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INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON I VESCOVI DELLA CHIESA ARMENA CATTOLICA
IN OCCASIONE DELL
’INAUGURAZIONE DEL LORO SINODO

Giovedì, 19 novembre 1992

 

1. Due giorni sono passati dall’evento, ricco di esultanza spirituale, che ci ha riuniti nella Patriarcale Basilica Vaticana per l’ordinazione episcopale dell’Ordinario degli Armeni cattolici dell’Europa orientale. Ora di nuovo saluto Sua Beatitudine il Patriarca Giovanni Pietro e tutti voi, come pure il Signor Cardinale Achille Silvestrini, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, e quanti con voi collaboreranno per la piena riuscita dei lavori sinodali.

2. L’Ordinazione episcopale che abbiamo celebrato due giorni fa è premessa ideale alla celebrazione del Sinodo che oggi inauguriamo, in quanto la ripresa di una presenza pastorale nel Caucaso costituisce certamente l’avvenimento più significativo degli ultimi tempi per i Cattolici armeni. Per tanti anni le comunità cattoliche armene, in particolare in Armenia e Georgia, sono rimaste completamente prive di sacerdoti e hanno conservato la loro fedeltà a Cristo e alla Sede di Pietro a prezzo di grandi sacrifici, mostrando così come la famiglia rimanga il primo luogo della catechesi e della formazione alla fede e alla preghiera: i genitori e i nonni hanno sostituito sacerdoti e catechisti nell’iniziare alla fede i loro bambini. Nei decenni passati la fede del popolo armeno è stata sottoposta a durissime prove. Ma la vostra stirpe di martiri e confessori non ha smesso di stupire ed edificare il mondo, grazie alla sua perseveranza. Gratitudine e ammirazione meritano tutti coloro che si sono efficacemente adoperati a mantenere l’identità cristiana del popolo armeno, così radicata, come afferma il vostro antico storico Eliseo, da non potersi estirpare, come non si può separare la pelle dal suo colore. Mi riferisco in particolare alla Chiesa armena apostolica che, in condizioni spesso molto precarie, ha fatto risuonare con ampiezza crescente nelle stupende chiese della vostra terra la Parola di Dio e la nota, dolente eppure fiduciosa, dei vostri inni liturgici, che accompagnano i momenti fondamentali della vita del vostro popolo: dal morire e rinascere in Cristo nel battesimo al cibarsi del suo Corpo e del suo Sangue nell’Eucaristia.

3. Ma voi, Vescovi armeni cattolici, portate qui, in questa Assise sinodale, anche le preoccupazioni dei fedeli che vivono nella diaspora, pur essi spesso travagliati dalla sofferenza e dalla precarietà. Nel Medio Oriente essi hanno risentito drammaticamente dell’instabilità politica, che ha indotto una così numerosa parte del vostro gregge, già emigrato dall’Armenia per poter sopravvivere, a lasciare quella terra che fu ospitale e generosa, per cercare altrove condizioni di vita più serene. Là però hanno dovuto lottare anzitutto per potersi inserire in contesti culturali tanto diversi e, conseguentemente, per non perdere la propria identità culturale e religiosa.

4. Situazioni così gravi e problematiche hanno indotto il Vescovo di Roma, nella sua sollecitudine per la Chiesa universale, a invitarvi nella sua casa. Qui, sostenuti dall’esperienza e dagli stimoli che questa Città trae dal suo essere centro di convergenza di tante culture, amalgamandole nel crogiolo dell’unica fede suscitata dalla testimonianza apostolica, potrete affrontare con speranza e fiducia l’appello che a voi è rivolto dallo Spirito di Dio. Qui potrete essere coadiuvati anche dall’apporto dei Dicasteri della Curia Romana maggiormente competenti per le tematiche che dovrete trattare. Soprattutto qui potrete sperimentare anche fisicamente la vicinanza del Papa, che sempre vi segue con amore di predilezione e costantemente eleva a Dio la sua preghiera per tutto il popolo armeno.

5. Situazioni di tanto radicale mutamento, che stanno coinvolgendo la vostra Chiesa, richiedono una revisione globale delle mete e dei metodi pastorali. E se le difficoltà che perdurano potrebbero indurre alla rinuncia e al ripiegamento, è proprio il bene dei fedeli a voi affidati a chiedere che, in costante ascolto della Verità che salva, siate invece protagonisti di una progettualità capace di infondere solide speranze e di sostenere efficacemente l’impegno straordinario che i tempi richiedono.

