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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DEL RWANDA

IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Sabato, 16 maggio 1992

 

Cari confratelli nell’Episcopato,

1. Vi porgo cordialmente il benvenuto in questo luogo, in cui la vostra tradizionale visita “ad limina” vi conduce. È la prima volta che ci incontriamo dopo la mia visita pastorale nel paese delle mille colline, nel settembre del 1990, che mi ha consentito di apprezzare la calorosa ospitalità del vostro popolo e il suo attaccamento al Successore di Pietro. Sono lieto che questo nuovo incontro rafforzi ulteriormente i vincoli di comunione tra Roma e la Chiesa in Rwanda. Ringrazio vivamente il Presidente della vostra Conferenza Episcopale, Mons. Thaddée Nsengiyumva, Vescovo di Kabgayi, per le parole tanto cordiali che mi ha appena rivolto a vostro nome. Porgo i miei auguri di un fecondo ministero pastorale al nuovo Vescovo di Kibungo, Mons. Frédéric Rubwejanga, nonché al primo Vescovo della diocesi di Gikongoro, recentemente eretta, Mons. Augustin Misago. Mi auguro che il vostro pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, a cui dobbiamo il primo annuncio della fede, vi dia un nuovo sprone al servizio del popolo affidato alla vostra sollecitudine pastorale.

2. Nella vostra preghiera di pellegrini, mi è facile immaginare che sia l’inestimabile dono della pace ciò che chiedete incessantemente al Signore in questo drammatico periodo della storia del Rwanda. Infatti, purtroppo, avevo appena lasciato la vostra terra, che nell’ottobre del 1990 è scoppiata la guerra, causando perdite di vite umane e portando il suo triste bagaglio di distruzione e di miseria. Intere popolazioni hanno dovuto fuggire e cercare rifugio in posti più sicuri. All’inizio dello scorso anno si sono verificati massacri che sono andati ad aggiungersi alle sofferenze delle famiglie e che hanno fatto crescere la tensione tra i gruppi sociali. Ultimamente le incursioni notturne e gli attentati hanno provocato la morte di vittime innocenti. E si temono nuovi drammi nel momento in cui si vorrebbe poter chiudere definitivamente con il regno della violenza. Siate certi, cari Confratelli, che la mia preghiera si unisce alla vostra per chiedere al Signore che il vostro paese, che ha intrapreso la strada delle riforme a cui aspirano i Rwandesi, conosca una pace duratura e che si sviluppi, tra i membri di una stessa nazione, un dialogo costruttivo e fecondo. A questo proposito, è con soddisfazione che sono venuto a conoscenza degli accordi a cui si è giunti ultimamente per la formazione del governo, e spero che il Rwanda continui a progredire sulla via della democrazia in un clima di unità nazionale.

3. Come vi ho esortati nel mio messaggio di Kigali, il 9 settembre 1990, perseverate a tutti i costi nel vostro difficile e paziente impegno in vista dell’unità tra i fratelli e le sorelle rwandesi! A questo scopo avete le risorse del Vangelo. Infatti solo la fede cristiana può riuscire a eliminare i pregiudizi etnici, a instaurare un clima di fratellanza perfezionando il rispetto che si deve agli altri. È per questo che vi ripeto: “Che ciascun rwandese comprenda che il prossimo che Gesù chiede di amare non è soltanto l’uomo dello stesso gruppo sociale, ma ogni uomo che si incontra lungo la strada” (n. 5). Vi incoraggio con tutto il cuore a perseguire più che mai la vostra opera di artefici di pace e di buoni samaritani. So che, nell’assistenza alle vittime della guerra, ai rifugiati e ai membri più bisognosi della popolazione, voi compite veri miracoli con l’aiuto dei sacerdoti, dei religiosi, delle religiose e di altre persone di buona volontà. Che Dio benedica gli slanci di generosità e di compassione! Certamente il vostro compito principale è quello di portare la luce e l’amore di Cristo negli spiriti e nei cuori. Nel periodo di riforme politiche che sta vivendo il vostro paese, è ciò che fate, tra l’altro, attraverso messaggi destinati a formare le coscienze, come quello del 21 novembre 1991 ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose. In questo periodo pasquale, in cui sentiamo più vivamente la presenza attiva dello Spirito Santo, dono del Signore Risorto, auspico che vi rinnoviate nella vostra bella missione di portatori di speranza e di conforto, a immagine di Colui che invochiamo il giorno di Pentecoste, come “Consolatore sovrano”. Che i fedeli lungi dal sentirsi abbandonati e lasciati allo smarrimento, possano avvertire che sono sostenuti, incoraggiati e accompagnati da guide illuminate e amorevoli!

