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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI CARDINALI, ALLA FAMIGLIA PONTIFICIA,
ALLA CURIA E ALLA PRELATURA ROMANA, PER LA
PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI

Giovedì, 22 dicembre 1994

 

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. In questo incontro che si svolge nella luce del Natale ormai prossimo, voglio iniziare il mio discorso con alcune accorate parole di Madre Teresa di Calcutta.

“Vi parlo dal profondo del cuore - ella disse intervenendo alla recente Conferenza Internazionale del Cairo su “Popolazione e Sviluppo” convocata dall’Organizzazione Mondiale delle Nazioni Unite - parlo ad ogni uomo in tutti i paesi del mondo . . . Ognuno di noi oggi è qui grazie all’amore di Dio che ci ha creati, e ai nostri genitori, che ci hanno accolti e hanno voluto darci la vita. La vita è il più grande dono di Dio. È per questo che è penoso vedere cosa accade oggi in tante parti del mondo: la vita viene deliberatamente distrutta dalla guerra, dalla violenza, dall’aborto. E noi siamo stati creati da Dio per cose più grandi - amare ed essere amati.

“Ho spesso affermato, e io ne sono sicura, che il più grande distruttore di pace nel mondo di oggi è l’aborto. Se una madre può uccidere il suo proprio figlio, che cosa potrà fermare te e me dall’ucciderci reciprocamente? Il solo che ha il diritto di togliere la vita è Colui che l’ha creata. Nessun altro ha quel diritto; né la madre, né il padre, né il dottore, né un’agenzia, né una conferenza, né un governo.

“Sono certa che nel profondo del vostro cuore sapete che il bambino non nato è un uomo amato da Dio, come voi e come me. Colui che lo sa può deliberatamente distruggere la vita? Mi terrorizza il pensiero di tutti coloro che uccidono la propria coscienza, per poter compiere l’aborto. Dopo la morte ci troveremo faccia a faccia con Dio, Datore della vita. Chi si assumerà la responsabilità davanti a Dio per milioni e milioni di bambini ai quali non è stata data la possibilità di vivere, di amare e di essere amati?

“Dio ha creato un mondo grande abbastanza per tutte le vite che Egli desidera nascano. Sono soltanto i nostri cuori che non sono grandi abbastanza per desiderarle ed accettarle [ . . .]. Se vi è un bambino che non desiderate o non potete curare o educare, date quel bimbo a me. Non voglio rifiutare nessun bambino. Gli offrirò una casa, o gli troverò genitori amorosi . . .”.

2. Ho voluto riportare queste parole di Madre Teresa di Calcutta nell’odierno incontro prima del Natale, poiché esse sembrano mettere in evidenza una particolare caratteristica dell’anno che sta per concludersi. Il 1994 è stato un anno dedicato alla famiglia: l’Organizzazione delle Nazioni Unite lo ha proclamato Anno Internazionale della Famiglia. La Chiesa si è unita a tale proposta, celebrando in tutto il mondo l’Anno della Famiglia. Nell’iniziativa delle Nazioni Unite, infatti, abbiamo colto un grande tema che non può non sollecitare la nostra attenzione nel cammino di preparazione del terzo millennio ormai vicino. Durante i mesi scorsi in tutta la Chiesa si è pregato per le famiglie e con le famiglie e sono stati organizzati pellegrinaggi a vari santuari; le famiglie si sono incontrate in molteplici convegni, per dibattere i loro problemi e cercare opportune soluzioni; a coronamento di tutto si è tenuto a Roma l’8 e il 9 ottobre l’“incontro mondiale delle famiglie”.

Oggi, raccolti davanti al mistero del Natale del Signore, ci rendiamo veramente conto dell’importanza che la famiglia ha nell’itinerario di preparazione al prossimo Grande Giubileo. Nella Santa Famiglia, Dio ha esaltato ogni famiglia umana. L’ha esaltata, divenendo un neonato - il Figlio dell’uomo. Parlando di sé, il Signore volentieri ricorreva a questa definizione tratta dal libro del profeta Daniele (cf. Dn 7, 9-14). Colui che Pietro confessò Figlio di Dio (cf. Mt 16, 16) e che la Chiesa proclama Figlio consustanziale al Padre, Dio da Dio, amava qualificare se stesso come Figlio dell’uomo. Nato dalla Vergine Maria, crebbe infatti in una famiglia umana e, come Figlio di Dio, volle elargire a questa famiglia l’inesauribile ricchezza della santità divina.

