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Africa, il paradosso
di un'economia
basata sulla guerra

 

di Antonio Chilà


Da quasi mezzo secolo, da quando cioè la maggioranza degli Stati africani ha ottenuto l'indipendenza, guerre, guerriglie, siccità, carestie, fame e malnutrizione imperversano sul continente. In Africa la prosperità di pochi stride con la disperazione di molti, vittime delle epidemie, delle dittature, della violenza politica, degli scontri armati ed etnici, dell'analfabetismo e degli esodi quasi biblici. Le strutture degli Stati soccombono. Le scuole, gli ambulatori, gli ospedali e le strade sono insufficienti. La legge non è più rispettata. La corruzione dilaga. L'economia è distrutta.
Il Nord industrializzato acquista sempre meno prodotti africani. L'Africa non ha i mezzi necessari a comperare i beni o i servizi del Nord. Le industrie occidentali, invogliate da una manodopera che è la meno costosa al mondo, sarebbero allettate ad impiantare fabbriche sul suolo africano, ma la mancanza di strade, di telecomunicazioni e, soprattutto, l'instabilità socio-politica, le trattengono dall'investire capitali.
Per queste carenze, i costi delle industrie sono più alti in Africa del cinquanta per cento rispetto a quelle asiatiche dove i profitti sono nove volte superiori. Il prezzo delle materie prime, rappresentanti il novantaquattro per cento delle esportazioni africane, è diminuito su tutti i mercati mondiali.
Le gravissime condizioni economiche inducono i vari governanti a chiedere all'occidente l'invio di aiuti per sopperire all'emergenza. Ma l'emergenza dura da molti anni e l'aiuto umanitario non è più un'eccezione. È la regola. E non si deve dimenticare che l'aiuto umanitario forma ormai un mercato:  secondo la Croce rossa internazionale ha fatturato nell'ultima decade più di dieci miliardi di dollari.
La popolazione africana, dal 1968 ad oggi, è più che raddoppiata. In venticinque città si registra la più alta crescita demografica del mondo. Non altrettanto è avvenuto per la produzione agricola diminuita per le politiche, suggerite o imposte, dai Paesi occidentali; per le guerre, le guerriglie, la desertificazione e la siccità. Migliaia di contadini hanno abbandonato la terra e si sono rifugiati nelle bidonvilles che attanagliano le città. Le terre coltivabili sono abbandonate e quelle che ancora sono coltivate sono sfruttate con mezzi non moderni. Occorre, entro il 2010, modernizzare i mezzi di produzione ed aumentare da dieci a venti milioni di tonnellate annue il raccolto dei cereali per evitare di vedere sprofondare il continente nero nelle "tenebre".
Gli abitanti delle città aumentano giorno dopo giorno per l'esodo rurale e per i profughi e gli sfollati provenienti dalle zone di guerra. È stato calcolato che durante i prossimi due decenni circa cinquecento milioni di contadini si installeranno nei centri urbani.
La crisi sembra insuperabile. Gran parte delle colpe del sottosviluppo sono imputate alle politiche economiche imposte ai vari Governi dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale. Gli aggiustamenti finanziari richiesti dai due organismi hanno determinato drastici tagli ai bilanci destinati all'educazione, alla sanità e all'edilizia. In pratica, un sistema di per se stesso fragile è stato compromesso. La stessa Banca mondiale ha dovuto riconoscere che gli interventi "hanno lasciato molto a desiderare" e che "il reddito per abitante è aumentato di poco, ad un ritmo che non consentirà una rapida diminuzione della povertà".
Oggi, l'economia africana sembra reggersi - e non è un paradosso - sulla guerra. L'Africa, di guerre, ne ha subito e continua a subirne molte. Le armi e gli armamenti sono pagate con le risorse minerarie, con le concessioni di sfruttamento di giacimenti.
Ma, nonostante tutto, l'Africa non è soltanto dolore, povertà, sfruttamento, morte, miseria, fame e lutti. L'Africa, dopo il crollo del muro di Berlino, conosce finalmente il "vento del cambiamento" tanto auspicato dall'allora Premier britannico Harold Macmillan quando, nel 1960, molti Stati africani ottennero l'indipendenza dalle potenze coloniali. In molti Paesi si sono svolte elezioni e si sono attuate riforme democratiche, ma la democrazia è ancora fragile. Manca una vera e propria cultura democratica. Il monopartitismo ha impedito di acquisire una conformazione politico-culturale pluripartitica. "Il sistema pluripartitico - avvertiva Onya Bertin, alto commissario del Burkina Faso - è un modo per ottenere il consenso nazionale e interessare tutti alle cose del Paese. Ma, attenzione! Se mal condotto, anche il multipartitismo può sfociare in tribalismi e fanatismi". Multipartitismo. Parola magica che corre di bocca in bocca in tutta l'Africa. Milioni di africani credono che la libertà politica possa lenire decenni di sofferenze. Ma il multipartitismo se non è ancora riuscito ad eliminare le piaghe del continente, soprattutto le guerre e la fame, segna un traguardo nel cammino democratico di gran parte dei Paesi africani.

 

(© L'Osservatore Romano 21 febbraio 2008)