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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AD UN GRUPPO DI VESCOVI DEL BRASILE
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Venerdì, 17 febbraio 1995

 

Fratelli Vescovi,

1. “Piego le ginocchia davanti al Padre [...] Che il Cristo abiti per la fede nei nostri cuori” (Ef 3, 14-17). Nel dare inizio a questa serie di visite “ad limina” dei Vescovi del Brasile, è questa la mia preghiera per la Chiesa nella vostra grande e amata Nazione: che la fede dei Vescovi della Chiesa si rinnovi e si rafforzi, affinché tutti i fedeli possano essere aiutati a vivere la propria vocazione cristiana con integrità e coraggio! Questa mattina, vi do il benvenuto, componenti del primo gruppo dei Vescovi della Regione Sud II. Vi saluto con caloroso affetto fraterno nel Signore, e ringrazio l’Arcivescovo di Curitiba, Pedro Antônio Marchetti Fedalto, per le parole fraterne che sono, come sempre, espressione di conforto e di pace.

Nel corso dell’anno, mi incontrerò con gli altri gruppi di Vescovi che compongono le diverse Regioni della CNBB. Questi incontri hanno un profondo significato per tutti noi. Sono espressione della struttura collegiale della comunione gerarchica della Chiesa. In queste occasioni sentiamo profondamente la solidarietà spirituale di coloro che hanno “un solo Signore, una sola Fede, un solo battesimo” e cercano “di conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della Pace” (Ef 4, 5 e 3). Mentre nei nostri colloqui privati parliamo della situazione di ognuna delle vostre diocesi individualmente, questi incontri collettivi mi offrono l’opportunità per condividere con voi e con i vostri fratelli Vescovi del Brasile alcune riflessioni circa aspetti più generali del vostro ministero e della vita della Chiesa nel vostro Paese.

2. Sia ringraziato il Signore per i segni di dedizione delle vostre Chiese al servizio dell’evangelizzazione, per le numerose iniziative di catechesi, che rimane sempre il principale cammino dell’evangelizzazione, specialmente quella volta ai bambini e agli adolescenti, offrendo al contempo agli adulti motivazioni valide alla loro fede nel contesto delle condizioni sociali che regnano nelle vostre diocesi.

In questo senso, l’anno 1994 ha acquisito un profondo significato ecclesiologico poiché è stato proclamato l’Anno della Famiglia. Mi ritorna ancora in mente la mobilitazione mondiale che ha suscitato, con l’aiuto della Provvidenza divina, in ogni nucleo familiare una nuova presa di coscienza della propria missione civile ed ecclesiale nel promuovere il rispetto dell’essere umano in quanto tale; e non poteva essere diversamente quando si constata, in tutto il suo significato, che “il Cristianesimo è la religione dell’Incarnazione, è l’annuncio gioioso di un Dio che viene incontro all’uomo” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVII/1 [1994] 231). In tal modo la Chiesa ha voluto dare, durante l’intero anno, una testimonianza particolare, ricordando che alla famiglia sono vincolati i valori fondamentali dell’essere umano e i più sacri diritti e doveri del cristiano. Per questo, non posso non rendere omaggio alle innumerevoli coppie sposate e famiglie brasiliane, che vivendo con allegria la loro fedeltà alla fede cristiana, continuano ad impegnarsi per infondere nella cultura del vostro Paese i grandi valori della cordialità, dell’amicizia, della laboriosità e della solidarietà fondati su una solida base cristiana.

Molte volte, pensando a voi, mentre svolgete la vostra opera pastorale, ho riflettuto sulle vostre preoccupazioni, che sono anche le mie, rispetto ad alcune situazioni che vi affliggono. Mi sono soffermato spesso su alcuni problemi della società brasiliana, poiché so che resta ancora molto da fare nella vostra realtà sociale tanto diversificata. Pensavo, ad esempio, ai bambini di strada, alla diffusione delle droghe, al banditismo, alla violenza e agli assassinii urbani; e, per ciò che riguarda direttamente la famiglia, alla moltiplicazione dei divorzi, delle separazioni, delle situazioni irregolari, all’uso degli anticoncezionali, alla proliferazione della sterilizzazione volontaria o dell’aborto, alla delinquenza giovanile e allo sterminio dei minori trasgressori e a tanti altri fenomeni che non è necessario menzionare.

