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DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI XXIII
IN OCCASIONE DELL'INCONTRO
CON IL CLERO SECOLARE E RELIGIOSO
DI ROMA
*

Aula della Benedizione
Giovedì, 24 novembre 1960

 

Diletti figli,

Da quando ci incontrammo, la festa di S. Pietro, nella Basilica Vaticana, per la promulgazione del Sinodo, e, prima ancora, dai giorni delle nostre intimità spirituali e sollecitudini pastorali, che risalgono agli ultimi di gennaio per la celebrazione di quell'avvenimento, che si collocò subito fra i fasti della diocesi di Roma, il cuore del vostro Vescovo è rimasto in particolare e viva, anche se non clamorosa, comunicazione col vostro spirito, diciamo con lo spirito di ciascun membro del clero secolare e regolare dell'Urbe. E ci piaceva, di tratto in tratto, ringraziando Iddio, richiamare alla memoria con sorridente amabilità alcune espressioni tinte di buon umore, e fatteci arrivare pianamente all'orecchio in tono profetico circa la avventura, a cui Ci volgevamo, di un'impresa come quella di un Sinodo in Roma, incauta dal primo annunzio: poi da tenersi grado grado in qualche diffidenza sino alla sua promulgazione. La grazia celeste non fu invocata invano. Dall'incontro iniziale del 24 gennaio, nella sacrosanta Nostra Basilica Lateranense a quello più solenne del 29 giugno presso la Tomba di S. Pietro, potemmo con l'aiuto del Signore celebrare, certo, opus bonum, anche se in qualche cosa non opus perfectum.

UN CONVEGNO APOSTOLICO

Tutti eravamo al convegno apostolico. Se la immagine rispettosa è consentita, i dodici erano là in pienezza di numero e di consentimento: anche Tommaso c'era, cioè anche i timidi e gli incerti delle prime ore: tutti egualmente commossi dalla bontà del Signore verso chi lo invoca e lo serve con fiducia.

Umbram fugat veritas
Noctem
, lux eliminat [1].

Dalla promulgazione proclamata, e precisamente dal l° novembre, il Sinodo Romano ha preso valore di legge diocesana. Secondo le parole della Costituzione Apostolica « Sollicitudo omnium Ecclesiarum », ogni sacerdote del Clero Romano sa oggi mai come doversi comportare nelle sue attribuzioni caratteristiche. Le pagine del Sinodo, rese familiari al suo spirito, gli ripetono ogni giorno l'Hoc fac et vives [2].

Ebbene, diletti figli Nostri, in questo determinarsi delle vostre felici disposizioni a tradurre in pratica gli ordinamenti sinodali abbiamo pensato di non farvi cosa discara aggiungendo ancora alcune parole a quelle che avemmo la consolazione di rivolgervi nei Nostri colloqui di quei giorni benedetti dello scorso gennaio: e ciò a titolo di nuovo incoraggiamento per tutti a farci onore, innanzi a Dio, innanzi alla santa Chiesa e innanzi agli uomini.

Il sacro volume del Sinodo Romano sta circolando — ciò non vi stupisca — nel mondo, bene accolto ed apprezzato da parte dei venerati Pastori, che in questi giorni Ce ne dissero a voce e Ce ne scrissero il loro compiacimento. Ne stiamo preparando una traduzione in italiano e in altre lingue per i laici, perchè sia un avviamento anche per loro alla conoscenza dei principi chiari e fiammeggianti, che sorreggono quella sapientissima e divina costruzione che è la Chiesa di Gesù, qui ancora militante sulla terra, ma pur sempre nella sicurezza dei trionfi della, vita dei secoli eterni.

LA FAMILIARE LETTURA
DEL SINODO

Prima cosa che abbiamo a dirvi.

Innanzi tutto vogliate gradire, diletti figli, l'invito a rendervi familiare la lettura del Sinodo, che, giorno per giorno vi indicherà bellezze ascose di pensiero e di saggezza: e a prendervi come pratica familiare il rivedere e il rigustare quelle pagine, più ancora — non vi dispiaccia il sentirvelo subito dire con immediata schiettezza, poiché Ci si offre l'occasione di farlo — più ancora che la cura sollecita della coltivazione di alcune pratiche o devozioni particolari forse eccessive nello stesso culto della Madonna, la cara madre di Gesù e madre nostra, che non si offende di queste Nostre parole, e di alcuni Santi e Sante fra cui, certe volte, si impoverisce lo spettacolo della religiosità della buona gente nostra. Sappiate comprenderci. E dovere del sacerdote guardarsi e mettere in guardia il popolo. Alcune pie pratiche esclusive accontentano il sentimento, ma da sole non esauriscono il compimento degli obblighi religiosi e tanto meno sono in corrispondenza perfetta. con i primi tre precetti del Decalogo, gravi ed impegnativi.

