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VIAGGIO PASTORALE IN LITUANIA, LETTONIA ED ESTONIA

INCONTRO ECUMENICO DI PREGHIERA CON LE ALTRE
CONFESSIONI CRISTIANE NELLA CHIESA LUTERANA DI SAN NICOLA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

Tallinn (Estonia) - Venerdì, 10 settembre 1993

 

“Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28, 19).

1. È questa l’ultima volontà consegnata da Cristo ai discepoli, e Matteo l’ha riportata nel brano conclusivo del suo Vangelo. L’ultima parola di una persona amata è solitamente la più significativa e la più meditata; spesso è anche la più toccante quella che solleva nell’animo dei destinatari il maggior numero di ricordi. Una parola che spinge ad essere fedeli alla persona che l’ha proferita e al suo programma di vita.

È una parola che interroga personalmente e comunitariamente anche noi, discepoli di Cristo del XX secolo riuniti in suo nome a Tallinn, in questo tempio che tanti ricordi evoca in tutti i cristiani estoni e nell’intera popolazione del Paese. Una parola autorevole che, mentre ci interpella sui nostri rapporti con Lui e sui rapporti tra di noi, ci chiede ragione delle nostre convergenze e delle nostre divergenze, e ci indica la strada dell’amore fraterno e del servizio, di cui il mondo ha urgente bisogno e di cui resta in attesa.

2. Racconta l’apostolo Matteo che i discepoli “andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato” (Mt 28, 16). Con un’osservazione che fa meditare, il nostro evangelista precisa che gli undici discepoli, “quando lo videro, gli si prostrarono innanzi”, aggiungendo anche che “alcuni dubitavano” (Mt 28, 17).

Quei dubbi, registrati con cura nel suo racconto, non dovettero tuttavia rimanere molto a lungo nell’animo dei discepoli. Concludendo il proprio libro un altro evangelista, Marco, osserva infatti che “allora essi partirono e predicarono dappertutto” (Mc 16, 20) ed inoltre Luca precisa che “tornarono verso Gerusalemme con grande gioia” (Lc 24, 52). I dubbi dovettero dunque risolversi in breve tempo, nella rinnovata gioiosa professione di fede nella divinità del loro Maestro e Signore. Con la forza della sua grazia, i discepoli dal dubbio passarono ben presto all’annuncio, ancora più convinto, del Vangelo di salvezza.

Come al momento della tempesta sedata (Mt 8, 26-27), ancora una volta la grazia divina poté colmare il vuoto interiore creato dalla “poca fede” di coloro che seguivano Gesù da vicino. Benché avessero più volte sperimentato che il loro Maestro aveva “parole di vita eterna” (Gv 6, 68), spesso ascoltavano i suoi insegnamenti giudicandoli ancora con i loro criteri umani, il più delle volte circoscritti all’esperienza delle realtà constatabili con i sensi, e perciò del tutto inadeguati ai larghi orizzonti dell’azione divina. Le profonde parole del Maestro – il Verbo incarnato – non rientravano nella ridotta cornice delle loro idee e della loro esperienza.

3. In questo nostro incontro fraterno di preghiera mi è gradito pensare che, alla pari dei dubbi dei primi discepoli, anche le divisioni tra i cristiani sotto la spinta dell’amore per Gesù Salvatore e Redentore che tutti condividiamo, cedano progressivamente il passo all’annuncio unitario della verità evangelica su Dio, su Gesù, sulla Chiesa.

Al momento dell’Ascensione, si trattava di dubbi che dividevano i discepoli davanti alla misteriosa realtà del corpo glorioso del Risorto. Oggi, i dubbi che dividono le diverse confessioni cristiane riguardano piuttosto quell’altra realtà non meno misteriosa, che l’apostolo Paolo qualifica con la densa e suggestiva espressione di “Corpo di Cristo” (1 Cor 12, 27).

