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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PRESULI DELLE REGIONI DEL TAMIL NADU E
DELLA KARNATAKA IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Martedì, 16 maggio 1995

 

Cari Fratelli Vescovi,

1. Saluto con grande gioia ognuno di voi, Pastori della Chiesa in India provenienti dalle regioni del Tamil Nadu e della Karnataka, durante la prima di questa serie di visite “ad limina” da parte dei Vescovi della vostra vasta regione. Con le parole di San Paolo: “Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi” e chiedo “sempre nelle mie preghiere...” di “rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune” (Rm 1, 8 ss.). Quando nel 1986 ho visitato il vostro Paese mi sono rivolto ai Vescovi dicendo che: “Il nostro compito comune è quello di rendere operante il mistero della collegialità” (Discorso ai Vescovi, Nuova Delhi, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX/1 [1986] 259). Siamo qui per professare, celebrare e rafforzare il mistero della comunione nel Collegio dei Vescovi. Tale comunione implica che siamo una sola mente e un solo cuore nell’amare nostro Signore Gesù Cristo, il Pastore della Chiesa e nell’obbedirgli (cf. 1 Pt 5, 4) e realizziamo il ministero che ci è stato affidato per mezzo di un’unione di fede e di ordine ecclesiale vibrante e forte.

2. La Costituzione dogmatica Lumen Gentium ci ricorda che il Disegno di Dio consiste nel “salvare e santificare gli uomini non individualmente e senza alcun legame fra loro” (Lumen Gentium, 9). Il testo del Concilio continua affermando che questo popolo messianico “ha per capo Cristo... questo popolo ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come nel suo tempio... Ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati... E, finalmente, ha per fine il regno di Dio... che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a compimento” (Lumen Gentium, 9). Pertanto non si sottolineerà mai a sufficienza il fatto che la missione della Chiesa è trascendente e consiste soprattutto nel permettere agli uomini di partecipare al mistero attraverso il quale Dio comunica se stesso per mezzo della grazia.

Da questo dipendono tutti gli aspetti della vita della Chiesa. Indipendentemente dall’urgenza di altri problemi, fra cui quelli dello sviluppo umano, della giustizia e della difesa della dignità umana, delle necessità dei poveri – e non si può certo negare che il vostro impegno in questi campi debba essere a un tempo concreto ed efficace – i Pastori non possono ignorare l’invito di Cristo stesso a cercare “prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 33). Sarebbe sorprendente se proprio in India, la terra della Satyagraha (la “forza-verità” spirituale che conquista senza violenza) e dei Rishis (uomini santi), i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i laici impegnati, uomini e donne, non riuscissero a sviluppare tutto il potenziale spirituale della grazia salvifica del nostro Redentore. Per questo, in quanto Pastori, servitori dei misteri di Dio, nella vostra vita, nei vostri rapporti con i sacerdoti, con le donne e con gli uomini consacrati che portano insieme a voi il fardello dell’apostolato, nel vostro ministero verso i fedeli laici e nei vostri sforzi missionari volti a diffondere il Vangelo, uno degli aspetti che dovete sempre tener presente nel vostro cuore e nelle vostre azioni è quello della promozione della fede autentica e della santità di vita fra i membri della Chiesa.

3. Essere guide spirituali e maestri del vostro popolo è un compito difficile e arduo. A livello personale esso implica da parte vostra una risposta totale al richiamo di Cristo. Poiché, come San Paolo ha scritto a Timoteo: “Il fine di questo richiamo è però la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera” (1 Tm 1, 5), “bisogna che il Vescovo sia irreprensibile” (1 Tm 3, 2). Senza un profondo impegno di fede, senza la preghiera costante e una “carità pastorale” che faccia dono di sé, non è possibile rappresentare il Buon Pastore che ha sacrificato la propria vita per il suo gregge (cf. Gv 10, 11).

