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La strategia statunitense in Medio Oriente

Afpak, un nuovo teatro
politico e militare


di Giuseppe Fiorentino

Afpak:  bisognerà abituarsi in fretta a questo termine, una sorta di neologismo toponomastico coniato negli ambienti del Dipartimento di Stato e che - con quel gusto tutto americano per le irriverenti sintesi linguistiche - indica, accomunandoli, i territori dell'Afghanistan e del Pakistan. Bisognerà abituarsi presto a sentir parlare di Afpak, perché sarà questo, mentre l'impegno statunitense in Iraq volge al termine, il teatro politico e militare più importante dei prossimi anni.
Obama lo aveva sottolineato ancor prima del suo insediamento, facendo trapelare attraverso la stampa l'intenzione di aumentare di ben trentamila unità il contingente statunitense in Afghanistan. Poi, con la nomina di Richard Holbrooke - l'esperto e intransigente negoziatore a cui si devono gli accordi di Dayton che posero fine alla guerra nella ex Jugoslavia - a inviato in Afghanistan e in Pakistan si è capito che per la nuova Amministrazione statunitense i due Paesi rappresentano un unico territorio di crisi, l'Afpak appunto.
Del resto è ormai chiaro che una vittoria definitiva sui talebani è praticamente impossibile se non verranno eliminati i tanti centri di addestramento, le basi logistiche, i depositi di armi ubicati in quello che ufficialmente è territorio pakistano, ma che in realtà è una vastissima e impervia zona di frontiera di difficile controllo. Non solo militare, ma soprattutto politico. Una sorta di zona d'ombra dove è possibile che ambienti deviati dei servizi di sicurezza di Islamabad - il potentissimo Isi - stringano accordi con la guerriglia antioccidentale allo scopo di destabilizzare la regione in chiave antindiana.
Ma non è solo nella regione della Frontiera del Nord Ovest che i talebani afghani trovano appoggio. L'"International Herald Tribune" ha recentemente reso noto che l'attenzione statunitense si sta focalizzando sulla città di Quetta, capoluogo della provincia del Baluchistan, da dove i leader talebani giocano un ruolo sempre più importante nel fomentare la guerriglia nel sud dell'Afghanistan. Pare che a Quetta lo stesso mullah Omar - il fantomatico leader con la benda sull'occhio - sia impegnato a raccogliere stanziamenti da ricchi finanziatori del Golfo e a provvedere armi e forze fresche per le prime linee in Afghanistan. In realtà che Quetta ospiti esponenti talebani di rilievo non costituisce una novità assoluta. Ma la recrudescenza delle violenze nell'Afghanistan meridionale suggerisce che la loro attività di sostegno alla guerriglia si stia intensificando.
L'Amministrazione americana è anche consapevole che i servizi segreti pakistani hanno fatto ben poco per rispondere alla presenza talebana, a Quetta e altrove. E di questo a Washington non sono contenti. Ormai sembrano lontani i tempi dell'appoggio incondizionato a Musharraf, considerato un prezioso alleato nella lotta della democrazia contro l'estremismo islamico. Obama, in vista del vertice Nato in programma ad aprile in Europa, ha ordinato un riesame della politica statunitense verso il Pakistan in un processo di revisione che riguarda anche l'Afghanistan - ancora l'Afpak - e che, sotto la guida di Bruce Riedel, ex funzionario della Cia, coinvolgerà tutti i dipartimenti e le agenzie federali. Lo scopo è sempre quello di estirpare la minaccia terroristica.
Compito arduo, come ha avvertito Richard Holbrooke durante la recente conferenza di Monaco di Baviera sulla sicurezza. Arduo, ma non impossibile, a patto che le autorità locali collaborino. Un incentivo in questo senso è stato offerto dal segretario di Stato, Hillary Clinton, la quale ha chiaramente detto che gli Stati Uniti taglieranno gli aiuti - soprattutto militari - a Islamabad se non verranno intraprese iniziative reali e soprattutto efficaci contro la presenza talebana nel Paese. Sta di fatto che durante la prima visita compiuta da Richard Holbrooke in qualità di inviato nella regione, il ministro degli Esteri pakistano, Shah Mehmood Qureshi, ha annunciato la nascita di una commissione congiunta contro il terrorismo. Chissà se nelle parole del ministro si può già leggere la volontà di un maggiore impegno da parte pakistana, che per altri versi sembra dimostrata dall'accelerazione delle indagini sugli attentati di Mumbai.
È comunque certo che il messaggio di Holbrooke a Islamabad deve essere giunto forte e chiaro:  si volta pagina. Da ora in poi i rapporti bilaterali saranno improntati a un atteggiamento definito dagli americani tough-love (bastone e carota), che in realtà sembra possa essere applicato anche all'Amministrazione Karzai.
Il presidente afghano - anche egli considerato fino a poco tempo fa un fedelissimo nell'alleanza internazionale contro il terrorismo - pare mostrare una crescente insofferenza verso la presenza occidentale nel suo Paese:  sempre più critico (secondo alcuni osservatori in un'ottica tutta elettorale, in vista delle presidenziali di agosto) verso le operazioni condotte dalle forze Nato sul territorio, ma molto poco propenso ad accettare i rilievi di chi chiede un giro di vite contro la corruzione della pubblica amministrazione. Una corruzione dilagante e che assorbe parte degli aiuti destinati alle popolazioni. Anche Karzai dovrà recepire il messaggio di Holbrooke e rendersi conto, suo malgrado, di essere entrato nell'Afpak. Un'entità geopolitica da non cercare sugli atlanti. Ma che nei prossimi anni affollerà i giornali.

 

(© L'Osservatore Romano 15 febbraio 2009)