, quando ci sono le coppie di sposi che hanno trovato questo progetto divino e hanno potuto avviarlo nella propria vita, poi possono diventare anche apostoli delle altre coppie, delle altre famiglie. E io vi auguro tutto questo, e auguro al vostro parroco, al vostro Vescovo Monsignor Mani che questa opera sia veramente sempre più efficace in Roma, in questo Settore Est ma anche in tutta Roma e dappertutto. Voglio offrire a voi tutti una benedizione, alle vostre famiglie, ai presenti e anche a coloro che non sono potuti venire, a tutte le famiglie e a tutte le coppie del quartiere, della parrocchia, ai vostri bambini, ai vostri figli e figlie.

Ai giovani

Prendiamo spunto dalla pace, perché mi sembra che sia al centro della vostra attenzione e della vostra preoccupazione anche per il momento storico, ma non solamente. Cerchiamo di sintetizzare tutto intorno a questa parola: pace. Voi certamente avete avvertito che in ogni celebrazione liturgica, prima dell’Eucaristia, della Comunione, ritorna sempre questa parola: “Offerte vobis pacem”. Ma prima ancora di questa parola, il celebrante prega rievocando le parole che Gesù ha detto ai suoi apostoli l’ultimo giorno, il giorno del congedo, nel Cenacolo, prima di andare al martirio. Ha detto: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”. Questo ha detto agli apostoli, i quali dopo hanno sofferto qualche cosa che è il contrario della pace, piuttosto un dramma: l’umiliazione di Cristo, la sua flagellazione, la crocifissione, la morte violenta. E poi, nella prospettiva ulteriore, hanno dovuto accettare le persecuzioni, la maggioranza di loro ha anche subìto la morte violenta. Sono stati martiri, e così sono stati anche testimoni di Cristo.

Ma Cristo diceva appunto quasi alla storia di questo processo: vi lascio la pace, vi do la mia pace. Che cosa è questa pace? E veramente gli apostoli hanno ricevuto questa pace? Sì, hanno ricevuto questa pace. Hanno portato questa pace in se stessi. Perché la pace ha la sua dimensione esterna, ha la sua dimensione internazionale, sociale. Si dice che il mondo vive in pace quando non c’è guerra, e certamente anche questo appartiene alla pace evocata da Cristo. Ma la sua pace è una cosa molto più profonda, molto più intima, è soprattutto la pace con Dio, la pace che l’uomo porta in sé come frutto della grazia di Dio, come frutto dell’amicizia con Dio.

Noi sappiamo bene che c’è anche un’altra pace di ordine etico, pace della coscienza, tranquillità della coscienza. Anche questa è una pace che ci offre Cristo, a cui ci prepara e che augura a ciascuno di noi. Possiamo dire che la pace nella sua dimensione interna, nella sua dimensione spirituale, e questo si ripete ogni giorno, in ogni celebrazione eucaristica Cristo offre questa sua pace, dà questa sua pace ai suoi discepoli senza fine, alle nuove generazioni, da duemila anni.

Poi, vengono gli operatori della pace. Certamente noi apprezziamo molto coloro che sono operatori della pace nel senso internazionale, nel senso diplomatico, politico. Certamente, hanno molti meriti, così come anche quelli che cercano la pace nella convivenza quotidiana con i più vicini, nella loro famiglia, fra gli sposi, fra i genitori e i giovani. Ma tutto ciò dipende da questa pace intima, da questa pace che Cristo opera in noi. Solamente chi ha questa pace operata da Lui, “la mia pace”, solamente quello può essere anche operatore della pace, può portare la pace agli altri, può diffondere la pace.

Allora vi lascio questa breve riflessione per spiegare il momento storico, ma d’altra parte, anche per spiegare il momento apostolico, perché voi qui riuniti, appartenenti ai diversi gruppi parrocchiali e extra-parrocchiali, voi tutti vi preparate all’apostolato. Ed erano apostoli coloro che hanno ricevuto questa pace di Cristo: “Vi lascio la mia pace”. Erano gli apostoli e veramente hanno ricevuto questa pace, hanno portato questa pace, attraverso itinerari molto difficili, difficilissimi, perseguitati da diverse parti . . . Ma essi avevano questa pace interna e hanno potuto offrire questa pace agli altri. E questa è anche la pace che Dio vuole nella Chiesa e che vuole offrire al mondo la Chiesa: Chiesa come comunità universale, Chiesa come popolo di Dio, Chiesa come entità apostolica. Essa vuole vivere questa pace, vuole sempre approfondire e offrire questa pace al mondo.

Ecco, carissimi, vi auguro una buona continuazione giovanile in questa parrocchia, che nella sua fondazione ha già una grande ispirazione, una grande animazione giovanile, perché sappiamo bene chi era Don Orione. Vi auguro allora la maturazione cristiana: questa maturazione cristiana è sempre apostolato. Vi auguro anche un apostolato giovanile che possa trasformare il mondo attraverso la vostra maturità cristiana: il mondo dei vostri coetanei, il mondo delle generazioni più anziane e più giovani. Molto dipende da voi, carissimi. Grazie per questo incontro. Grazie anche per il canto nella chiesa e poi qui.

 

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