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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO ORGANIZZATO
DAL MOVIMENTO APOSTOLICO CIECHI

Venerdì, 9 dicembre 1994

 

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Sono lieto di accogliervi in occasione dell’incontro che il Movimento Apostolico Ciechi ha organizzato per le famiglie di soci e simpatizzanti sul tema: “Insieme per la Famiglia”. Con questo appuntamento avete voluto richiamare a voi stessi e alla comunità civile ed ecclesiale l’esigenza della solidarietà nella famiglia e tra le famiglie, perché tutti possano godere di un bene così grande qual è la comunità familiare. Vi ringrazio per questa vostra visita, che mi offre la possibilità di unire la mia alla vostra voce a sostegno di una causa così importante.

2. Con voi, carissimi, desidero anzitutto riaffermare un diritto inseparabile dal dono della vita umana: il diritto alla famiglia. È questo un diritto che non può essere negato a nessuno. Non si tratta tanto di una rivendicazione sociale quanto di un principio umano, di una verità sull’uomo e sulla donna. Nella Lettera alle famiglie ho ricordato che “Dio “vuole” l’uomo come un essere simile a sé, come persona. Quest’uomo, ogni uomo, è creato da Dio “per se stesso”. Ciò riguarda tutti, anche coloro che nascono con malattie o minorazioni . . . Dio consegna l’uomo a se stesso, affidandolo contemporaneamente alla famiglia e alla società, come loro compito. I genitori, davanti ad un nuovo essere umano, hanno, o dovrebbero avere, piena consapevolezza del fatto che Dio “vuole” quest’uomo “per se stesso”” (Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, n. 9).

3. Quando in famiglia nasce un disabile o qualcuno dei componenti viene colpito da grave handicap, un insieme di emozioni si scatena nel cuore di tutti: angoscia, paura, vergogna, pudore, impotenza, dolore . . . La famiglia rischia di chiudersi in se stessa, timorosa spesso che gli altri non possano capire. Può allora avere il sopravvento un senso di ribellione contro tutto e contro tutti, anche contro Dio. Occorre in tali circostanze un supplemento di coraggio e di fede: solo la fede illumina il buio di misteriose condizioni davanti alle quali la ragione non sa darsi un perché.

Le persone con handicap - voi lo sapete bene - giungono all’accettazione responsabile della loro situazione grazie all’incontro con Cristo sofferente e risorto, la cui presenza è resa in qualche modo sperimentabile nella testimonianza di comunità credenti che, condividendo generosamente il problema, lo aprono ad una prospettiva di soluzione, illuminata dall’annuncio gioioso della salvezza definitiva. Si rivivono allora vicende simili a quelle che leggiamo nei racconti evangelici.

4. Sulla strada di Gerico, ad esempio, si leva il grido di Bartimeo, cieco dalla nascita. Gesù si è accorto di lui, lo chiama, gli rivolge una parola amica, dandogli la forza di ricominciare, di sperare ancora. Liberare l’uomo dal male, dall’emarginazione causata dalle sue difficoltà, richiede la capacità di essere con l’altro per condividere la sua condizione.

Sulla strada di Betania, Marta corre incontro a Gesù e lo rimprovera per essere giunto solo quando il fratello Lazzaro è ormai morto. Gesù la esorta a credere ed afferma: “Io sono la risurrezione e la vita”. Anche la sorella Maria piange ai piedi del Signore e ripete le parole che sono anche le nostre di fronte al dolore innocente: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” (Gv 11, 33). Gesù si commuove profondamente e piange. Poi si reca al sepolcro e risuscita Lazzaro.

Cristo è il Signore della vita: salva l’uomo nella sua interezza, risponde ai suoi inquietanti interrogativi proponendosi come colui che accoglie, che ama, che salva. Lo fa abitualmente attraverso la testimonianza della Comunità che vive attivamente il Vangelo della solidarietà e dell’accoglienza. I Vescovi italiani, negli orientamenti pastorali per gli anni Novanta, hanno richiamato questo valore fondamentale: “Può essere facile - affermano - aiutare qualcuno senza accoglierlo pienamente. Accogliere il povero, il malato, lo straniero, il carcerato, l’handicappato è infatti fargli spazio nel proprio tempo, nella propria casa, nelle proprie amicizie, nella propria città e nelle proprie leggi” (Evangelizzazione e testimonianza della carità, 39).

Il mio augurio, carissimi, è che queste parole trovino nella vostra Associazione, e in particolare nelle famiglie, la disponibilità necessaria per un impegno così esigente. Vi affido alla protezione di Maria Santissima e di San Giuseppe, mentre di cuore imparto a voi, ai vostri cari e a tutti i gruppi del Movimento Ciechi la benedizione apostolica.

 

© Copyright 1994 -  Libreria Editrice Vaticana

 



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