Come agli inizi della comunità cristiana, così anche oggi la ricomposizione dell’unità dei discepoli è fondamentalmente frutto di una speciale grazia di Cristo, che abbiamo il dovere di accogliere come un dono del suo amore redentore. Una grazia straordinaria, proporzionata alla persistente fragilità degli atteggiamenti personali e collettivi dei cristiani, divisi da scelte – non sempre ponderate – fatte in un passato da tutti oggi deplorato. Sappiamo bene, infatti, che nell’economia divina della salvezza, dove abbonda il peccato e tutto ciò che induce al peccato, sovrabbonda la grazia. È sempre Dio che con pazienza infinita, ricompone la trama della storia umana, tessuta dal suo amore, ogni volta che essa viene lacerata dall’uomo mediante il peccato.

4. “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra” (Mt 28, 18). È l’affermazione fondamentale premessa alle estreme parole del Signore. Parole che, essendo le ultime, diventano l’inizio della vita della Chiesa e che pertanto, bruciano come fuoco e luce nel cuore di ogni cristiano.

Nel momento supremo del congedo da coloro che gli erano stati vicini, Cristo ricorda agli “undici” che la Chiesa, a cui Egli sta per trasmettere la missione di proclamare il Vangelo nel mondo, è fondata sullo stesso suo divino potere. La Chiesa esiste perché voluta da Cristo come segno del suo amore e della salvezza da Lui operata. La Chiesa deve perciò essere come Lui l’ha voluta: una perché Cristo è uno. La Chiesa costituisce un’unica realtà comunitaria e sociale, riunita dalla Parola di Cristo, perché Egli è il solo ad avere “parole di vita eterna” (Gv 6, 68), Lui che è “l’Alfa e l’Omega” (Ap 1, 8) dell’intera nostra vita sia individuale sia comunitaria.

Proprio affinché tale realtà diventi ogni giorno più chiara nella coscienza di tutti i cristiani, ci siamo oggi riuniti insieme per pregare ed implorare la grazia dell’unità dei cristiani. Pregare insieme appare infatti la premessa fondamentale anche per i passi ulteriori verso un traguardo tanto desiderabile e necessario. Adoriamo insieme Cristo e riconosciamo il potere che Gli è stato dato in cielo e in terra.

5. Poiché a Gesù è stato dato “ogni potere”, diviene particolarmente impegnativo il mandato da Lui consegnato agli undici: “Andate, dunque, e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28, 19).

Soffermiamoci un istante a meditare cosa significa per Pietro Giacomo, Giovanni e per gli altri Apostoli questo “mandato totalizzante”, lasciato loro dal Maestro nel momento in cui prende congedo da loro. “Tutte le nazioni”, – cioè tutti gli uomini di quell’epoca e di tutte le epoche, di quella terra e di tutte le terre – costituisce un pegno straordinario, a prima vista sproporzionato rispetto alle loro forze e alle loro capacità intellettuali e morali. “Tutte le nazioni” implica il fatto che la missione degli Apostoli si rivolge a tutti i popoli, per condurli alla pratica dell’insegnamento di Cristo. Quelle parole dal significato così vasto e profondo indicano dunque che da quel momento non ci sarà più differenza alcuna tra il “popolo dell’Alleanza” e gli altri popoli. Con una chiarezza quasi accecante, l’Antica Alleanza cede il posto alla Nuova Alleanza. Spunta ormai il giorno annunciato dai profeti, in cui si manifesta l’unico “Popolo di Dio”, nel quale troveranno posto tutti i popoli della terra.

Compito immenso! In un primo momento, quanti all’interno del gruppo dei discepoli avevano dubitato, forse pensarono che si trattava di un’utopia. Doveva infatti apparire troppo grande il divario tra il mandato ricevuto e le loro persone limitate e inesperte. Sarà lo Spirito della Pentecoste a far loro comprendere la profondità e l’estensione di quelle parole, espressione del potere divino che Gesù Cristo possedeva e possiede in cielo e in terra. E anche dopo la Pentecoste, le nuove generazioni dei discepoli dovranno continuare a meditarle con molta umiltà giorno dopo giorno e secolo dopo secolo, sino alla fine dei tempi.

6. Anche noi le vogliamo oggi meditare insieme con maggiore e più intensa umiltà. Siamo infatti eredi di un passato le cui consolanti grandezze – forse per mettere in evidenza che solo al Signore appartengono l’onore e la gloria – sono state non di rado unite a miserie, imprudenze ed errori, La conseguenza è stata che si è disattesa la volontà di Cristo, il quale aveva pregato affinché i suoi discepoli, innestati nella sua comunione col Padre, potessero essere “una cosa sola” (Gv 17, 22).