Quanto al leggere il nuovo codice della vita diocesana, è dall'Antico e dal Nuovo Testamento che viene a noi la indicazione preziosa, dai Profeti e dagli Evangelisti. Da Ezechiele, per esempio, che, al capo secondo del suo poema profetico, ci apre la visione del libro arrotolato, che una mano misteriosa gli tendeva, tutto scritto dentro e fuori, e contenente lamentazioni, carmi e guai. Libro prezioso, che anch'egli fu invitato e non cessa di invitare a leggere e a divorare, risentendone alle viscere pinguedine e ricchezza di vita, e alla bocca dolcezza come di miele [3].

Egualmente S. Giovanni con gli altri Evangelisti — anche solo a seguirne le indicazioni nelle Concordanze Bibliche che Ci sono alla mano — rende continuo omaggio e invito a quella stessa lettura innanzi tutto dei libri che contengono la voce di Dio ai nostri cuori, e sono lampada accesa sul nostro cammino a direzione dei nostri passi. Vox Domini: divina lex: liber vitae.

Avete mai riflettuto, diletti figli, a quel sacro poema didascalico che è il Salmo 118: che comincia col Beati immaculati in via, o come dice la recentissima traduzione: Beati quorum, immacolata est via, e che volge alla fine col Principes persequuntur me sine causa, e finisce di fatto con le parole così toccanti: vivat anima mea et laudet te: et decreta tua adiuvent me: Oberro ut ovis quae periit: quaere servum tuum, quia mandata tua non sum oblitus? [4].

Vogliate gradire la ripetizione, che Ci è familiare, di un richiamo a ricercare sullo sfondo di quel tessuto di inviti e di raccomandazioni, che si distende sulla recita del Salmo delle ore domenicali, indicazioni e confronti, che sono, più ancora che elevazione e poesia, spirito e sostanza delle disposizioni sinodali.

Sarebbe così piacevole offrirvene qualche saggio. Ma voi stessi potrete facilmente scoprirne di vostro gusto. In tempi di giovinezza, quando eravamo in esercizio di più modeste funzioni, egualmente preziose però e meritorie nel ministero sacerdotale e nell'insegnamento, quanto era delizioso incitamento per il Nostro spirito l'accompagnarci con S. Ambrogio in quella sua mirabile Expositio in Psalmum: centesimum decimum octavum — giusto il Beati Immacolati in via, citatovi ora — che si prolunga per ben 342 pagine distribuite in 22 sermoni del torno XV del Migne, a pascolo ubertoso dell'anima pia.

Ma di questo invito a utilissime variazioni ascetiche della vostra vita quotidiana, occupata nel ministero diretto delle anime o nel servizio della Santa Sede Apostolica, basti l'accenno.

Ad esporvi piuttosto, in riferimento al Sinodo ormai promulgato, qualcosa che più sta a cuore all'umile, ma autentico Pastore di tutto il gregge di Cristo, con speciale riferimento a questa porzione santa e benedetta di Roma, la prima diocesi del mondo, vogliate tendere l'orecchio a tre pensieri, che amiamo trasmettere e raccomandare alla vostra devota attenzione.

SPLENDORE DELLA
MISSIONE SACERDOTALE

1. Il primo è tratto dal Salmo 14 di Davide: Donnine quis commorabitur in tabernaculo tuo, quis habitabit in monte sancto tuo? Esso si riferisce alla perfezione caratteristica della nostra missione sacerdotale: ed è la prima luce del Sinodo.