4. In questo apostolato prioritario e nel proseguimento di altre attività di evangelizzazione siete circondati da collaboratori privilegiati: i sacerdoti. Essi si aspettano da voi un affetto comprensivo, un’accoglienza attenta, così come consigli e incoraggiamenti per il loro ministero. La recente esortazione apostolica Pastores dabo vobis vi aiuterà in quel compito di grande importanza e particolarmente delicato che è la formazione dei futuri sacerdoti, formazione che deve continuare per tutta la vita, per favorire la santificazione personale nel ministero e un costante rinnovamento dell’impegno pastorale (cf. n. 2). La constatazione che la maggioranza dei Rwandesi professano la religione cattolica non deve far dimenticare l’urgenza di annunciare il Vangelo e di approfondire la fede ricevuta. Come faceva notare l’enciclica Redemptoris missio, l’azione missionaria è solo agli inizi e la Chiesa deve affrontare le sfide del mondo d’oggi con lo stesso coraggio che animava i missionari delle epoche passate e la stessa disponibilità ad ascoltare la voce dello Spirito (cf. n. 30). In quest’anno del centenario della morte del Cardinale Lavigerie, i cui figli sono stati i primi a portare la Buona Novella nel vostro paese, dobbiamo ricordare gli insegnamenti che dava ai “Padri Bianchi”: “I missionari dovranno dunque essere soprattutto degli iniziatori, ma l’opera duratura deve essere compiuta dagli Africani stessi, divenuti cristiani e apostoli” (Allocuzione in occasione della partenza di venti missionari per l’Africa equatoriale, Algeri, 29 giugno 1890). Cari fratelli, fate in modo che i sacerdoti delle vostre diocesi, fortificati da un rinnovamento della loro vita di preghiera, mossi da uno zelo apostolico rafforzato e sostenuto da un’autentica atmosfera di fratellanza sacerdotale nel presbiterio, s’impegnino a radicare fermamente la fede nei cuori, per la crescita della Chiesa e per il bene delle vostre nazioni.

5. I religiosi e le religiose vi offrono allo stesso tempo un aiuto pregevole, non solo per il loro contributo alla pastorale ma attraverso la loro stessa vita consacrata. Essi sono chiamati nella Chiesa a dare una testimonianza visibile del loro dono totale a Dio e spetta ai Vescovi aiutarli a compiere questa opzione fondamentale. Come ha dichiarato il Concilio Vaticano II, “i religiosi col loro stato testimoniano in modo splendido e singolare che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini” (Lumen gentium, 31). Nel promuovere la vita religiosa, seguendo i carismi propri dei diversi istituti, i Vescovi compiono un autentico dovere pastorale.

