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[ IT  - LA ]

LEONE XIII

LETTERA

AL CARDINALE ARCIVESCOVO DI PARIGI*

 

Diletto Figlio Nostro, salute ed Apostolica benedizione,

La vostra lettera, piena dei sentimenti del più filiale attaccamento e della più sincera devozione verso la Nostra persona, ha recato dolce conforto all'animo Nostro, contristato da una recente non lieve amarezza. Voi comprendete che nulla Ci potrebbe riuscire più sensibilmente penoso che il vedere turbato fra i cattolici lo spirito di concordia, scosso quel tranquillo riposo, quell'abbandono fiducioso e sottomesso, proprio dei figli, nella paterna autorità che li governa. E però anche al solo manifestarsi di ciò qualche segno, non possiamo non commuoverci grandemente e non pensare subito a prevenire il pericolo. Così la recente pubblicazione di uno scritto, venuto d'onde meno si sarebbe dovuto aspettare e che voi pure deplorate, il romore che si è fatto intorno al medesimo, i commenti cui ha dato luogo, Ci consigliano di non tacere sopra di un argomento, che se può essere ingrato, non è per questo meno opportuno, sia in Francia, sia altrove.

Per certi indizii che si osservano non è difficile raccogliere che tra' cattolici, forse per vizio de' tempi, vi sono di quelli che non contenti della parte di sudditi che loro spetta nella Chiesa, credono di poterne avere qualcuna anche nel governo di essa; o se non altro stimano che sia loro permesso di esaminare e di giudicare a lor modo gli atti dell'autorità. Sarebbe questo, se prevalesse, un gravissimo sconcio nella Chiesa di Dio, nella quale, per manifesta volontà del divino suo Fondatore, si distinguono, nel modo più assoluto, due parti, la discente e la docente, il gregge e i Pastori, e tra i Pastori uno ve ne ha che di tutti è il Capo e il Pastore supremo. Ai soli Pastori fu dato ogni potere di ammaestrare, di giudicare, di reggere; ai fedeli fu imposto il dovere di seguire gli insegnamenti, di sottomettersi docilmente al giudizio, di lasciarsi governare, correggere e condurre a salute. Così è di assoluta necessità che i semplici fedeli sottostiano di mente e di cuore ai proprii Pastori, e questi con essi al Capo e Pastore supremo: ed in questa subordinazione e dipendenza sta l'ordine e la vita della Chiesa; in questa è riposta la condizione indispensabile di bene operare e di riuscire a buon porto. Per contrario, che i semplici fedeli si attribuiscano autorità, che la pretendano a giudici e a maestri ; che gl' inferiori, nel governo della Chiesa universale, preferiscano o tentino di far prevalere un indirizzo diverso da quello dell'autorità suprema, è un rovesciare l'ordine, è portare in molti spiriti la confusione, è uscire fuori di strada.

Nè fa d' uopo, per mancare a dovere così sacrosanto, fare atto di manifesta opposizione, sia ai Vescovi, sia al Capo della Chiesa: basta anche quella opposizione che si fa con modi indiretti, tanto più pericolosi, quanto si procura di volerli meglio occultare con contrarie apparenze. — Come pure vien meno a questo sacro dovere chi nel tempo stesso che si mostra geloso del potere e delle prerogative del Sommo Pontefice, non rispetta i Vescovi uniti con Lui, o non fa debito conto della loro autorità, o ne interpreta sinistramente gli atti e le intenzioni prevenendo il giudizio della Sede Apostolica. — Similmente è argomento di sommissione poco sincera stabilire come un'opposizione tra Pontefice e Pontefice. Quei che, tra due diversi indirizzi, schifano il presente per attenersi al passato, non danno prova di obbedienza verso l'autorità che ha il diritto e il dovere di guidarli: e sotto qualche aspetto rassomigliano a coloro che, condannati, vorrebbero appellare al Concilio futuro o ad un Pontefice meglio informato. Ciò che a questo riguardo si ha da ritenere si è che, nel governo generale della Chiesa, salvi gli essenziali doveri, imposti a tutti i Pontefici dall'Apostolico officio, è riservato a ciascuno di seguire quella maniera, che secondo i tempi e le altre circostanze Egli reputa la migliore. Di ciò Egli solo è il giudice ; avendo per questo non solo lumi speciali, ma anche la conoscenza delle condizioni e dei bisogni di tutta la cattolicità, ai quali conviene che si attemperi l'Apostolica sua provvidenza. Egli ha cura del bene universale della Chiesa, a cui è ordinato il bene delle parti : e tutti gli altri, che a tale ordine sottostanno, devono secondare l'azione del reggitore supremo e servire al suo scopo. Come una sola è la Chiesa ed unico ne è il Capo, così uno solo è il governo a cui tutti hanno da conformarsi.