Innanzi tutto ambulare sine macula: dunque vita immacolata, condotta personale degna dello sguardo, della ammirazione degli angeli del Signore, della edificazione dei fedeli e della considerazione degli infedeli che ci accostano. Ogni altra lode di qualità personali di talento, di saper fare, di successi esteriori, è fatuità ed inganno. Il sacerdote si manifesta innanzi tutto all'altare: in conformità e rispetto alle leggi liturgiche, in attenzione di prontezza e di semplicità, senza sofisticherie, estenuanti se stessi e chi ci avvicina, in continuata comunicazione di pensiero, di sentimento, di parole, con Gesù benedetto, in specchiata conformità di vita esteriore con la propria coscienza, ed in perfetta familiarità col proprio confessore, a sicurezza di buon indirizzo ascetico e di efficace disciplina di sé.

L'altare, l'altare, diletti figli, è il punto di attrazione degli occhi e del cuore. Esso conclama, la raffigurazione caratteristica della nostra vita, e di là si dipartono in tutto il loro dispiegamento le occupazioni precipue del sacerdote: le confessioni, la direzione delle anime, l'insegnamento catechistico, la cura dei malati, il contatto pronto, prudente, paziente coi fedeli di tutte le età e condizioni, in circostanze di dubbio, di dolore, di calamità pubbliche, di miseria.

Poi: facere iustitiam et cogitare retta in corde suo. L'abitudine di pensar male di tutto e di tutti è ingombrante di sè e dell'ambiente in cui si vive. Occhi modesti con chicchessia, ma aperti e vivi sulle realtà nostre, e di chi vive con noi: disposizione abituale al nasce teipsum, per compatire gli altri: per tutto addolcire e volgere in bene, traendo motivi di fervore dall'esempio altrui.

Soprattutto attenzione al governo della propria lingua: non calumniare: non facere malum, proximo suo: non, opprobrium inferre vicino suo. Che orrore è questo nell'esercizio della vita sacerdotale!

Il saperci disciplinare e contenere su questo punto in uno sforzo di perfezione, non ci dispensa dal giudicare spregevole le disonestà del mondo, dal guardarcene, dal non lasciarci ingannare, e innanzi tutto dal non ammettere compromessi con il mondo, in vista di danaro a nostro vantaggio, di interessi materiali per noi, e, ciò che sarebbe più riprovevole e cattivo, a danno di persone innocenti.

Qui siamo ancora sulle basi del diritto naturale. Guai al sacerdote che, a colmo di riprovazione, ardisse farsi coprire da falsi orpelli e parvenze di diritto canonico e di consuetudini, inesistenti o falsificate.

Grande benedizione e motivo di delizia interiore è questa commoratio del sacerdote nel tabernacolo del Signore: questo abitare, nonostante i contatti con le bassure del mondo, in monte sancto suo.

A conforto dello studio del tenerci in alto ben al di sopra delle seduzioni e degli incantesimi della vita presente, seguono a questo Salmo 14 i Salmi 15 e 16, egualmente di Davide: Conserva me, Deus, quoniam confugio in Te: e la preghiera: Audi. Domine, iustam causam, attende clamorem meum.

Oh ! che pace serena in questa nostra vita sacerdotale sorretta dal canto: e che ci permette di guardare al magnifico nostro volume: Prima Romana Synodus, e di poter dire col Salmo 16 — nell'atto di rispettarlo e nella buona coscienza di averlo rispettato ad ogni costo — le parole: Si scrutaris cor meum, si visitas notte, si igne me probas, non invenies in me iniquitatem. Non est transgressum os meum hominum more: secundum verba labiorumtuorum ego custodivi vias legis [5].

Notate: la lezione antica diceva veramente vias duras. Gli studiosi moderni in materia biblica hanno chiarito meglio e fanno dire: vias legis, con un senso più fiducioso nel Signore, che impone la sua volontà con soavità di aiuto, e con promessa incoraggiante di ricompensa sicura di terra e di cielo.

IL VERO DISTACCO
DAL MONDO

2. Ed ora eccovi, diletti figli, un secondo pensiero, che cogliamo non da Davide salmista e profeta, ma dai due grandi Dottori della santa Chiesa, Gerolamo ed Agostino.

Il Breviario, che ci è familiare, lo disvela in due pagine semplici e toccanti.

Il codice della vita sacerdotale, il volume nostro del Sinodo, segna le proporzioni del nostro distacco dalla vita del inondo, e lo spirito del lavoro nostro sacerdotale in rapporto alle anime, che noi sacerdoti siamo chiamati — vocati estis — a salvare e a santificare.

