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VISITA PASTORALE IN LOMBARDIA

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON LA POPOLAZIONE CREMONESE NELL’OSPEDALE CITTADINO

Cremona - Domenica, 21 giugno 1992

 

Signor Sindaco,
Illustri Autorità presenti,
Carissimi ammalati e operatori sanitari,
Cari fratelli e sorelle della città di Cremona!

1. A tutti rivolgo il mio saluto deferente e cordiale. Sono vivamente grato all’On. Noci per il cortese indirizzo con cui mi ha recato il saluto del Governo Italiano. Ringrazio pure per le gentili parole di accoglienza poc’anzi pronunciate, a nome della cittadinanza, dal signor Sindaco e, a nome del mondo della Sanità, dall’Amministratore dell’Unità socio-sanitaria locale.

Ringrazio pure l’ammalato che con tanto calore ha saputo interpretare i sentimenti più profondi di tutti voi, carissimi fratelli e sorelle degenti di quest’Ospedale Maggiore. Con amorevole sensibilità il vostro Pastore, il caro Monsignor Enrico Assi, ha voluto far iniziare la mia visita pastorale alla Chiesa cremonese da questo luogo di dolore e di speranza. Di qui, saluto con affetto la laboriosa e nobile Cremona: città al centro della rigogliosa e operosa pianura padana; città che offre uno spettacolo inconfondibile di monumenti e opere d’arte in cui si rispecchia, oltre alla genialità, l’animo credente dei vostri padri. Nei molti secoli della sua storia, Cremona ha visto spesso salire alla ribalta personalità eminenti e singolari della vita ecclesiale. Essa vanta come Patrono un laico, Sant’Omobono, che ha saputo fare del suo lavoro non soltanto una fonte di profitto, ma il mezzo efficace di un’originale e personale carità, attenta ai poveri e ai sofferenti, nutrita alla sorgente della Penitenza e dell’Eucaristia. A Cremona è legato anche il nome del mio illustre predecessore, Niccolò Sfondrati che, sulle orme dell’amico fraterno San Carlo Borromeo, incarnò l’ideale del Vescovo tridentino visitando con assiduità – ben quattro volte! – le parrocchie della sua Diocesi, fondando il Seminario diocesano (1566), tra i primi sorti in Italia, apprezzando e sostenendo le nuove forme di spiritualità sacerdotale e religiosa della sua epoca. Da Papa, Gregorio XIV, pur nel breve periodo del suo Pontificato – neppure un anno – seppe cogliere e interpretare la profonda ansia di riforma della Chiesa, condividendo e sostenendo l’opera di santi, quali Sant’Alessandro Sàuli, San Camillo de Lellis, San Filippo Neri. Una delle costanti preoccupazioni del suo ministero furono proprio gli ammalati.

2. Seguendone l’esempio, sono oggi qui fra voi, carissimi degenti, per portarvi il conforto di una parola di sostegno e di incoraggiamento. La Chiesa ha sempre avvertito il servizio ai malati come “parte integrante della sua missione” (Salvifici doloris, 30). Oggi tuttavia essa ha maturato una più chiara consapevolezza del ruolo attivo del malato, il quale non è soltanto il destinatario di un servizio pastorale, ma è chiamato ad assumersi il compito di protagonista e responsabile dell’opera di evangelizzazione e di salvezza (cf. Christifideles laici, 54). Ed è certamente l’ospedale un luogo privilegiato nel quale egli può realizzare questa sua peculiare missione umana e spirituale. Non è forse per lui che si costituisce e si organizza l’intera struttura ospedaliera? Egli, dunque, con le sue sofferenze, con i suoi problemi, le sue ansie, le sue speranze, dev’essere il punto di riferimento di ogni scelta concreta nell’organizzazione dei servizi sanitari. Quando altri criteri si affermano di fatto e prevalgono, il sistema della sanità entra inevitabilmente in crisi e il malessere che in esso si registra finisce per ripercuotersi anche nell’intero ambito sociale. L’ospedale resta così lo specchio più veritiero della società; il luogo più significativo per la comprensione della realtà e dell’uomo di oggi.

