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Scelte politiche e rincaro del cibo

 

Il diritto all'alimentazione
minacciato
da interessi di parte

 

di Simona Beretta
Docente di politiche economiche internazionali
Università Cattolica del Sacro Cuore


Ci sono alcuni elementi paradossali nella vicenda del rincaro dei prodotti alimentari e nelle sue drammatiche conseguenze sulla possibilità di accesso al cibo. Conviene innanzitutto ricordare che malnutrizione e fame non sono dovute alla mancanza di cibo in senso assoluto. La quantità di alimenti prodotta globalmente è infatti sufficiente a sfamare la popolazione mondiale. Gli studi su fame e malnutrizione mettono invece in evidenza la questione dell'accesso concreto ai prodotti alimentari, limitato da fattori economici - come l'estrema povertà - e talvolta culturali. Le bambine in talune aree sono ad esempio discriminate negativamente nella distribuzione del cibo. Il problema è complicato e difficilmente governabile, ma la complessità non può mai essere un alibi per non intervenire.
L'osservazione più elementare è che i prezzi più alti favoriscono i produttori e danneggiano i consumatori. Nel caso dei prodotti agricoli, una lunghissima fase di prezzi molto bassi a livello mondiale ha impoverito gli agricoltori dei paesi in via di sviluppo, ha creato sacche di estrema povertà rurale e ha presumibilmente contribuito alla crescita smisurata delle periferie delle grandi città. Guardando alle terribili condizioni di vita in queste periferie, possiamo solo immaginare da quale situazione di disagio fossero fuggiti coloro che oggi le abitano.
Che cosa ha tenuto basso il prezzo dei prodotti agricoli per tanti anni? E per quali ragioni ha subito un rialzo così importante in tempi relativamente recenti?
La risposta alla prima domanda è piuttosto facile:  i prezzi agricoli non sono prezzi di mercato perché il settore è stato e rimane oggetto di politiche attive di sostegno da parte di tutti i grandi paesi industriali. La produzione agricola sussidiata dei paesi ad alto reddito ha mantenuto artificiosamente bassi i prezzi mondiali. Con effetti devastanti sugli agricoltori dei paesi a basso reddito. A prima vista, bassi prezzi del cibo costituiscono una condizione di favore per i paesi poveri importatori, ma in realtà le importazioni tendono a spiazzare la produzione locale e a modificare permanentemente l'intera struttura produttiva e sociale del paese ricevente. La riduzione dei sussidi all'agricoltura nei paesi sviluppati aprirebbe invece le possibilità di esportazione da parte dei paesi poveri a vocazione agricola. In questo senso, se adeguatamente accompagnato da politiche di sostegno rurale nei paesi importatori di cibo, il rialzo dei prezzi agricoli mondiali avrebbe potuto ripristinare un'agricoltura locale e autosufficiente.
Una causa del progressivo aumento dei prezzi registratosi negli ultimi due anni è il radicale cambiamento della dieta di intere popolazioni. Cambiamento dovuto all'aumento del reddito. L'introduzione della carne nella dieta base di intere popolazioni presuppone una maggiore richiesta di cereali per l'alimentazione degli animali. Questo è accaduto soprattutto in Cina e in India, che negli anni settanta era il paese della fame per antonomasia. Un secondo - e non certo marginale - motivo del rialzo dei prezzi dei cereali è di nuovo riconducile alla politica economica:  si tratta delle scelte a sostegno dei biocarburanti Il loro pregio sta nel fatto che l'utilizzo, al posto dei carburanti fossili, porta a una riduzione delle emissioni dei gas serra. In un clima di diffusa preoccupazione per la questione ambientale, l'opinione pubblica ha quindi istintivamente appoggiato le politiche di sostegno alla produzione di biocarburanti. Le stime di quante risorse siano state dedicate a questo scopo fanno comprendere l'importanza del fenomeno:  da 13 a 15 miliardi di dollari l'anno nei paesi Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). In pratica, alla produzione di un litro di etanolo corrisponde circa un dollaro di sussidio pubblico nell'Unione europea; 0,4 dollari in Canada e in Australia; 0,3 negli Stati Uniti. Il confronto fra i costi di produzione dei biocarburanti e dei carburanti fossili, in termini di energia equivalente, è imbarazzante e il contributo ambientale modesto, visto che le emissioni di gas serra dei biocarburanti sono solo il 13-18 per cento in meno dei combustibili fossili.
Il rialzo del prezzo dei prodotti alimentari di base non è dunque un rialzo di mercato. È soprattutto il risultato di una serie di interventi pubblici, dettati da diverse motivazioni - anche lodevoli nelle intenzioni - che si sono sovrapposti fino a contraddirsi. Perché è relativamente facile, nei paesi ricchi, introdurre nuove forme di sussidi. Fare marcia indietro è invece politicamente troppo oneroso. Così, il cumulo delle azioni intraprese per perseguire obiettivi particolari porta ad un quadro complessivo costosissimo e irrazionale. Talvolta decisamente negativo.
Le politiche di sostegno ai biocarburanti fanno intuire come il diritto all'alimentazione venga oggi messo a rischio per soddisfare interessi parziali. Bisognerebbe invece che i Governi dei grandi paesi si interrogassero con realismo sugli effetti sistemici delle loro politiche, che troppo spesso rispondono solo a influenti gruppi di pressione.

 

(© L'Osservatore Romano 28-29 aprile 2008)