Che accenti nel linguaggio di S. Gerolamo nel suo commento di S. Matteo! Grandis fiducia. Petrus piscator erat. — Noi lo conosciamo bene a iuventute nostra et sua il nostro S. Pietro — Dimes non fuerat: cibos manu et arte quaerebat: et tamen loquitur confidenter: re1iquimns omnia: et quia non sufficit tantum relinquere, iungit quod perfectum est: Et Secuti sumus te: fecimus quod iussisti: quid igitur nobis dabis praemii? [6]

Puntiamo il nostro sguardo su questo: relinquere omnia: Christum sequi. I due termini suppongono il rimanere di una linea di contatto fra la barca e i remi da una parte, e Cristo Gesù, che noi dobbiamo servire e portare, dall'altra. Non si vive, e non si esercita ministero sacerdotale, né si serve la santa Chiesa nei vari uffici della sua amministrazione centrale e universale, senza contatti con ciò che il mondo e lo spirito del mondo rappresentano. Questo spirito purtroppo non è solo sufficienza e necessità per fare onore all'altro termine, cioè al servizio del Signore nel compito sacerdotale per eccellenza, che è annunzio di Vangelo, derivazione di grazia sacramentale, esercizio di carità sotto varie forme, ma può essere, e difatto diventa tentazione quotidiana e seduttrice di superficialità o di freddezza nell'assolvere i compiti della dignità e dell'impegno sacerdotale. Attraimento e ricerca di ricchezza, di distinzione, di onori, di interessi personali mal si compongono col Christum sequi, e sono in flagrante contraddizione col reliqnimus omnia, che è il punto di partenza verso la grandezza e la gloria, verace del Cristianesimo, della Chiesa e del sacerdozio cattolico di tutti i secoli.

Su questo punto vogliate consentire al vostro Vescovo e Padre la espressione di un lamento, che gli sta vivo nel cuore, e che sovente è gemito della sua preghiera.

Le espressioni moderne della tecnica, e delle comodità superflue rappresentano una duplice fonte di pericoli : cioè la realtà, sovente ripugnante ad buon senso umano e cristiano, di una artificiosa riproduzione e malefica diffusione di sottili deviazioni intellettuali e morali; e più in concreto la realtà dell'errore e del male — che del resto dura ab initio saeculorum — e la sua riproduzione e contraffazione visiva attraverso la, stampa e la cinematografia, che ne moltiplicano all'indefinito le immagini e le seduzioni.

Cogliamo l'occasione di rendere omaggio, e di dare incoraggiamento all'esercizio e al progresso della elevata produzione letteraria e scientifica, morale e religiosa, in tutti i gradi, e in tutte le forme del buon apostolato: che sappiamo svolgersi in misura notevole, certo, specialmente in alcune regioni a noi lontane e vicine, e tutte carissime e benemerite. Ma oh ! quanta povertà ancora da parte nostra, in proporzione del diluvio immenso e limaccioso della produzione tipografica e audiovisiva nel mondo intero, che invece di elevare le anime e i popoli alla. conoscenza, all'amore, al culto di Dio, della verità, della bontà, della pura bellezza, della giustizia, della fraternità P della, pace, finisce per corrompere ed attossicare il buon sentimento, e preparare germi nefasti di dissoluzione e di rovina.

Diletti figli: a dirvi queste cose, voi comprendete come la coscienza del Padre e del Pastore soffra fremiti di angoscia nell'atto di accostarsi alla coscienza di ciascuno di voi.

Ecce nos reliquimus omnia et secuti sumus Te. In questo omnia che abbiamo lasciato per Cristo Gesù, c'è anche davvero la partecipazione ad ogni lettura e ad ogni visione di giornale, di rivista, di libro, di divertimento, che in qualunque modo contraddica alla verità e allo spirito di Cristo, all'insegnamento della santa Chiesa, alle prescrizioni ed agli inviti del volume del nostro Sinodo benedetto.

Preghiamo tutti i Nostri cari sacerdoti a mettersi le mani sul Cuore, e ad esaminarsi bene su questa materia, che giudichiamo gravissima ed importante.

Accanto a questa dottrina che ci viene suggerita da S. Gerolamo nel Breviario « de Communi Abbatum », ecco venirci incontro un altro Dot¬tore, la cui scienza ed illuminazione celeste soverchia di gran lunga molti altri Padri della santa Chiesa.