3. Celebrando l’Anno della Famiglia nella prospettiva di tale mistero, la Chiesa ha inteso al tempo stesso mettere in rilievo la bellezza e la sublimità della vocazione coniugale e di quella di genitori. Ha desiderato ricordare a tutti gli uomini quanto ognuno di noi debba alla propria famiglia, sottolineando nuovamente quel che il Concilio Vaticano II ha espresso in modo così appropriato nella Costituzione pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, là dove parla della valorizzazione della dignità del matrimonio e della famiglia.

Un aspetto peculiare dell’interesse della Chiesa per la famiglia è sicuramente la sollecitudine per il bambino. Potrebbe del resto la Chiesa, che è madre, non avere questa sollecitudine, quando da tante parti si sente riferire di fatti veramente terrificanti? Penso, in particolare, allo sterminio brutale dei bambini della strada, alla costrizione di bambini alla prostituzione, al commercio di bambini da parte di organizzazioni che si occupano di trapianti di organi; penso ai minori vittime della violenza e della guerra e a quelli utilizzati per il traffico e lo spaccio della droga o per altre attività criminali. Tutte aberrazioni, queste, che fanno inorridire al solo nominarle.

Quali compiti pastorali si delineano per la Chiesa di fronte a problemi tanto urgenti e gravi! L’Anno della Famiglia ha sicuramente contribuito a suscitare nei vari ambienti ecclesiali una più viva sensibilità al riguardo. Le molteplici iniziative promosse in questi mesi hanno dato nuovo impulso alla pastorale familiare, stimolando l’impegno apostolico dei singoli membri della famiglia, nella linea di quella che è forse la più specifica dimensione dell’impegno dei laici nella Chiesa. Il Pontificio Consiglio per la Famiglia ha partecipato a tutta questa ricca attività ed ha intrapreso iniziative proprie. Desidero pertanto esprimere oggi un particolare ringraziamento al suo Presidente, il Signor Cardinale Alfonso Lopez Trujillo ed a tutti i suoi Collaboratori.

4. Di pari passo con l’attenzione al bambino e alla famiglia si è sviluppata la considerazione per la vita. Il matrimonio e la famiglia devono costituire un ambiente di amore responsabile, proprio perché l’amore coniugale è orientato alla vita. È quanto già sottolineava Papa Paolo VI nell’enciclica Humanae vitae, testo che col passare degli anni si conferma sempre più come intervento profetico e provvidenziale.

L’anno che volge ormai al suo termine ne ha offerto una prova particolarmente significativa. In occasione della Conferenza del Cairo l’umanità si è trovata, infatti, di fronte ad un progetto di documento preparato da un Organismo facente capo all’Organizzazione delle Nazioni Unite, sotto l’influsso di alcuni Governi ed Organizzazioni Non Governative. Nella sua formulazione originaria tale documento costituiva una seria minaccia per la dignità del matrimonio e della famiglia, e in special modo per quella vita di cui, secondo il piano del Creatore, matrimonio e famiglia devono essere al servizio.

La Chiesa ha sempre insegnato che tale servizio deve svolgersi in modo responsabile. Negli ultimi anni, di fronte al problema del crescente popolamento del pianeta, essa non soltanto ha insegnato il principio della paternità e maternità responsabili, ma ha anche operato con impegno pastorale per orientare le coscienze verso una sua conveniente attuazione.

Quanto però si voleva realizzare in questo ambito nel progetto iniziale della Conferenza del Cairo era assolutamente inaccettabile. In esso, in pratica, si tentava di includere, con linguaggio ambiguo, l’aborto tra gli altri mezzi per il controllo delle nascite. Fortunatamente, le preoccupanti proposte iniziali sono state poi ridimensionate nel corso dei lavori della Conferenza ed un richiamo al rispetto per i valori religiosi ed etici è entrato tra i principi che ispirano il documento finale. La voce della Chiesa ha cercato in ogni modo di farsi sentire, per contribuire al risveglio delle coscienze. Ciò ha suscitato un’eco favorevole non soltanto tra i cattolici e i cristiani, ma anche tra i seguaci della Legge di Mosè, tra i Musulmani, tra i rappresentanti di altre religioni non cristiane, nonché tra persone di buona volontà non legate ad un credo religioso. Il quinto comandamento del Decalogo “Non uccidere!” rispecchia un principio primordiale della legge naturale, valido per tutti allo stesso modo.