Nell’ambito del vostro apostolato dovete affrontare molte sfide, non ultima quella del crescente secolarismo, tendenza dominante e diffusa che sta minando anche le tradizioni spirituali più profondamente radicate, caratteristiche della storia e della cultura dell’India. Il primo concetto vedico del rita, ordine, valido e giusto nell’universo e nella società umana, ha guidato la cultura indiana al desiderio di armonia, ad una morale di responsabilità nei confronti dell’ordine divino evidente in tutto ciò che esiste. Più tardi le Upanishad hanno sottolineato la nozione di dharma, ponendo dunque al centro delle attività della vita l’acquisizione della “rettitudine” attraverso l’osservanza della religione e il rispetto della legge e del dovere. Sulla base di queste attitudini, fondamentali per tutte le esperienze religiose, l’India è divenuta la culla di una civiltà ricca di valori religiosi e umani. Su questo terreno il seme della fede è stato piantato fin dall’inizio e ha prodotto fiorenti comunità sostenute, attraverso tutte le vicende storiche, dalla loro fede in Gesù Cristo, il Dio-Uomo, Crocifisso e Risorto, speranza dell’umanità che solo può rivelare pienamente la grandezza e la dignità autentiche della persona umana e del suo destino (cf. Ai delegati della F.A.B.C., Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII/1 [1995] 152s.).

Attualmente, in molte coscienze si sta insinuando una certa indifferenza nei confronti delle verità e dei valori religiosi, considerati come irrilevanti per il progresso economico e tecnologico, e ciò sta indebolendo il fondamento spirituale e morale della società. La comunità cattolica non è immune da questo fenomeno. La Chiesa in India, come in tutte le altre parti del mondo, deve affrontare questa sfida facendo un grande sforzo di conversione e di rinnovamento spirituale.

4. Da un rinnovato impegno per Cristo, l’unico intermediario fra Dio e l’uomo (cf. 1 Tm 2, 5), e da una vita spirituale rivitalizzata scaturirà un senso più profondo di unità e di comunione fra tutti i membri della Chiesa. Nel subcontinente indiano, la comunità cattolica costituisce un’esigua minoranza, sebbene la sua presenza e il suo ruolo vadano al di là delle mere statistiche grazie alla vitalità della sua testimonianza e alla vastità del suo servizio. Questa minoranza religiosa è a sua volta caratterizzata da una grande varietà: da diversità di riti, da storie di evangelizzazione diverse in ogni regione e, negativamente, dalla costante minaccia di frammentazione causata dalla continua e forte influenza della molteplicità etnica, culturale e sociale. A questo proposito la vostra missione di Vescovi implica uno sforzo determinato e incisivo per creare e rafforzare i vincoli di fraternità fra i membri della Chiesa.

Stiamo parlando dell’unità che scaturisce dal Dio Uno e Trino e il cui dinamismo deriva dalla grazia divina. La koinonia che voi tutti siete chiamati a promuovere non è nient’altro che una condivisione dell’autentica comunione esistente fra il Padre e il Figlio nello Spirito di Amore (cf. 1 Gv 1, 3). E un’unità che trascende tutte le diversità umane e persiste di fronte a qualsiasi differenza di immagine o di comportamento poiché esistono “un solo corpo, un solo spirito... un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti” (Ef 4, 4-6). Negli Atti degli Apostoli leggiamo che i membri della prima comunità cristiana “erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2, 42). L’espressione “erano assidui” (proskarterein) denota una fedeltà costante e continua. Essa evoca una fede viva, l’entusiasmo nel vivere la propria vita in un rapporto totale con il Signore Risorto e lo zelo nel diffondere la Buona Novella. E proprio questa attitudine interiore, assimilata completamente, che ci permette di vivere la koinonia, di sperimentare il senso vivo dell’appartenere alla comunità dei discepoli di Cristo e dell’essere responsabili per essa.