É S. Agostino, che nel Sermone decimo De verbis Domini, riportato anche questo nel Comune degli Abbati del Breviario, prende pure la parola. Non è quella degli Apostoli: Reliquimus omnia et secuti sumus Te, rivolta a Gesù : ma quella di Gesù, tanto amabile e dolce, da lui espressa ai discepoli più intimi, e a quanti altri si aggiunsero a loro: Venite ad me, omnes qui laboratis et onerati estis: et ego reficiam vos. Tollite inqum meum super vos, et discite a me quia mitis sum et corde: et invenietis requiem anima!~ restris. Iugum enim meum suave est, et onus meum leve [7].

E in queste parole stesse del Signore, oh ! quanta esaltazione di ciò che nella vita sacerdotale è fatica, anche fatica fisica, durezza di sforzo, pena e dolore! E come a proposito essa si applica ai bucini sacerdoti di ogni tempo! Essi sono i privilegiati del Signore per la speciale vocazione ricevuta; ma, quanto al corpo, sempre uomini mortali, fragili, infermi, sovente vasi di argilla. Eppure anche a loro è riservato un grande premio. É Gesù, il primo sacerdote, che lo assicura: Ego reficiam vos.

Nell'atto di dare questa assicurazione, è notevole il constatare come Gesù affermi l'invito ai suoi più intimi a non temere di nulla, ma a prendere sulle spalle il suo giogo: lugum meum super vos; e li incoraggi perchè apprendano da lui l'imitazione della sua mitezza e della sua umiltà di cuore, come a garanzia di quiete per le anime loro.

Oh! che orizzonte discoperto allo zelo di ogni sacerdote fervoroso in queste poche, soavi parole.

La lettura dei singoli articoli del Sinodo Romano per la loro sovrabbondanza può lasciar l'impressione di favorire certe esuberanze di un attivismo a cui, nell'età meno matura, anime nobili e fervide si abbandonano con vivo trasporto. Ebbene S. Agostino ci ammonisce, prendendo l'ispirazione dalla parola di Gesù, a procedere con calma nel governo delle nostre energie.

Si angustiantur vasa carnis, dilatentur spatia caritatis: e trova qui la nota prodigiosa di accordo con quel cantico sublime della carità [8] che San Paolo in una pagina mirabile ha, saputo ispirare tra lo slancio febbrile, quae urget, e la misura del suo prodigarsi per la gloria di Cristo e del suo Vangelo, e per la salute delle anime.

Dunque, a correggere e a temperare le esuberanze dell'attivismo è lo stesso Sant'Agostino che interviene, spiegandoci che iugum Domini super nos non significa rifabbricare il mondo, creare le cose visibili ed invisibili, compiere miracoli, al punto di resuscitare i morti, ma il tenerci fedeli alla mitezza ed alla umiltà del cuore, perchè questo è il gran segreto di buon successo in ogni tempo e in ogni evento.

LE LETTERE
DEL PRIMO PAPA

3. Un terzo pensiero, diletti figli, viene a noi, a comune incoraggiamento a far onore al Sinodo nostro, dalla, parola che ci è ben familiare di S. Pietro, primo Vescovo di Roma, umile, benedetto, santissimo, costituito da Gesù pietra fondamentale della Chiesa, una, santa, cattolica ed apostolica, che nell'ordine della Provvidenza esercita da Roma il suo centro e primato di onore e di governo sopra tutte le Chiese sparse nel mondo.

La sua voce giunge noi dai secoli lontani, quale la rivolse già da Roma a due riprese ai cristiani, che costituivano le prime comunità di Oriente. Essa continua ad esprimere la celeste dottrina, la direzione spirituale, la buona disciplina che il Sinodo nostro contiene nella variazione di circostanze esteriori, ma con provvedimenti egualmente saggi ed appropriati alle contingenze della vita attuale.

Queste Lettere apostoliche di S. Pietro — come quelle di S. Paolo, del resto, e tutta la Sacra Scrittura — dovrebbero fornire nutrimento spirituale per tutti i cattolici del mondo. E ben volentieri salutiamo l'occasione di invitare i fedeli a corrispondere agli inviti e agli indirizzi, che il Sinodo Romano porge a tutti per questa lettura del Libro Sacro, la cui ignoranza è veramente oggi imperdonabile per ogni cattolico che si rispetta. San Pietro dice che il « nostro fratello carissimo Paolo, secondo la sapienza che gli fu donata », a proposito della pazienza di Nostro Signore in riferimento alla salvezza universale, tocca alcuni punti difficili che gli inesperti ed i deboli stravolgono, come fanno anche delle altre Scritture a loro propria perdizione [9].