6. Esiste inoltre un ministero a cui, ancora un volta, vi invito a prestare un’attenzione speciale, con il contributo di sacerdoti competenti: la pastorale dell’élite del paese. A tutti i battezzati e, in particolare, a quanti occupano posti di responsabilità per il progresso della nazione, offrite l’aiuto necessario affinché i valori evangelici, in cui credono dal momento del loro ingresso nella comunità cristiana, permeino il loro modo di pensare e di agire. Oggi hanno la possibilità di leggere la parola di Dio nella propria lingua: il primo esemplare della traduzione della Bibbia in kinyarwanda mi è giunto lo scorso anno. Mentre apprezzo il lavoro che tale pubblicazione rappresenta, colgo l’occasione di questo incontro per complimentarmi con l’équipe di sacerdoti e di laici, biblisti e linguisti, e con il loro presidente, Mons. André Perraudin, Arcivescovo-Vescovo emerito di Abgayi, per questo grande servizio reso ai cristiani di lingua rwandese. Infine mi auguro che i fedeli laici approfondiscano sempre di più l’insegnamento sociale della Chiesa, affinché i membri della società rwandese costruiscano per se stessi e per i loro figli un avvenire degno e prospero. È ancor più necessario, nell’attuale fase della vita della nazione, che si ponga rimedio alla situazione economica del paese, soprattutto riguardo all’insufficienza della terra e a causa dei problemi sociali che devono affrontare quanti ne hanno la responsabilità.

7. In una nazione come la vostra, in cui la metà della popolazione è al di sotto dei 18 anni di età, la pastorale dei giovani merita una sollecitudine particolare. A quanti, ragazzi e ragazze, rappresentano il Rwanda del domani, e che anelano alla conoscenza della verità, come ho constatato durante il mio incontro nello stadio Amahoro, occorre comunicare ciò che dà senso alla vita e presentare con entusiasmo il messaggio di Cristo, trasmesso dalla sua Chiesa. Altrimenti questi giovani a cui dobbiamo testimoniare il nostro affetto e la nostra fiducia rischiano di diventare preda della mentalità neopagana che li circonda, e saranno tentati di vedere nello sviluppo economico l’unico fine dell’esistenza. Dinanzi alla fragilità del tessuto familiare, siete chiamati a mettere a punto una pastorale adeguata per aiutare quegli stessi giovani a fondare un focolare secondo il progetto di Dio. Sane regole di condotta morale sono necessarie per costruire solidamente una famiglia cristiana: possa la vostra voce farsi ascoltare chiaramente, affinché i giovani imparino ad apprezzare il matrimonio e si preparino ad affrontare le loro responsabilità di sposi e di genitori! Ricordate loro che la salute della società si fonda sulla famiglia, in cui l’essere umano riceve quegli insegnamenti fondamentali che determinano il suo comportamento da adulto. Infatti è nella famiglia che si risvegliano la fede e il senso civico.

8. Fra le gravi difficoltà conosciute dal vostro popolo, ve n’è una che non è svincolata, del resto, dalla degradazione della vita morale: l’epidemia dell’AIDS. I malati devono essere oggetto di tutta la nostra sollecitudine, senza discriminazioni, e sentirsi avvolti dalla carità dei discepoli di Cristo. Con tutte le risorse di cui disponete, continuate a illuminare e ad assistere efficacemente giovani e adulti nelle scuole cattoliche e negli ambulatori. Esortateli a un modo di vivere degno e fedele al Vangelo, affinché non compromettano né la propria vita, né quella del loro prossimo.

9. Concludendo vorrei chiedervi di porgere i miei cordiali saluti e il mio incoraggiamento ai sacerdoti delle vostre rispettive diocesi. Formulo i migliori auguri accompagnati dalla mia preghiera ai candidati al sacerdozio.

Saluto anche i religiosi e le religiose esortandoli a far progredire ancor più la comunione ecclesiale tra le diocesi attraverso la loro testimonianza di consacrati e la loro presenza nell’opera di evangelizzazione.

Infine a tutti i fedeli, e in particolare ai vostri compatrioti nella prova, ribadite l’affetto del Papa; assicurate loro la sua preghiera perché ciascuno abbia di che vivere, le famiglie restino unite e la loro esistenza quotidiana si svolga nella pace.

Di tutto cuore benedico voi e tutte le vostre comunità diocesane.

 

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