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 DISCORSO DEL SANTO PADRE
ALL' AMBASCIATORE DELLA MONGOLIA
IN  OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE
DELLE LETTERE CREDENZIALI*


Venerdì, 18 maggio 2001

 

Signor Ambasciatore!

1. Sono lieto di accogliere le lettere con le quali il Signor Presidente della Repubblica, Sua Eccellenza Natsagjin Bagabandi, La accredita quale Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Mongolia presso la Santa Sede. Desidero manifestarLe viva riconoscenza per le gentili parole che all'inizio della Sua missione ha voluto rivolgermi, illustrando gli alti principi a cui intende ispirarne l'adempimento.

Nel ringraziare, poi, per i cordiali sentimenti che il Capo dello Stato ha voluto nuovamente esprimermi, Le chiedo di rendersi interprete presso di Lui, come pure presso le Autorità del Governo della Mongolia, della profonda stima e della costante considerazione con la quale seguo il cammino del nobile Popolo che Ella rappresenta. Serbo un vivo ricordo della visita che il 5 giugno dello scorso anno il Signor Presidente della Mongolia ha voluto rendermi, per riaffermare i rapporti di reciproco rispetto e di mutuo dialogo esistenti tra la Sede Apostolica e il Popolo mongolo. E' mio vivo auspicio che essi proseguano e si intensifichino anche per contribuire all'edificazione di un mondo più giusto e solidale.

A buona ragione Ella ha voluto far menzione della lunga tradizione di tolleranza e di dialogo che caratterizza il popolo della Mongolia, ormai definitivamente entrato nell'arena mondiale con propria e piena sovranità.

2. Nel 2006 si celebrerà l'800E anniversario della fondazione dello Stato mongolo. E' un evento che riveste un'indubbia importanza e offre l'opportunità di ripercorrere il lungo itinerario storico sin qui compiuto. E' pure l'occasione per evocare i secolari legami che segnano le relazioni tra la Mongolia e la Santa Sede. Sono relazioni che risalgono lontano nel tempo. Già, infatti, nel marzo del 1245, il mio predecessore Innocenzo IV inviò una missione diplomatica al campo del khan Batu, giunta successivamente al campo di Kuyuk "gran re e al popolo dei Tartari", presso la Sira Ordu della capitale Karakorum. Dell'indimenticabile missione di fra' Giovanni da Pian del Carpine ci resta la pregevole Historia Mongolorum quos nos Tartaros appellamus. Come pure si conservano interamente le memorie delle missioni di Argun khan presso Onorio IV e Niccolò IV. Si può affermare che, nonostante le inevitabili difficoltà, non si sia mai interrotto questo dialogo rispettoso, come pure non è venuta meno l'attenzione lungimirante fra la Mongolia e la Sede Apostolica.

A questo proposito, mi piace evocare la cordialità con cui il mio predecessore, il venerato Pontefice Niccolò IV, si rivolgeva al principe Kharbenda, esortandolo a non abbandonare le sane tradizioni del suo popolo, dopo essersi fatto cristiano. "Con affetto ti consigliamo – scriveva nel 1291 – di non far alcun mutamento nelle costumanze, nel vestito o vitto tradizionale del tuo Paese, affinché non sorga motivo di dissenso o di scandalo contro la tua persona" (BF IV, 530). Oltre al rispetto di queste tradizioni popolari, il Papa raccomandava di non abbandonarne la legittima fisionomia culturale.

I contatti tra i Mongoli e la Chiesa di Roma proseguirono con frutto anche in seguito. Lo testimoniano, tra l'altro, le parole scritte dal gran khan Gasan al Papa Bonifacio VIII, e le missioni di Giovanni da Montecorvino e Odorico da Pordenone.

3. In Mongolia da lungo tempo si registra la presenza di comunità cristiane fiorenti. Al loro arrivo, con piacevole sorpresa, gli evangelizzatori ebbero modo di constatare la grande tolleranza di quel popolo nei confronti dei discepoli di Cristo. Lo spirito di dialogo instauratosi tra il cristianesimo e la religione maggioritaria dello Stato mongolo favorì reciproci contatti e scambi rispettosi e fecondi. Purtroppo, successive vicende storiche hanno portato a un progressivo mutuo estraniamento.

La Chiesa, però, allora come anche oggi, "considera con sincero rispetto quei modi di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini". Perciò "essa esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e la collaborazione con i seguaci delle altre religioni... riconoscano, conservino e facciano progredire i beni spirituali e morali, e i valori socioculturali che si trovano in essi" (Nostra aetate, 2).

Da nove anni la Chiesa Cattolica ha potuto tornare ad operare tra l'amato popolo del Paese che Ella qui rappresenta. Essa è mossa dal desiderio di servire lealmente le genti della Mongolia, prestando la sua opera nel campo dell'educazione e dello sviluppo sociale. I cristiani non mancheranno di offrire il loro sostegno a programmi che possano ulteriormente arricchire il patrimonio conoscitivo e specialmente l'inserimento delle giovani generazioni mongole nel mondo moderno, segnato da tanti e rapidi mutamenti sociali, aiutandoli al tempo stesso a preservare la loro specifica identità culturale.

La Santa Sede, poi, è quanto mai vicina al Suo Paese e alle sofferenze del Suo Popolo a causa anche delle calamità naturali che l'hanno colpito di recente. Essa sostiene, altresì, gli sforzi che il Suo Governo sta facendo per tessere un dialogo sempre più proficuo con altri popoli. Per quanto è nelle sue possibilità, la Sede Apostolica non ha mancato di operare, e continuerà a farlo, affinché la comunità internazionale sia solidale con il Popolo mongolo e lo sostenga con generosità.

4. Signor Ambasciatore, mentre Ella si accinge ad assumere l'alto compito affidatoLe, desidero assicurarLe la mia benevolenza ed ogni opportuno aiuto per il fruttuoso espletamento della Sua alta missione presso questa Santa Sede.

Voglia cortesemente trasmettere al Signor Presidente della Mongolia, alle Autorità del Governo e al caro Popolo da Lei qui rappresentato l'espressione della mia spirituale vicinanza, unita a un fervido augurio di prosperità e progresso nella pace e nella giustizia. Avvaloro questi miei cordiali sentimenti con la preghiera a Dio, affinché scendano copiose su di Lei e su coloro dei quali Ella si fa interprete le benedizioni del Cielo.


*Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XXIV, 1 p.1007-1010.

L'Osservatore Romano 19.5.2001 p.9.

 

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