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Bush e Auschwitz

Il bombardamento mancato

 

Anna Foa

Sessantatré anni dopo il 27 gennaio 1945, quando le truppe sovietiche liberarono Auschwitz, un presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, ha ammesso pubblicamente quello che molti storici e una parte dell'opinione pubblica hanno continuato a ripetere nel corso degli anni:  che nel 1944 gli americani avrebbero dovuto bombardare Auschwitz.
Per valutare appieno la portata dell'affermazione di Bush, dobbiamo sfatare alcuni luoghi comuni. Uno dei quali è che all'inizio del 1944 ancora non si sapesse nulla, o si sapesse assai poco, dello sterminio degli ebrei europei, che le diplomazie dei paesi neutrali e degli Alleati fossero all'oscuro di quello che stava avvenendo nei campi. In realtà, le cose non stanno così. Fin dal 1942 informazioni e rapporti anche assai dettagliati, spesso trasmessi in condizioni molto rischiose, arrivarono alla Croce Rossa, ai paesi neutrali, alla Santa Sede, alle cancellerie degli Alleati. Molte di queste notizie non furono sul momento credute. Ma nel 1943, tutti i Governi sapevano.
L'altro luogo comune da demolire è che il bombardamento di Auschwitz non avrebbe cambiato la sorte degli ebrei. A quella data, il campo era al massimo del suo funzionamento ed era divenuto il principale luogo di sterminio degli ebrei europei. Anche solo il bombardamento pesante e prolungato delle linee ferroviarie che portavano ad Auschwitz i deportati, per non parlare di quello delle camere a gas e dei crematori, avrebbe molto probabilmente determinato il blocco della macchina dello sterminio. Senza questa macchina, lo sterminio sarebbe andato certo più a rilento. Una gran parte del mezzo milione di ebrei ungheresi deportati ad Auschwitz nell'estate e poi nell'autunno del 1944, si sarebbe probabilmente salvata.
In realtà, la ragione per cui il presidente Roosevelt e i vertici militari statunitensi, come quelli britannici, non bombardarono Auschwitz, non è la presunta inutilità dei bombardamenti, ma una ragione più generale:  la salvezza degli ebrei non aveva la priorità rispetto alla gestione generale della guerra. Che i due obiettivi entrassero realmente in conflitto, cioè che il bombardamento di Auschwitz potesse deviare risorse ed energie dalle operazioni militari, è tutto da dimostrare.
Ma certo è che, lungi dall'essere un fatto marginale, un bombardamento di Auschwitz, motivato pubblicamente dalla necessità di interrompere lo sterminio degli ebrei in atto, avrebbe avuto un valore morale e politico fortissimo. Avrebbe introdotto consapevolmente nel linguaggio pubblico e politico degli Alleati la questione dello sterminio degli ebrei, che era tanto centrale nella politica hitleriana. Avrebbe rotto il silenzio su quello che stava avvenendo nei campi di sterminio, dato alla guerra una motivazione etica incomparabile, costretto alla consapevolezza l'intera Europa. Non avrebbe solo salvato oltre mezzo milione di vite, ma avrebbe cambiato il corso della storia.
Ora, a Yad Vashem, un presidente americano compie così lo stesso gesto che portò Willy Brandt a inginocchiarsi nel ghetto di Varsavia:  fare mea culpa. Brandt per i crimini della Germania nazista, Bush per le scelte sbagliate del suo Paese.

 

(© L'Osservatore Romano 13 gennaio 2008)