Ma ciò non è detto per noi sacerdoti, alla cui santificazione la lettura della Bibbia Santa potrebbe recare tanti vantaggi di ogni ordine spirituale e pastorale.

Le due Lettere di S. Pietro, poi, a rivederle con calma e con la consueta preparazione per i sacerdoti Romani, e anche per i fedeli, meriterebbero di essere apprese e ritenute in grande familiarità, e quasi, come suol dirsi, a memoria.

Senza addentrarci in citazioni e richiami, che sfuggirebbero alle limitazioni di questo convegno, valga l'invito alla meditazione di queste due Encicliche del primo Papa. Cibo sostanziosissimo di alta e di pratica dottrina; vero rapimento spirituale, inatteso per i più: dolcissimo per chi vi si rende familiare. S. Paolo scrisse ai Romani verità stupefacenti su punti di ordine assai elevato e di interesse universale. S. Pietro scrisse invece da Roma ad incoraggiamento di tutti i sacerdoti e fedeli, per argomenti che attingono di preferenza alle condizioni della vita pratica della Chiesa e nella Chiesa di tutti i tempi. Facciamone tesoro noi sacerdoti della diocesi di Roma. Basta un saggio per inebriarci.

Il primo capo della prima Lettera, ad esempio: la dignità del cristiano e la santità della sua vita; poi i doveri, in tutto splendenti di grazia in chi costituisce la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo di acquisto: il dovere della obbedienza, le gioie della famiglia e della carità: i consigli nell'attesa della fine: le speciali raccomandazioni per gli anziani e per i giovani.

Per i presbiteri, infine, oh! quale tesoro di celeste e ammonitrice dottrina! Lui, S. Pietro, il consenior et testis Christi passionum, qui et eius, quae in futuro revelanda est, gloriati communicator: come parla ancora ai sacerdoti: pascite qui in vobis est gregem Dei, providentes non coacte, sed spontanee secnndum Deum, neque turpis lucri gratia, sed voluntarie; neque ut dominantes in cleris, sed forma facti gregis ex animo [10].

FULGORI DELLA
DIOCESI DI ROMA

La seconda lettera è meno vivace e colorita della prima, trattenendosi sopra materie in discussione, errori da correggere, falsi maestri da evitare.

Non manca però di un tocco di umano sentimento, là dove Pietro dice certo quod velox est depositio tabernaculi mei, e promette di ricordarsi dei suoi fedeli anche poi. Dabo operam et frequenter habere - vos post obitum meum, ut horum memoriam faciatis [11].

Venerabili Fratelli e diletti figli!

Fra l'altro, S. Pietro in questa sua seconda Lettera, al capo terzo, versetto otto, dice: una cosa non dimenticate, o carissimi, che un giorno solo presso il Signore è come mille anni: e mille anni sono come un solo giorno.

Questo accenno ci torna improvviso all'orecchio qui sul termine di questo colloquio, che Ci piacque tanto di poter avere, come di tutte le sollecitudini, del resto tranquille, che Ci importarono la preparazione e la celebrazione del Sinodo Romano.

La coscienza dell'umile successore di S. Pietro quale Vescovo di Roma, che si tiene sempre aperta innanzi al Signore nella intenzione di compiere il suo buon servizio, innanzi tutto nella sua diocesi — servus servorum Dei — valendosi della collaborazione di tante anime egualmente bene ispirate dalla dottrina e dalla grazia celeste, sa di poter dire che l'iniziativa del Sinodo Romano, quanto alla sua attuazione, fu veramente benedetta. Questa la ragione che Ci suggerì il convegno odierno, a distensione del nostro spirito riconoscente: dixi et liberavi animam meam.

Il Sinodo celebrato comporta ancora un buon lavoro complementare, che Noi seguiremo passo passo, non impazienti, ma attenti a cogliere ogni circostanza che la Provvidenza vorrà offrirCi per corrispondere alla buona volontà di tutti, ai desideri delle anime più delicate, alle presenti necessità della diocesi Nostra, al di là e al di sopra del risentimento per alcune parole precipitose, che talora mettono confusione e incertezza nei cuori timidi e deboli.