6. Due linee convergenti vi ispirino in questo delicato, ma appassionante compito: il grato rispetto per la vostra tradizione e la lettura teologica delle sfide che la vita del vostro popolo vi pone. La Tradizione trasmessa dagli Apostoli suscita l’esperienza viva, che s’arricchisce progressivamente lungo le generazioni dei credenti. Essa è anche fonte delle varie e venerabili tradizioni ecclesiali, che sono una ricchezza per la Chiesa universale. “Ciò che fu trasmesso dagli Apostoli – ci ricorda la Dei Verbum – comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa e all’incremento della fede del popolo di Dio. Così la Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede... Le asserzioni dei Santi Padri attestano la vivificante presenza di questa Tradizione, le cui ricchezze sono trasfuse nella pratica e nella vita della Chiesa che crede e che prega” (n. 8). Non si deve poi dimenticare che la vostra tradizione, come le altre tradizioni orientali, ha un valore del tutto particolare. Smarrirla o comprometterne la genuinità costituirebbe una perdita irreparabile per tutta la Chiesa. Il Decreto Unitatis redintegratio così si esprime al riguardo: “Tutti sappiamo che il conoscere, venerare, conservare e sostenere il ricchissimo patrimonio liturgico e spirituale degli Orientali è di somma importanza per custodire fedelmente la pienezza della Tradizione cristiana e per condurre a termine la riconciliazione dei Cristiani d’Oriente e d’Occidente” (n. 15). Certo, le varie tradizioni ecclesiali sono realtà vive, e come tali sono segnate da contributi e influssi disparati, non tutti dello stesso valore. Se è certo che “non si devono introdurre mutazioni, se non per ragioni del proprio organico progresso” (Orientalium Ecclesiarum, 6), è vostro compito, attraverso “una conoscenza sempre più profonda e un uso sempre più perfetto” (Ivi), in particolare del vostro patrimonio liturgico, esaminare tale patrimonio e restituirlo alla sua integrale purezza, qualora circostanze di tempo o di persone l’avessero alterata (cf. Ivi). Ciò, naturalmente, va fatto con grande prudenza pastorale e sempre coinvolgendo i vostri fedeli più sensibili, affinché vi aiutino a meglio comprendere quella sensibilità vivente del popolo di Dio che è custodia di autentici tesori di grazia. Contemporaneamente la Chiesa “vuole adattare il suo tenore di vita alle varie necessità dei tempi e dei luoghi” (Orientalium Ecclesiarum, 2). Noi sappiamo bene che le tradizioni orientali nascono da una esperienza viva e dinamica della Chiesa. Tanto furono attente alla cultura e alla sensibilità dei tempi da costituire ancora oggi un modello, forse insuperato, della cosiddetta inculturazione. Sarebbe triste che quelle Chiese corressero oggi il rischio di rinchiudersi nel proprio passato, nella pura ripetizione, senza interpellare il proprio patrimonio originale a partire dalle domande dell’uomo di oggi. Tale pericolo esse potranno più agevolmente superare se si apriranno all’incontro con altre esperienze ecclesiali, senza per questo nulla cedere della propria specificità, ma facendo tesoro anche di stimoli e prospettive nate dall’esperienza di altri. È questo un impegno che oggi dovrebbe contraddistinguere le Chiese Orientali in piena comunione con la Sede di Pietro. Per esse è infatti naturale vivere il respiro dell’universalità e dello scambio fraterno. Un simile atteggiamento contribuirebbe a renderle ancor più significative nel dialogo ecumenico, e apportatrici di una preziosa specificità da offrire ai fratelli cattolici. Ma perché ciò avvenga pienamente, esse devono rimanere fedeli alla propria identità, non solo nell’ambito liturgico, ma anche in quello di una spiritualità che non sia presa a prestito da altri, ma affondi le sue radici nella propria liturgia e negli scritti dei Padri, capaci di esprimere ancor oggi una mirabile e articolata architettura di vita cristiana. Vi chiedo, pertanto, fratelli amatissimi, di continuare con vigore il vostro approfondimento della dottrina e delle indicazioni del Concilio Vaticano II e di predisporre ogni cosa perché esse penetrino in profondità nel tessuto vivo della vostra Chiesa.