Nell’evocare questi problemi, è naturale che sorga anche la seguente domanda: qual è la radice e la causa di tutti questi mali? Se cercassimo a fondo, troveremmo la seguente risposta: le sofferenze della società sono un riflesso delle sofferenze familiari. Essendo la famiglia la cellula fondamentale e vitale della società, quando la famiglia è malata, anche tutta la società è malata. Perché i cittadini che fanno propri le virtù e i vizi di una famiglia, sono cittadini che si santificano e si corrompono all’interno di una famiglia: “Come è la famiglia, così è la Nazione, poiché così è il cittadino che costruisce la società” (Omelia a Nowy Targ, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II [1979] 1490).

Desidero ricordarvi una cosa che serbo nel profondo del cuore: per quanto ci sforziamo, non avremo fatto mai abbastanza per rivitalizzare la famiglia e per riscattare i suoi più autentici e fondamentali valori; la nostra opera missionaria non dovrà mai essere tanto ardente come quando ci impegniamo a fondo per mettere in pratica quel motto coniato nell’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio: “Famiglia, diventa “ciò” che “sei”!” (Familiaris Consortio, 17).

3. Il futuro della Chiesa nel Brasile passa, dunque attraverso la famiglia. In essa dobbiamo vedere il centro di convergenza della pastorale della Chiesa. Non fu senza una luce speciale dello Spirito Santo che la Conferenza di Santo Domingo giunse a dire: “è necessario fare della Pastorale Familiare una priorità fondamentale, sentita, reale e operante” (Familiaris Consortio, 64).

Alcuni anni fa ho ricordato ai Vescovi del Brasile questa priorità e questa centralità della Pastorale Familiare con parole che oggi hanno una maggiore attualità e implicano un più urgente bisogno di essere messe in pratica: “In ogni Diocesi – vasta o piccola, ricca o povera, dotata o no di clero – il Vescovo agirà con saggezza pastorale, farà un “investimento” altamente compensatore, costruirà, a medio termine, la sua Chiesa particolare, e allo stesso tempo darà il massimo appoggio a una Pastorale Familiare effettiva” (Direttive ai Vescovi del Brasile, n. 5). La Pastorale Familiare – a livello parrocchiale, diocesano e nazionale – non deve essere considerata solo un’opzione tra le altre ma anche un pressante bisogno che diventerà come un fuoco che irradia i valori cristiani della nuova evangelizzazione, nel cuore stesso della società dove la famiglia è radicata; è essa che darà stabilità nel tempo allo sforzo evangelizzatore.

Bisognerà allora convenire sul fatto che le linee più urgenti di questa Pastorale, enunciate nel Documento di Santo Domingo, dovranno basarsi sullo sforzo per la “formazione dei futuri sposi” e sulla promozione del compito di “preparare agenti di pastorale” (n. 222); promuovere la mentalità pro-vita; offrire i mezzi affinché si possa vivere in modo cristiano la paternità responsabile, e agevolare sempre “la trasmissione chiara della dottrina della Chiesa sulla natalità” (cf. n. 226 e 222); “cercare, seguendo l’esempio del Buon Pastore, vie e forme per ottenere una Pastorale diretta a coppie in situazione irregolare” (n. 224); e, in particolare, prodigarsi affinché la famiglia finisca con l’essere realmente un’autentica “Chiesa Domestica”, “santuario dove si edifica la santità e a partire dal quale la Chiesa e il mondo possono essere santificati” (cf. Familiaris Consortio, 42).