3. Acquista perciò valore quasi emblematico l’attuarsi in questo luogo del mio primo incontro con la realtà cittadina di Cremona. Anche per la vostra Città, infatti, l’ospedale costituisce il punto di confluenza delle potenzialità e delle contraddizioni che sono proprie dell’umana convivenza. Essa presenta straordinarie capacità tecnologiche, ma forse rivela anche una certa refrattarietà a rapporti profondi e autentici, e spesso finisce col mostrarsi indifferente ai valori dello spirito. Ora, quando una comunità non riesce a riconoscere e assecondare ogni esigenza dell’uomo, perde in ragionevolezza e in moralità, anche se progredisce nella organizzazione dei servizi. Dall’ospedale, pertanto, parte quasi naturalmente il più forte richiamo al rispetto dell’uomo, di ogni uomo e di tutto l’uomo. Di qui si diffonde un messaggio di accoglienza e di amore, di serenità e di speranza che porta a vincere il pessimismo, la disperazione, il rifiuto della vita. Da questo straordinario crocevia, nel quale persone di diversa estrazione culturale e sociale, s’incontrano per affrontare le stesse problematiche, s’eleva un invito pressante a chiunque serva l’uomo nella stagione del dolore, perché non sia mai dimenticato né tradito il rispetto della dignità umana. E solo la fattiva collaborazione tra operatori sanitari, famiglie e amministratori potrà consentire di corrispondere in modo adeguato a simili attese.

4. A tale delicata impresa la comunità cristiana, nelle sue diverse componenti – presbiteri, laici e consacrati – non mancherà di offrire la sua collaborazione per far sì che sia valorizzata appieno l’esperienza spirituale dei malati. I cristiani, infatti, seppur con responsabilità diverse, devono sentire come “propri” i luoghi della sofferenza, memori delle parole di Cristo: “Ero malato e mi avete visitato” (Mt 25, 36).

5. Loro primo impegno è, dunque, quello di lottare insieme con il malato contro la malattia, senza tralasciare nulla di ciò che possa essere lecitamente fatto o tentato per recare sollievo al corpo e allo spirito di chi soffre. Nelle situazioni nelle quali è possibile il recupero, e ancor più in quelle in cui il male è inarrestabile, è fondamentale che l’ammalato non si senta emarginato dalla famiglia e dalla comunità. Occorre che soprattutto i medici e gli operatori sanitari instaurino con lui una relazione amorevole, attenta e personalizzata. Il Card. Jozef Mindszenty, Primate di Ungheria in tempi di dura persecuzione dei cristiani, amava dire che “il vero medico considera la sua attività nei confronti del paziente come un’opera sacerdotale, come un atto di culto... Il buon medico è scientificamente preparato, ma possiede anche un cuore grande, capace di soffrire con gli ammalati che forse neppure conosce... L’attività del medico è addirittura una vocazione materna: egli interroga con premura l’ammalato, lo ascolta con pazienza, lo aiuta. Quante anime abbattute, quanti cuori freddi un medico credente può riconciliare con Dio anche nell’istante ultimo con qualche parola piena di tatto!” (Memorie, Milano, Rusconi, 1975, p. 66). È necessario, poi, aiutare il sofferente a valorizzare la propria condizione come occasione di crescita nella virtù della speranza e nella maturità spirituale. “Nella sofferenza – ho scritto nella Lettera apostolica Salvifici doloris – è come contenuta una particolare chiamata alla virtù, che l’uomo deve esercitare da parte sua. E questa è la virtù della perseveranza nel sopportare ciò che disturba e fa male” (n. 23). Ma conservare la fiducia quando si soffre non è facile. Può insorgere un sentimento di abbattimento e di ribellione interiore, che spinge a lasciarsi andare fino a dubitare del soccorso di Dio. A chi vive tali stati d’animo la comunità cristiana, soprattutto mediante l’aiuto del volontariato, è chiamata a offrire un sostegno fraterno, perché non vengano smarrite le ragioni della speranza, e il malato possa ripetere con san Paolo: “Completo quello che manca ai patimenti di Cristo nella mia carne, in favore del suo Corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24), giungendo forse a far propria anche l’altra affermazione dell’Apostolo: “Sono contento delle sofferenze che sopporto per voi” (Ivi). Il fiore della gioia sboccia non di rado sullo stelo spinoso della sofferenza!

6. Carissimi cittadini di Cremona! L’argomento su cui mi sono soffermato, orientato dal luogo in cui siamo radunati, ha riflessi che interessano direttamente l’intera comunità, poiché niente come la malattia e il dolore invita alla solidarietà e alla condivisione. Solo una società che sappia accogliere il malato e farsene carico, a imitazione del Samaritano evangelico (cf. Lc 10, 33-35), può dirsi veramente umana e può offrire alle nuove generazioni i giusti criteri per dar vita a quella “civiltà dell’amore” a cui tutti, forse anche inconsapevolmente, aspiriamo. Cremona, sia questa la tua ambizione: far crescere in te cittadini aperti ai valori della concordia, del rispetto reciproco, della condivisione, dell’Amore! Si allarghi il cuore di ogni tuo abitante alla carità fraterna e s’accresca sempre più in chi governa il senso della responsabilità nel servizio soprattutto dei poveri e dei deboli.

Ti aiuti il Signore, per intercessione di Maria, Madre che ha conosciuto il dolore.

Con questi auspici imparto a voi e ai vostri cari la mia benedizione.

 



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