7. Il vostro compito riguarda primariamente, come si è visto, la liturgia, nella quale è ancora vivente il respiro antico e sempre nuovo dello Spirito. Dobbiamo ribadire con forza che i fedeli hanno diritto, come ci ricorda il Concilio, di essere “guidati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia” (Sacrosanctum Concilium, 14). Vi invito pertanto a procedere a una seria opera di studio e riforma della vostra stupenda liturgia, in modo che i riti e i testi “esprimano più chiaramente le sante realtà che significano, e il popolo cristiano, per quanto possibile, possa capirle facilmente e parteciparvi con una celebrazione piena, attiva e comunitaria” (Sacrosanctum Concilium, 21). E poiché voi condividete questa intatta ricchezza con i fratelli della Chiesa armena apostolica, sarebbe significativo se tale processo potesse avvenire in comunione con questi.

8. Accanto all’impegno liturgico, è da privilegiare un accurato progetto pastorale per l’evangelizzazione. Poiché le vostre comunità cattoliche del Caucaso hanno anzitutto bisogno della predicazione del Vangelo che salva, ancor prima dell’aiuto materiale, dell’istruzione e dell’organizzazione sociale, è fondamentale che elaboriate strategie e strumenti di catechesi che siano rispettosi della vostra autentica natura e aperti alle esigenze degli uomini d’oggi. Una cosa è certa: le comunità armene cattoliche attendono di fare un’esperienza viva dell’incontro con Cristo Signore, unico Salvatore del mondo. Questo appello non deve restare inascoltato e una concreta risposta va elaborata senza ritardi.

9. Un ulteriore settore di testimonianza, dove i gesti si fanno particolarmente eloquenti e la cooperazione ecumenica può esprimersi in modo privilegiato, è quello del servizio della carità. Molte delle vostre Eparchie sono in gravi difficoltà. E in ancor più pesanti angustie si trovano le comunità del Caucaso. È indispensabile che, su invito dell’Apostolo, chi è nell’abbondanza rechi aiuto a coloro che sono nella necessità (cf. 2 Cor 8, 14). E molti, che non hanno potuto sino a ora aprirsi al Vangelo, nel gesto concreto della solidarietà offerta dai credenti scopriranno Cristo, il volto d’uomo del Dio Amore.

10. Ecco, carissimi fratelli, alcune indicazioni che il Papa vi offre mentre date inizio, nel nome del Signore, al vostro Sinodo. Scelte concrete, impegni precisi si impongono. Rimane vivo nel mio cuore, e sono certo anche nel vostro, il desiderio che venga presto il giorno in cui potrete pregare, meditare, decidere, esortare in piena comunione con i Vescovi della Chiesa armena apostolica. Siete tutti figli dello stesso popolo, tutti generati dallo stesso Cristo, tutti configurati a lui, supremo Capo e Pastore della Chiesa. Noi continuiamo a tendere la nostra mano, al di là di ogni difficoltà, secondo il comando del Signore.

Per ora offriamo a Dio la nostra sofferenza per ciò che ancora ci divide, nella certezza che Egli, artefice di ogni unità, un giorno farà del nostro desiderio una realtà. Non dimentichiamo che l’impegno ecumenico resta un dovere primario della Chiesa. Il mondo non può aspettare: ha bisogno che quanti credono in Cristo vivano in pienezza la comunione che invocano e l’amore che predicano.

11. E sui vostri Sacerdoti, sui Religiosi e le Religiose, insostituibili collaboratori del vostro ministero, sulle famiglie, sui giovani, speranza del vostro popolo, sui malati e i sofferenti, su quanti soffrono violenza invoco con immenso affetto la benedizione di Dio.

A voi auguro un proficuo lavoro, certo che al vostro ministero sarà impresso rinnovato slancio da questo tanto significativo esercizio della collegialità. Tale auspicio vi porgo con le parole del vostro santo Patriarca Nerses: “Nelle nostre orazioni preghiamo Dio per la salvezza delle vostre anime, perché si aprano gli orecchi della vostra intelligenza ad accogliere le parole divine”.

 

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