Tra questi aspetti, desidero invitarvi inizialmente ad affrontare coraggiosamente le sfide che presenta un’opinione pubblica mal orientata che, da un lato, ripete monotonamente, direi con poca originalità, le tesi pseudo-scientifiche del neo-maltusianesimo, avvertendo delle conseguenze catastrofiche di un’imminente “esplosione demografica” e, dall’altro, semplifica le soluzioni ricorrendo a una cultura della morte che si oppone alla civiltà della vita. La Chiesa ha sempre promosso il rispetto per la vita e la dignità della persona umana. Continuate, quindi, a difendere le condizioni più vulnerabili della vita umana: la vita del nascituro e dei malati terminali. L’eutanasia legalizzata approfondisce e aggrava il disprezzo per la vita, iniziatosi con le leggi che consentono l’aborto. Quando si permette di sopprimere un nascituro, non desiderato, si può giungere a permettere di eliminare il malato terminale, l’anziano, e persino il giovane delinquente che minaccia la tranquillità urbana.

Il fenomeno dei cosiddetti “bambini di strada” e del loro ingiustificabile sterminio è un’appendice terminale di un altro male profondo che riguarda la struttura socio-economica ed educativa del vostro Paese e, ancora di più, i valori umani per una vita degna e un’educazione di base, indispensabile per i bambini e gli adolescenti. Sono a conoscenza dei vostri sforzi volti a superare questa triste situazione – so dell’incoraggiante impegno pastorale di alcune Diocesi per accogliere tanti bambini abbandonati – e desidero rinnovare le mie parole d’incoraggiamento a tutte le iniziative che confermano la tradizione umanitaria e cristiana del popolo brasiliano.

4. È chiaro dunque che la vostra sollecitudine si rivolgerà al nucleo principale dei mali che colpiscono la società, che non potrebbe non essere considerato qui: l’indissolubilità del matrimonio e il ruolo delle donna nella società e nella Chiesa.

Come vi ho detto a Campo Grande, è doloroso osservare nel vostro amato Paese “l’estrema fragilità di molti matrimoni con la triste sequela di innumerevoli separazioni, di cui sono sempre vittime innocenti i figli” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIV/2 [1991] 909). Il matrimonio è indissolubile per legge naturale e non solo per esigenza evangelica. È stato così “fin dal principio” (cf. Mt 19, 3). Nel disegno primordiale della creazione dell’uomo come tale, appaiono già impresse nel suo cuore l’unità e l’indissolubilità matrimoniali: “e i due saranno una sola carne” (Gen 2, 24).

La difesa dell’indissolubilità non è solo un obiettivo cristiano ma è soprattutto una rivendicazione umana: l’apologia di un valore radicalmente umano difeso da innumerevoli pensatori, antropologi e giuristi non cristiani. Le caratteristiche essenziali del matrimonio – fonte della famiglia – che sono l’unità e l’indissolubilità, non possono mutare secondo le mode e i gusti, appartenendo la famiglia “al patrimonio più originario e sacro dell’umanità” (Appello di Giovanni Paolo II, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVII/1 [1994] 954) e devono essere da voi difese come si difende ciò che vi è di più sostanziale nelle vostre radici culturali.

Dovete soprattutto preservare i fidanzati da questa valanga edonista che pone il piacere al di sopra dell’amore e il sentimento superficiale al di sopra di quella donazione reciproca che costituisce il fondamento del vero amore, e guidare i giovani sposi affinché comprendano che il matrimonio li unisce nell’allegria e nella tristezza, nella salute e nella malattia, nell’entusiasmo e nell’apatia, fino a quando la morte non li separi. Dovete infine cercare di formarli per l’amore; un amore profondo ed eterno, poiché “ci si ama veramente e fino in fondo, solo quando ci si ama per sempre” (Meditazione di Giovanni Paolo II, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVII/2 [1994] 33).

“L’amore vuole essere definitivo. Non può essere «fino a nuovo ordine»” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1646).