5. L’anno che sta per finire si è rivelato, inoltre, opportuno per suscitare nelle coscienze una più acuta sensibilità verso il valore della vita, compresa anche la vita dei non nati. Vorrei qui ricordare l’attività generosa ed illuminante svolta in questo campo da numerosi laici, soprattutto tra gli scienziati e i medici. E tra questi mi pare doveroso fare esplicita menzione di un uomo a tutti ben noto, che il Signore ha chiamato a sé il giorno di Pasqua del corrente anno: parlo del Prof. Jerôme Lejeune. È partita da lui l’iniziativa di fondare la Pontificia Accademia per la Vita, nella quale si raccolgono scienziati ed esperti che intendono dedicarsi alla difesa della vita ed alla sua promozione nella società. Compito dell’Accademia è, in particolare, di promuovere gli studi scientifici sulla vita, valore fondamentale da coltivare in ogni modo e con ogni mezzo, in stretto contatto con la comunità ecclesiale e con il mondo. Sono invitate a far parte dell’Accademia come membri corrispondenti persone che dedicano al tema della vita la loro attività professionale ed apostolica, operando in questo campo a prezzo talora di non pochi sacrifici.

La Pontificia Accademia per la Vita ha dunque carattere di organismo scientifico e pastorale. Come Pio XI nel suo pontificato promosse il rapporto della Chiesa con le scienze mediante l’istituzione della Pontificia Accademia delle Scienze, così nei nostri tempi si è sentito il bisogno di un’istituzione accademica dedicata alla vita. Essa rimarrà in stretto contatto sia con il Pontificio Consiglio per la Famiglia che con il Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari. La responsabilità per la vita, infatti, è strettamente connessa con il servizio compiuto dai medici e da tutti gli operatori della sanità. Sono riconoscente al Signor Cardinale Fiorenzo Angelini per le iniziative di studio, i convegni e le altre attività che costantemente promuove per diffondere i principi etici cristiani nell’ambiente sanitario.

6. L’anno che sta per finire s’è rivelato particolarmente favorevole per le Istituzioni della Sede Apostolica. Nei mesi scorsi, infatti, ha preso felicemente avvio anche la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Nel ringraziare vivamente il Cardinale Roger Etchegaray, Presidente del Pontificio Consiglio “Iustitia et Pax” e quanti ne sono stati promotori e organizzatori, esprimo l’auspicio che la Sede Apostolica e in particolare il predetto Pontificio Consiglio possano trovare nella nuova Accademia un valido aiuto. La dottrina sociale della Chiesa si è sviluppata infatti anche per merito di tanti esperti di scienze sociali, che hanno aiutato lo stesso Magistero a illustrare sempre meglio le esigenze evangeliche in rapporto alle sfide della storia.

Mi piace a tal proposito menzionare il contributo che grandi pensatori cattolici diedero all’elaborazione del concetto cristiano di democrazia. Me ne offre l’occasione una significativa ricorrenza, che cade esattamente in questi giorni: cinquant’anni fa, in occasione del Natale del 1944, Papa Pio XII pronunciò un memorabile radiomessaggio proprio sulla democrazia. Sullo sfondo dei disastri provocati dai totalitarismi e dalla guerra, il grande Pontefice volle esaminare secondo quali norme la democrazia deve essere regolata “per potersi dire una vera e sana democrazia” (Discorsi e radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. VI, p. 237). E ricordò a tal proposito che un’autentica democrazia suppone un popolo consapevole dei suoi diritti e dei suoi doveri, capace di darsi governanti all’altezza dei loro compiti, dotati cioè di una “chiara intelligenza dei fini assegnati da Dio ad ogni società umana, congiunta col sentimento profondo dei sublimi doveri dell’opera sociale” (Ivi, p. 241). Solo a queste condizioni, infatti, quelli a cui è affidato il potere possono adempiere i propri obblighi “con quella coscienza della propria responsabilità, con quella oggettività, con quella imparzialità, con quella generosità, con quella incorruttibilità, senza le quali un governo democratico difficilmente riuscirebbe ad ottenere il rispetto, la fiducia e l’adesione della parte migliore del popolo” (Ivi).