Il Sinodo è fatto, diletti figli, celebrato e promulgato. Ora pensiamo, com'è naturale, che la sua attuazione non dipende tanto da Commissioni di vigilanza — che pur meritano il loro posto di lavoro e di rispetto — quanto dalla coscienza di ciascun sacerdote. Per parte Nostra — amiamo ripeterlo — Noi Ci siamo ormai volti con serena speranza di perfetta riuscita all'impresa grande del Concilio, e preghiamo Iddio di concedere anche a voi questa stessa fiducia. E l'avrete, diletti figli, nella misura che saprete valutare il potentissimo aiuto, che dalla applicazione delle Costituzioni sinodali può venire ai singoli membri del clero, alle comunità religiose, agli istituti di cultura superiore e di educazione ecclesiastica, alle parrocchie. Le diocesi del mondo guardano a Roma, al Papa, ai suoi collaboratori, dai più alti ai più modesti, alla diocesi sua. Non deludiamo l'ansia del pellegrino che volge i suoi passi verso questa città benedetta; non rifiutiamo il compito che ci viene offerto di essere come gli araldi del Concilio Vaticano II: araldi per lo spirito di fede, di pietà sincera, di ordine e di pace.

AVVINCENTE TESTIMONIANZA
DI PIO IX

Diletti figli! Sì, da mesi, il Papa dà alcune delle sue ore subsecivae alla storia degli ultimi Concili, con speciale riferimento al Vaticano I, ed in questa giornata, sentendo intorno alla Nostra umile persona gli echi di tante buone parole di augurio per la continuazione della lunga vita che il Signore Ci ha concesso, pensiamo al venerato predecessore Nostro Pio IX di gloriosissima e santa memoria, che appunto all'età Nostra esatta, sul finire del suo 79° anno, e sull'inizio dell'anno 80°, come accade a Noi in quest'ora, si accingeva alla apertura immediata del Concilio Vaticano, che tanto beneficio nell'ordine spirituale e pastorale doveva apportare e portò alla Chiesa Cattolica nel mondo intero.

Diletti figli ! Da tempo amiamo applicare a Noi stessi quanto diceva di sé il Cardinale Federigo Borromeo [12]: Dio conosce i miei mancamenti e quello che ne conosco anch'io, basta a confondermi. Ed è per questo che anche nella circostanza dell'80° vi preghiamo di lasciarci quasi nell'ombra del grande Nostro predecessore Pio IX, di cui amiamo leggervi una testimonianza che teniamo nelle Nostre note personali. La sua salute è perfetta — scriveva Luigi Venillot —. Egli conversa con tanta finezza che bontà. Il suo occhio riconosce sempre i suoi amici nella folla, ed ama dire di averli veduti qua e là. La sua mano, che pure sostiene una così gran parte di peso del mondo, non trema affatto.

Il suo orecchio ascolta e comprende il cuore commosso di rispetto e di amore di chi gli parla a bassa voce. Il suo spirito è presente a tutto, e ricorda tutto, tranne le ingiurie » [13]. Su questi ricordi, e su questo lontano ma tanto attuale incoraggiamento a perfezione di vita sacerdotale per Noi e per voi tutti, poniamo termine al Nostro colloquio ed in augurio paterno a corrispondere sempre alla grazia del Signore, vogliate accogliere per voi e per le anime alle vostre cure affidate la Nostra grande Apostolica Benedizione.

 


* AAS 52 (1960) 967-979.

[1] Ex Liturgia: Seq. « Landa Sion ».

[2] Luc. 10. 28.

[3] Cfr. Ezech. 2, 8 - 3, 3.

[4] Ps. 118, 1, 161, 175-176.

[5] Ps. 16, 3-4.

[6] Lib. III in Matth. c. 19

[7] Matth. 11, 28-80.

[8] Cfr. 1 Cor. 13. 1-13.

[9] Cfr. 2 Petr. 3, 15-16.

[10] 1 Petr. 5, 1-3.

[11] 2 Petr. 1, 14-15.

[12] Manzoni, I promessi sposi, cap. XXVI.

[13] Louis Venillot, Rome pendant le Concile, c. II, pag. 366, ed. Lethielleux, Paris 1927.

 



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