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Il cardinale Delly esorta l'intero Paese alla riconciliazione e invita i cristiani a perdonare i sequestratori

 

La morte dell'arcivescovo Rahho
ferisce tutto l'Iraq

 

di Francesco Ricupero


Pace, fratellanza e amore. Queste le parole pronunciate ripetutamente dal patriarca di Babilonia dei Caldei, il cardinale Emmanuel III Delly, durante i funerali di monsignor Paulos Faraj Rahho nella chiesa di Mar Addai, gremita da migliaia di persone che hanno voluto dare l'ultimo saluto all'arcivescovo di Mossul dei Caldei.
"È stata una celebrazione commovente - ha ricordato all'Osservatore Romano, il nunzio apostolico in Giordania e in Iraq, l'arcivescovo Francis Assisi Chullikatt - vedere tanta gente piangere per la perdita di un grande pastore. È come se tutti fossero rimasti orfani del padre. Un uomo che ha speso la sua vita per il dialogo, la pace e la riconciliazione. E il cardinale Delly lo ha sottolineato più volte".
Il patriarca di Babilonia dei Caldei ha parlato dell'importanza di tenere uniti gli iracheni. L'Iraq - ha detto - è una grande famiglia che comprende tutti gli iracheni:  sciiti, sunniti, cristiani e anche coloro che non professano nessuna religione. La tragica morte dell'arcivescovo Rahho, quindi, non riguarda solo i cristiani, ma l'intero Paese. Il sacrificio di monsignor Rahho non deve provocare nessuna divisione nella famiglia irachena che deve restare unita. Il cardinale Delly ha esortato i cristiani ad assumere il compito di promuovere la pace e la riconciliazione in Iraq. Ha chiesto di pregare per coloro che hanno causato la morte di monsignor Rahho, del suo autista e delle due guardie del corpo. Chiaro l'invito del patriarca a non considerare dei nemici i sequestratori.
Nella sua omelia, il patriarca ha evidenziato le attività pastorali di monsignor Rahho. L'arcivescovo di Mossul, secondo il cardinale, ha interpretato al meglio i bisogni e le aspirazioni dei fedeli. Ancora vivo il suo impegno pastorale svolto con fedeltà e dedizione alla Chiesa. La promozione per le vocazioni, il suo fervore per l'apostolato giovanile gli hanno consentito di essere amato da molti giovani, gli stessi che ieri sera a Karamles e in altri villaggi cristiani hanno pregato per lui. L'arcivescovo Rahho ha lavorato bene nel campo caritativo. Molto vicino ai disabili che assisteva personalmente. Infine, il patriarca ha ringraziato coloro che sono stati vicini alla Chiesa con messaggi e lettere di solidarietà, in particolare, Papa Benedetto XVI.
Più volte il cardinale Delly non è riuscito a trattenere la commozione fino alle lacrime.
"Non c'è dubbio che monsignor Rahho è un martire - aggiunge il nunzio apostolico Chullikatt - e spero che questo sacrificio possa servire per attirare l'attenzione del mondo intero alla crisi irachena. Proprio il 20 marzo ricorrono i cinque anni dall'invio delle truppe Usa in Iraq, ma questo non deve servire a ricordare una data e basta, ma deve far riflettere l'opinione internazionale. Non si deve abbassare la guardia, altrimenti la situazione diventerà più difficile da gestire, soprattutto per noi cristiani, che siamo una minoranza. Anche se molti sono tentati di scappare dobbiamo fare in modo di trattenerli e convincerli che con la fede e l'amore di Dio tutto potrà ritornare come prima. La morte di monsignor Rahho non deve scoraggiarci".
Martedì prossimo, nella chiesa del Sacro Cuore di Baghdad sarà celebrata una messa in suffragio dell'arcivescovo. Saranno presenti i capi di tutte le comunità cristiane che erano presenti al rito funebre. La celebrazione sarà presieduta dal cardinale Delly.
Intanto, non si hanno ancora notizie certe sulle cause della morte di monsignor Rahho. L'autopsia, eseguita in fretta poiché il corpo era parzialmente decomposto, non ha ancora chiarito le dinamiche del decesso. "L'unica cosa certa - conclude il nunzio Chullikatt - è che quando una persona viene sequestrata subisce violenze di ogni tipo. Tutte le vittime sono costrette a subire la stessa sorte. Non escludo che anche il povero arcivescovo durante la sua prigionia sia stato maltrattato. Tutto questo, insieme alle precarie condizioni di salute, avranno accelerato la sua tragica morte".

 

(© L'Osservatore Romano 16 marzo 2008)