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LEONE XIII

ALLOCUZIONE

PROSSIMI, COME SIAMO

 

 Ai Cardinali di Santa Romana Chiesa nella solenne ricorrenza della nascita del Signore.
Il Papa Leone XIII
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Prossimi, come siamo, all’anno giubilare della Nostra episcopale consacrazione, e compresi però più che mai dal pensiero del conto da rendere al Pastore eterno delle anime, ben vorremmo che Iddio pietoso s’inchinasse a benedire, avverandoli, gli odierni auguri del sacro Collegio, massime in quella parte che non riguarda alla persona Nostra direttamente, ma sì all’alto ministero, di cui siamo investiti. Al quale quando piacesse al Signore di concedere quella fecondità di frutti, che Ci fu poc’anzi augurata, sarebbe raggiunto il sommo de’ Nostri propositi, e conseguita la più salda corona che desiderar si possa alle cure travagliose di un pontificato già lungo. Ma se incombe a Noi l’opera di piantare e irrigare, quella ben altrimenti maggiore di far sì che la semente fruttifichi appartiene tutta a Dio, che ne riserba a sé il come e il quando. Intanto, ella, Signor Cardinale, lo ha detto: la tempesta ingrossa. E tant’è: chi per poco guardi dal lato morale e religioso l’Europa contemporanea, è purtroppo visibile l’infuriare di una procella gravida di disastri e rovine: rovine e disastri che non avranno termine né ristoro efficace, se non mediante la riparatrice virtù di quella medesima istituzione divina, che è fatta sconsigliatamente segno alle maggiori offese.

Tra siffatte vicende, memori del mandato che diè Gesù Cristo al beato Pietro e agli Apostoli, euntes … docete omnes gentes, Noi stendiamo le Nostre sollecitudini alla salute delle genti universe. Ma debito di ministero e schietta carità di patria Ci trassero novellamente a volgere in particolar guisa lo sguardo alle condizioni morali della nostra Penisola, dove sotto le ceneri ancor fumanti dei rivolgimenti politici, si agitano propositi esiziali alle anime, e ciò più di tutti per fatto di una setta malvagia, che non è, e non sarà mai amica vera del popolo, perché nemica di Dio. Togliemmo altre volte a svelare le cupe mire e le arti astute della società massonica: ma nondimeno Ci è parso buono levar di nuovo al medesimo proposito in questi ultimi giorni la voce, visto che la rea setta ha ognora libero il campo a pervertire menti e cuori, ostinata e caparbia come lo spirito del male che l’ha partorita. Essa per fermo men funesta riuscirebbe, quando altri argomenti non avesse che le proprie forze; ma trova purtroppo in chi regge favore e sostegno, a grande sventura di una nazione non pur battezzata, ma da Dio benedetto privilegiata fra tutte.

Questa nazione, doppiamente cara al Nostro cuore, procacciate pure di farla prospera e grande: spronatela quanto v’aggrada a camminar del paro co’popoli più culti verso ragionevoli incrementi civili: ma deh! non toccate la sua fede e gl’istituti che la avvivano, non tradite questo retaggio sacrosanto a mano di una setta profanatrice delle ragioni di Cristo redentore. E ciò maggiormente perché se da un lato essa muove guerra spietata all’ordine spirituale, percuote e scalza dall’altro, per filo di logica, le fondamenta dell’ordine civile. Giacché, sarebbe vano il negarlo, le dottrine e gl’influssi massonici, rimosso ogni freno di religione, sono un gran fomite alle immoderate voglie novatrici delle plebi.

Havvi sì un riscatto, conforme a ragione e a giustizia, meritamente reclamato dalle classi men fortunate: ma non alludiamo a questo: alludiamo bensì a quel movimento intellettuale e popolare che col favore della setta va propagandosi di contrada in contrada anche fra Noi, indirizzato a demolire i presenti ordini pubblici coll’intento di rifarne altri da capo sopra nuove basi. Ebbene, in mezzo a tali perigli, quando vanno facendosi più minacciose le cupidigie dei partiti eccessivi, è doloroso a vedere come si prosegua a nimicare la Chiesa, a diffidare di questa madre de’ popoli redenti. Eppure l’azione sua, essenzialmente destinata a santificare gl’individui, non può essere che guarentigia di ordine e presidio di sicurezza agli Stati. Ripudiarla dunque, o menomarne la libertà, non è senno politico: disconoscerne i benefizi, è ingratitudine.

Comunque sia, la Sposa di Cristo non è nuova alle ingratitudini umane; e consapevole de’ doveri e dei diritti che tiene dall’alto, compie serena e tranquilla il faticoso suo pellegrinaggio, curando amorosamente di ravviare e illuminare gli individui e i sodalizi umani, che ella vuol salvi nel tempo e nell’eternità.

Quanto a Noi, in quest’opera di salvezza seguiremo ad impiegare, fin che sarà in piacere del cielo, tutti i mezzi che Iddio Ci ha posti in mano: il ministero della parola, l’altezza del grado, l’autorità del comando, l’inflessibilità del dovere, tutto ripromettendoci non dalle poche forze Nostre, ma da quella virtù sovrumana, che da diciannove secoli va operando la salute in mezzo alla terra, e che non è mutata, né è mutabile.

Che Iddio onnipotente degni frattanto, come Noi umilmente lo supplichiamo, di spandere copiose le sue benedizioni su Roma e sul mondo, richiamando le umane generazioni a sani propositi e a sensi pacifici, Egli che, nascendo secondo la carne, volle essere vaticinato col titolo di Principe della pace.

Vivamente grati al Sacro Collegio per gli amorevoli sentimenti che Ci ha significati, gli auguriamo in ricambio ogni più desiderabile bene, e impartiamo a ciascun membro di esso, come pure ai Vescovi, ai vari Prelati e a tutti qui presenti, l’Apostolica Benedizione.

 



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