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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AD UN CONVEGNO ORGANIZZATO DALLA
COMMISSIONE DEGLI EPISCOPATI DELLA COMUNITÀ EUROPEA

Venerdì, 11 ottobre 1991

 

Cari fratelli nell’Episcopato,
Cari amici
,

1. Vi riunite quest’anno, centenario della Rerum novarum, che ho consacrato alla Dottrina Sociale della Chiesa, in nome della Commissione sociale degli Episcopati dei paesi della Comunità economica europea. Le vostre riflessioni comuni si appuntano sul tema: “Economia di mercato in Europa nella prospettiva del 1993”.

Questo tema è attuale, poiché molte barriere economiche, e anche politiche, devono cadere il 1 gennaio 1993 tra i paesi della Comunità; questo costituirà un primo risultato dell’Europa unita, le cui conseguenze sociali ed umane saranno considerevoli.

2. È vero che l’organizzazione progressiva di questa parziale unione europea non ha potuto tener conto dei decisivi cambiamenti sopraggiunti nel corso di questi ultimi anni, sul piano stesso delle realtà sociali e politiche. Si era rimasti fermi ad un’Europa che pareva divisa in maniera durevole. Ci si trova adesso dinanzi ad un continente in cui, almeno in teoria, le barriere hanno ceduto.

In quanto Pastori responsabili delle questioni sociali nei vostri Paesi, avete voluto studiare insieme a degli specialisti la problematica provocata da questa nuova situazione, ispirandovi alla recente enciclica Centesimus annus. Vi proponete di riflettere sui rapporti e sull’interazione tra l’economia di mercato e la solidarietà.

3. Dopo la caduta del marxismo e del “socialismo reale”, l’economia che s’incentra sulla libertà di mercato è stata presentata come la panacea per tutti i mali che affliggono i paesi dell’Europa centrale ed orientale. Nella Centesimus annus ho, certamente, sottolineato l’importanza e il valore della libera iniziativa nel campo economico: “Sembra che, tanto a livello delle singole Nazioni quanto a quello dei rapporti internazionali, il libero mercato sia lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni” (Ioannis Pauli PP. II, Centesimus annus, n. 34). Ma ho voluto anche porne in rilevo i limiti: “Ma esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato” (Ivi). Infatti, quanti esseri umani sono privati della possibilità di accedere ad un “sistema d’impresa”, di avere un impiego stabile o di acquisire una formazione professionale!

4. Siete consapevoli che il problema di fondo è di ordine umano. Se la libertà economica dev’essere apprezzata e difesa, questo è vero nella misura in cui essa è una “particolare dimensione” della “libertà umana integrale” (cf. Ivi, 42). La dimensione umana della vita sociale è caratterizzata dal sistema economico e politico, poiché quest’ultimo influisce sulle condizioni di vita delle persone, al di là dell’inquadramento del loro lavoro produttivo. E questo è in rapporto con il destino autentico dell’uomo, la verità dell’uomo nella sua dimensione culturale e religiosa.

Durante gli ultimi decenni, tutto questo non è stato minimamente rispettato nell’Europa centrale e orientale, né, purtroppo, in molte altre regioni del mondo. Ma è anche lecito chiedersi, appunto in prossimità del 1993, se l’Occidente stesso ha pienamente rispettato i suoi stessi valori umani, se anch’esso non ha conosciuto dal canto suo, insieme ad un impoverimento dei valori, altre forme di sfruttamento e di alienazione. “È alienata la società che, nelle sue forme di organizzazione sociale, di produzione e di consumo, rende più difficile” il dono di sé che l’uomo è chiamato a fare “e il costituirsi di questa solidarietà interumana” (Ivi, 42).

5. In questa prospettiva, un incontro come il vostro è un’occasione eccellente per compiere un esame di coscienza e per chiamare le persone responsabili a fare altrettanto. Occorre interrogarsi su quanto i popoli dell’Europa occidentale, in particolare nella Comunità economica europea, sono chiamati a donare a sé stessi nella nuova tappa che si apre il 1 gennaio 1993. E occorre anche chiedersi, in maniera grave ed urgente, cosa essi sono sul punto di dare ai loro fratelli e sorelle dell’altra parte del continente ormai più vicini. Qual è la portata, quale il senso della loro solidarietà? Quali sono i loro progetti?

Tutti questi popoli, dall’una e dall’altra parte dell’Europa, hanno bisogno di un’organizzazione politica ed economica che segua le linee direttive della democrazia e di quello che io ha descritto come “una società del lavoro libero, dell’impresa e della partecipazione” (Ivi, 35). Pur necessaria nei paesi recentemente liberatisi dal comunismo, una simile organizzazione non resta forse un ideale da perseguire persino all’interno delle frontiere della Comunità economica?

6. Se attualmente si pone l’accento sulla solidarietà in Europa verso il Centro e l’Est del continente, il che è un “dovere di coscienza”, non bisogna d’altronde ignorare neanche l’appello alla stessa solidarietà che ci rivolgono i nostri fratelli e le nostre sorelle indifesi e sovente emarginati all’interno delle frontiere dei paesi prosperi e paghi dell’Occidente: quello che si è stati costretti a chiamare “Quarto Mondo”.

D’altra parte, bisogna ripeterlo qui una volta ancora, molti popoli della parte del mondo che convenzionalmente viene chiamata il “Sud” conoscono una reale angoscia. L’Europa non può, in coscienza, arrestare lo slancio di solidarietà ai confini delle sue proprie terre. Vi sono certamente delle urgenze, delle legittime priorità, ma queste devono essere individuate tenendo conto di quello che noi abbiamo chiamato “l’opzione preferenziale per i poveri”, “una forma speciale di primato nell’esercizio della carità cristiana” (Ioannis Pauli PP. II, Sollicitudo rei socialis, 42). Si tratta di un’unità essenziale della famiglia umana che deve tradursi in un atteggiamento fraterno, qualunque siano le distanze. Si tratta inoltre di doveri che derivano dalla storia degli ultimi secoli cui gli Europei non possono sottrarsi.

7. La vostra riflessione comune sul ruolo di tutte le forze sociali in questi tempi di grandi mutamenti nel continente europeo può costituire un notevole contributo alla preparazione dell’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi che si svolgerà tra qualche settimana: ve ne sono riconoscente.

Essa potrà, soprattutto, mediante l’opera delle Commissioni sociali qui rappresentate ed attraverso la loro collaborazione, continuare a formare uomini e donne che sappiano rispondere a quanto l’Europa s’attende, in questo attuale crocevia della storia, dai cristiani fedeli alla propria vocazione al tempo stesso terrena e trascendente, dai cristiani chiamati alla costruzione del Regno di Dio tra le realtà quotidiane di cui essi sono responsabili.

Affido queste intenzioni al Signore, Maestro della Storia, mediante l’intercessione dei Santi patroni dell’Europa. E, di tutto cuore, vi imparto la mia benedizione apostolica.

 

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