7. Su questo come su altri importanti temi del vivere sociale il Magistero della Chiesa è sempre nuovamente sollecitato. Alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, dunque, il compito di favorire il fecondo rapporto tra studiosi della società e Pastori della Chiesa. In particolare, si tratta di affrontare le problematiche che nascono da ingiustizie sociali oggi presenti in forme nuove rispetto a quelle denunciate cento anni fa nell’enciclica Rerum novarum. Ne hanno già parlato i Papi Giovanni XXIII nell’enciclica Mater et magistra e Paolo VI nella Populorum progressio. Le forme d’ingiustizia sociale dei giorni nostri assumono dimensioni ben più vaste che nel passato, giacché non interessano soltanto le classi all’interno delle singole Nazioni, ma dilagano oltre i confini degli Stati per interessare i rapporti internazionali e persino intercontinentali. È difficile in questo momento svolgere un’analisi più ampia. Tuttavia, anche semplicemente osservando alcune tendenze presenti nella recente Conferenza del Cairo su “Popolazione e Sviluppo”, non si può non cogliere il tentativo di avallare un’ingiustizia a spese delle fasce sociali più umili del cosiddetto terzo mondo. Piuttosto che intraprendere un’azione mirante ad una più giusta distribuzione dei beni, promuovendo uno sviluppo integrale, si è cercato di proporre, e in un certo senso perfino di imporre, alle Nazioni più povere e in via di sviluppo delle soluzioni che includono l’aborto come loro componente essenziale, senza alcun rispetto per il valore fondamentale della vita.

A questo proposito, esprimo l’auspicio che ben diverso indirizzo possa caratterizzare il “vertice mondiale sullo sviluppo sociale” che si terrà a Copenaghen nel marzo prossimo e che affronterà i temi della lotta contro la povertà, della creazione di posti di lavoro produttivo e dell’integrazione sociale, temi tutti che la dottrina sociale della Chiesa ritiene importanti ed urgenti.

8. Da tutto ciò si può capire quanto sia necessario che i grandi problemi della giustizia sociale siano affrontati con sollecitudine operosa ed insieme con chiari e solidi principi etici, se si vuole evitare il rischio del ricorso a rimedi peggiori dello stesso male. Proprio a questo scopo fu promosso, come uno dei primi frutti del Vaticano II, il Pontificio Consiglio “Iustitia et Pax”. Nel periodo postconciliare si è dimostrato quanto opportunamente esso rispondesse ai bisogni del tempo, e quanto indispensabile esso fosse per dare alla Chiesa possibilità di adempiere ai suoi compiti, a servizio del Vangelo e a servizio dell’uomo.

Ciò vale anche per il Consiglio della Cultura e per gli altri Dicasteri della Santa Sede. Se essi servono la Chiesa “ad intra”, nello stesso tempo non cessano di assumersi compiti “ad extra”, in collaborazione con gli Episcopati di tutti i Paesi, insieme con i quali cercano le vie di opportune soluzioni. Desidero porgere oggi un cordiale ringraziamento ai Signori Cardinali e Arcivescovi, Presidenti dei vari Dicasteri, ed ai loro collaboratori: sacerdoti, religiosi, religiose e laici. Nell’Anno della Famiglia lo faccio pensando, in particolare, alle famiglie dei collaboratori laici, ed auspico che la Curia Romana rivesta sempre più il carattere di una speciale famiglia. Con uguale affetto esprimo il mio augurio ai Superiori ed al personale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, a tutti ed a ciascuno in particolare.

9. L’anno che sta per finire ha visto la celebrazione a Roma di due Sinodi dei Vescovi: in primavera un sinodo continentale, dedicato ai problemi della Chiesa nel Continente africano; in autunno, quello dedicato alla vita consacrata e alla sua missione nella Chiesa e nel mondo. Si può dire che in entrambi si è potuto rivivere in qualche modo l’esperienza del Concilio Vaticano II e del suo spirito. È un’esperienza che permette di analizzare con il metodo sinodale i problemi via via emergenti e di cercarne la soluzione. Nell’arco degli anni trascorsi dalla conclusione del Concilio ad oggi, questo metodo si è molto rinnovato. Per decidere questioni di grande importanza, c’è bisogno del Sinodo, di un incontro cioè di Pastori coadiuvati da esperti, i quali mediante la preghiera e lo scambio di esperienze siano in grado di proporre indicazioni operative utili per quell’annuncio del Vangelo che si attua con la parola e con la vita.

Ci prepariamo così al termine del secondo millennio. Nell’Anno giubilare la Chiesa vuole presentarsi davanti al suo Maestro e Signore come sposa fedele, che lo ama ed è sollecita della sua missione salvifica nel mondo. Quando infatti il Figlio dell’uomo viene tra noi, mistero che si rinnova liturgicamente nel tempo natalizio, ci porta sempre lo stesso messaggio, fonte di una speranza che è più forte di qualunque paura: “Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16).

Con questi sentimenti, grato per le parole del Cardinale Decano, desidero porgere i più cordiali auguri a tutti i Signori Cardinali, Arcivescovi e Vescovi, come pure ai presbiteri, ai diaconi, ai religiosi, alle religiose e ai dipendenti laici: la speranza e la gioia del Natale del Signore siano la nostra parte nella notte di Natale e durante l’intero periodo delle feste natalizie!

Auguri!

 

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