Dall'oblio di questi principii avviene che si sminuisca nei cattolici il rispetto, la venerazione e la fiducia verso chi fu dato loro per guida; e che si rallenti quel vincolo di amore e di sudditanza, che tutti i fedeli deve stringere ai loro pastori, fedeli e pastori al Pastore supremo ; nel qual vincolo sta principalmente riposta la comune incolumità e salvezza. — Parimente, dimenticati o posti in non cale questi stessi principii, rimane aperta la più larga via alle divisioni e ai dissidii tra i cattolici, con detrimento gravissimo dell' unione, che è il distintivo dei fedeli di Gesù Cristo; e che sempre, ma in modo speciale al presente, per la collegata potenza di tutti i nemici, dovrebbe essere il supremo ed universale interesse, in faccia a cui converrebbe che tacesse ogni sentimento di personale soddisfazione e di privato vantaggio.

Il qual dovere, se generalmente incombe a tutti, nella più rigorosa maniera incombe agli scrittori di giornali, i quali, ove non fossero animati da questo spirito docile e sottomesso, tanto necessario ad ogni cattolico, contribuirebbero a diffondere ed aggravare gl' inconvenienti che si deplorano. Il compito che loro spetta, in tutto ciò che tocca gl'interessi religiosi e l'azione della Chiesa nella società, si è di sottostare pienamente, d'intelletto e di volontà, come tutti gli altri fedeli, ai proprii Vescovi od al Romano Pontefice; di seguirne e ripeterne gl'insegnamenti; di secondarne di pieno volere l'impulso; di rispettarne e farne rispettare le disposizioni. Chi facesse diversamente per servire alle mire e agli interessi di coloro, di cui in questa lettera abbiamo riprovato lo spirito e le tendenze, fallirebbe alla nobile sua missione, e invano si lusingherebbe di far così il bene e la causa della Chiesa, non meno di chi cercasse di attenuare o dimezzare la verità cattolica, o se ne facesse troppo timido amico.

A discorrere di tali cose con voi, diletto Figlio Nostro, oltre l'opportunità che esse possono avere in Francia, Ci ha consigliato anche la conoscenza che abbiamo dei vostri sentimenti e la maniera con cui, anche in momenti e condizioni difficilissime, avete saputo condurvi. Fermo sempre e coraggioso nella tutela degl'interessi religiosi e dei sacri diritti della Chiesa, li avete, anche in una recente occasione, virilmente sostenuti e colla vostra parola, luminosa e potente, pubblicamente difesi. Ma colla fermezza avete saputo sempre accoppiare quella maniera serena e tranquilla, degna della nobile causa che propugnate; e vi avete recato sempre un animo libero da passione, pienamente sottomesso alle disposizioni della Sede Apostolica, e alla Nostra persona interamente devoto. Ci è grato di potervi dare una novella testimonianza della Nostra soddisfazione e singolarissima benevolenza, dolenti solo di sapere che la vostra salute non sia quale Noi ardentemente la desidereremmo. Facciamo fervidi voti e continue preghiere al cielo perchè ve la ridoni buona, e tale lungamente ve la conservi. E in pegno dei divini favori, che copiosi chiamiamo sopra di voi, impartiamo dal più intimo del cuore a voi, diletto Figlio Nostro, a tutto il vostro Clero e popolo l'Apostolica Nostra benedizione.

Dato a Roma, presso san Pietro, il 17 giugno 1885, anno ottavo del Nostro Pontificato.

 

LEO PP. XIII


*ASS, vol. XVIII (1885), pp. 3-9.



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