5. L’amore è la forza edificante della comunione. San Paolo esprime l’intera “novità” dell’attitudine cristiana in questa breve frase: “L’amore di Cristo ci spinge” (2 Cor 5, 14). La vita di un Vescovo deve essere interamente guidata e ispirata dall’amore. Far sì che le vostre parole e le vostre azioni siano ispirate dal comandamento totale dell’amore evangelico e dallo spirito delle Beatitudini, significa garantire che il vostro ministero produca autentici frutti di evangelizzazione e di crescita ecclesiale.

Vi esorto a esprimere l’amore evangelico prima di tutto fra di voi, nella stima e nel rispetto che nutrite l’uno per l’altro, nella cooperazione fraterna ed essenziale per il bene della Chiesa, nell’ambito della vostra Conferenza. Solo in questo modo sarete in grado di evangelizzare, ma soprattutto, è solo così che potrete affrontare le gravi difficoltà che sorgono all’interno della comunità cattolica quando si permette che in essa vengano diffusi insegnamenti errati circa le dottrine fondamentali della fede e le questioni morali della vita cristiana. Dovete affrontare queste difficoltà con intelligenza, coraggio e unione. Che non permettiate mai a criteri contrari al Vangelo, come le considerazioni circa le caste, le origini etniche o le culture tradizionali, di determinare i rapporti che intercorrono fra di voi. “Al di sopra di tutto poi vi sia la carità” (Col 3, 14) e fate risplendere la vostra testimonianza congiunta in tutta la comunità come esortazione per i sacerdoti, i religiosi e i laici.

Create armonia e pace fra i vostri sacerdoti; prestate loro l’attenzione che hanno il diritto di ricevere da voi. Occupatevi delle loro necessità e delle loro aspirazioni, siate giusti nel trattare con loro. Se qualcuno si scoraggia, siate pronti ad aiutarlo. Qualora dobbiate rammentare loro quali sono i loro doveri sacerdotali, fatelo con amorevole sollecitudine paterna. Nei confronti delle donne e degli uomini religiosi, il cui apostolato è spesso di importanza decisiva per le vostre diocesi, fatevi guidare in tutte le occasioni da un profondo rispetto per la loro consacrazione e il loro carisma, agendo nei loro confronti con giustizia e verità, osservando con attenzione lo spirito del Documento Mutuae Relationes. Infine, possano i fedeli laici trovare nel loro Vescovo un uomo di Dio, una guida spirituale, un vero padre, un autentico fratello che abbia a cuore il loro bene e sia pronto a sacrificarsi per essere Buon Pastore del suo gregge.

6. Cari Fratelli Vescovi, la vostra visita “ad limina” si svolge nel momento in cui tutta la Chiesa sta iniziando gli speciali preparativi per il Grande Giubileo dell’Anno 2000. Proprio in questo “Avvento” storico, mentre stiamo per commemorare il bimillenario della nascita di Nostro Signore Gesù Cristo, Egli – il Signore – ci chiama attraverso le parole del Concilio a seguire il suo esempio e, fattici conformi alla sua immagine, ad obbedire completamente alla volontà del Padre, consacrandoci con tutto il nostro animo al servizio del prossimo (cf. Lumen Gentium, 40). Questa sintesi della vocazione cristiana è la grazia che io invoco su di voi e sui Fratelli Vescovi dell’India.

Nel rivolgermi a voi, non posso non sentirvi vicini e non esortarvi a edificare e rafforzare la Chiesa in India nell’unità della fede e nell’armonia dell’amore che scaturiscono dalla pienezza della vita cristiana vissuta secondo il modello del Vangelo. In quanto Vescovi, dobbiamo sempre ricordare che il Signore ci ha insegnato a individuare l’essenza dell’essere discepoli nel servizio umile e effettivo verso i fratelli (cf. Gv 13, 15). Vi affido all’intercessione di Maria, Madre del Redentore. Possa accompagnare ognuno di voi lungo il cammino della vita, nel servizio fedele al suo Figlio Divino. Con la mia Benedizione Apostolica.

 

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