5. D’altro canto si libra nell’atmosfera culturale di alcuni settori sociali una specie di amara rivendicazione femminista, che conferisce alla donna lavori e funzioni che in molti casi non sono adatti alla sua particolare struttura psicologica e neanche al Disegno di Dio. Siamo assolutamente convinti della totale uguaglianza tra l’uomo e la donna che possiedono la stessa dignità personale di figli di Dio, così come siamo convinti che la donna debba contribuire – come l’uomo – al bene comune, conformemente alla sua natura e alle sue attitudini fisiche intellettuali e morali. “Non manca chi rimprovera alla Chiesa di insistere troppo sulla missione familiare della donna e di trascurare il problema della sua attiva presenza nei vari settori della vita sociale. In realtà non è così. La Chiesa è ben consapevole di quanto la società abbia bisogno del genio femminile in tutte le espressioni della civile convivenza e insiste perché sia superata ogni forma di discriminazione della donna nell’ambito del lavoro, della cultura, della politica, pur nel rispetto del carattere proprio della femminilità: un indebito appiattimento dei ruoli, infatti, oltre a impoverire la vita sociale, finirebbe con l’espropriare la stessa donna di ciò che le appartiene in modo prevalente o esclusivo” (Angelus, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVII/2 [1994] 133). Le qualità specifiche della donna svolgono, senza dubbio, un ruolo importante nel mondo dell’imprenditoria, della scienza, dell’insegnamento, della sociologia, della politica, dell’economia e della tecnica. Inoltre la vita professionale riceve dal comportamento femminile un elevato coefficiente di umanità, di dolcezza e di comprensione. Ma esistono compiti in cui la donna è insostituibile. La donna deve potenziare proprio ciò che in essa è caratteristico, peculiare e, da ultimo, indispensabile come la maternità. La maternità è la vocazione della donna di palpitante attualità. È necessario impegnarsi affinché la dignità di questa vocazione non sia esclusa dalla cultura brasiliana. “Guardare attentamente al ruolo fondamentale della donna come sposa e madre significa collocarla nel cuore della famiglia; una funzione insostituibile, che deve essere apprezzata e riconosciuta come tale, e che va unita alla specificità stessa dell’essere donna (cf. Mulieris Dignitatem, 18). L’essere sposa e l’essere madre sono due realtà complementari in questa originale comunione di vita e di amore che è il matrimonio, fondamento della famiglia” (Discorso di Giovanni Paolo II ai partecipanti all’XI Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVII/1 [1994] 795). La dedizione della madre al suo focolare e ai suoi figli è la funzione più alta che essa possa svolgere. Quando manca la madre, manca il focolare, manca la famiglia, manca la Patria; manca la stessa Chiesa!

6. La Chiesa riceve da milioni di “Chiese Domestiche” un apporto di vita e di fervore spirituale; essa stessa fa dell’Eucaristia una manifestazione dell’amore, unendosi a Cristo nel “calice della nuova ed eterna alleanza”. Facendo riferimento al parallelismo esistente tra il matrimonio e l’unione di Cristo con la Chiesa (cf. Ef 5, 23 ss.), posso dire che il Redentore si dedica alla realizzazione di questa unione irrevocabile con amore generoso e sacrificato; e la Chiesa corrisponde tale amore con un dono totale di tutto il suo essere, di tutta la sua esistenza. La grandezza di questo amore non è né inaccessibile né impossibile da realizzare nella vita matrimoniale. Nell’Eucaristia Cristo comunica agli sposi tutta la forza del suo amore abnegato. L’egoismo trasforma in un ideale impossibile questa grande bellezza dell’amore coniugale in Cristo.

7. Cari Fratelli Vescovi, nell’Ultima Cena, Gesù invitò i discepoli ad essere suoi amici, dicendo loro che non erano più servi (cf. Gv 15, 13-14) e suggellando con l’Eucaristia tale intimità. Il Signore continua a invitarvi, Successori degli Apostoli, all’intimità con Lui, per confermarvi nella sua verità, affinché siate in grado, da parte vostra, di proclamare la sua potenza vigorosa e liberatrice al Popolo di Dio affidato alla vostra cura pastorale. Affido a Maria, Madre della Chiesa, le difficoltà e le gioie del vostro ministero, così come i bisogni e le speranze della Chiesa in Brasile. Il Papa desidera assicurarvi che vi è sempre vicino con le Sue preghiere, incoraggiandovi a perseverare in tutte le iniziative che portate avanti a favore della dignità della persona umana e della famiglia. Su ognuno di voi e su tutti i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici delle vostre diocesi, imparto di tutto cuore la mia Benedizione Apostolica.

 

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