Premessa fondamentale per l’evangelizzazione di “tutte le nazioni” è che quanti adoriamo Cristo come nostro unico Signore diventiamo pienamente “suoi discepoli”. Ciò significa che i cristiani si devono sentire individualmente e comunitariamente impegnati nell’esperienza integrale del Vangelo e dei suoi insegnamenti. Come per Giovanni Battista, essere veri discepoli del Signore implica che egli cresca e noi diminuiamo (cf. Gv 3, 30); esige che lo spazio lasciato vuoto dalla rinuncia ai nostri egoismi, sia riempito dagli insegnamenti e dai sentimenti di Cristo. È necessario che la vita dei cristiani si conformi sempre più alla vita di Cristo. La convinta ricerca della santità personale e comunitaria si manifesta così come il primordiale principio promotore dell’ecumenismo.

7. A chiusura del breve ma incisivo discorso di addio, riportato nel Vangelo di Matteo, Gesù rivolge il suo sguardo in una doppia direzione. Da una parte, pensa a tutti gli uomini del mondo senza alcuna eccezione: tutti sono chiamati a diventare suoi discepoli, mediante il battesimo e la docile obbedienza a tutto ciò che Egli ha comandato. D’altra parte Egli pensa agli Undici, al piccolo gruppo degli Apostoli a cui è affidata la predicazione della Buona Novella. “Ecco – è l’ultima parola del Verbo divino fatto uomo – io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).

L’esperienza di cristiana fraternità, che oggi abbiamo fatto insieme in questa ospitale città di Tallinn, fa risuonare intensamente nel nostro spirito queste parole di Cristo, sia nel significato che riguarda tutti gli uomini sia in quello che riguarda gli Undici. Esse portano con sé l’eco di venti secoli di santità e di peccato di generosa testimonianza delle parole del Signore e di drammatica sovrapposizione su di esse delle parole umane. Nei momenti in cui la santità e la parola del Signore hanno sovrastato la miseria dell’uomo, il mondo ha conosciuto tempi di grazia: la luce della rivelazione ha brillato sul mondo e gli uomini, diventati discepoli di Cristo, hanno potuto gustare il bene e la gioia che provengono da Dio. Crisi e momenti di dubbio sono sorti, invece, quando le infedeltà dei cristiani hanno offuscato la rettitudine evangelica che costituisce la realtà più preziosa della Chiesa.

8. Carissimi fratelli e sorelle, la storia umana ha raggiunto ai nostri giorni sorprendenti traguardi di grandezza ma, insieme, anche tristi primati di miseria; non è questo il luogo per elencare né gli uni né gli altri. Va tuttavia costatato che l’umanità dispone oggi contemporaneamente di mezzi che possono rendere sempre più gradevole o sempre più alienante la vita della comunità umana. L’uomo è oggi posto di fronte ad un vero e proprio crocevia di civiltà, da cui partono strade che possono condurre ad un progresso o ad un regresso sociale, culturale e spirituale.

Tale situazione si riflette anche nelle forti correnti ecumeniche sorte negli ultimi decenni. Mai come oggi l’unità dei cristiani è necessaria affinché gli uomini “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10). La ricerca dell’unità costituisce dunque un autentico servizio al mondo attuale. Raggiungere l’auspicata comunione tra tutti i credenti in Cristo potrà costituire, e costituirà certamente, uno degli eventi maggiori della storia umana. Sarà un segno straordinario dell’amore di Dio per l’umanità, della quale con l’Incarnazione, è entrato a far parte lo stesso Figlio di Dio. Sarà pure un’espressione della nostra fattiva obbedienza a tutto ciò che l’Emmanuele, il Dio-con-noi, comandò come esercizio di quel “potere totale” che Gli è stato dato in cielo e in terra.

Ubbidire alla sua Parola e vivere la sua Parola: ecco la condizione per trasformare il mondo e, innanzitutto, per testimoniare la santità della Chiesa. Ubbidire alla sua Parola: ecco la chiave per aprire, definitivamente la strada che conduce all’unità dei cristiani, quale espressione del servizio evangelico offerto dalla Chiesa al mondo intero.

 



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