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La crisi economica incrina i rapporti

Medvedev e Putin
Clima rigido a Mosca


di Giuseppe M. Petrone

Ormai la Russia, dopo 74 anni di regime comunista, fa parte del mercato mondiale e non potrebbe tornare a chiudersi in se stessa senza subire contraccolpi micidiali. Il Governo che per molto tempo ha respinto l'ipotesi di uno stallo della crescita dell'economia ultimamente ha cambiato toni e si è arreso all'evidenza:  "Stiamo guardando con attenzione - ha detto il premier Putin - ai processi che regolano l'economia mondiale, che siano negativi o positivi, dipendiamo da questi e dobbiamo constatare che la crisi è ben lontana dall'essere conclusa e che non ha ancora neanche raggiunto il suo picco". Comunque "siamo in grado di tenere la situazione sotto controllo e siamo sicuri di poterlo fare" ha aggiunto Putin assicurando che non vi sarà alcuna catastrofe.
Il dissesto finanziario mondiale ha avuto ripercussioni anche sulla giovane democrazia russa, incrinando l'alleanza tra il presidente Dmitri Medvedev e lo stesso premier Putin. Infatti, il Cremlino nelle ultime settimane non ha nascosto le sue critiche al Governo per le inadeguate e lente risposte alla grave crisi economica lasciando trapelare l'inquietudine in oltre cinquecento località in Russia dove più evidenti sono gli effetti del dissesto finanziario internazionale acuito dal crollo del prezzo del petrolio. Medvedev ha sostituito i governatori di quattro regioni particolarmente colpite dalla disoccupazione che, su scala nazionale, lo scorso dicembre ha raggiunto il 7,7 per cento.
Da Mosca la risposta è stata quella di inviare nelle zone della protesta contingenti antisommossa del ministero degli Interni. Un monito ripetuto recentemente da Putin alle autorità locali di esercitare il massimo controllo per evitare disordini. "Non bisogna - ha sottolineato il premier - esitare o avere paura di agire per fermare le proteste illegali organizzate da gruppi politici che perseguono i loro obiettivi mercenari, che vogliono farsi pubblicità speculando sulle difficoltà della gente". Le misure adottate dai Paesi più industrializzati non stanno ancora portando risultati visibili. "Questo significa - ha precisato Putin - che la situazione di crisi può rimanere per tanto tempo".
Per Mosca le dimensioni della disparità che si sono accumulate nell'economia internazionale sono troppo ampie e per intraprendere la strada di una nuova crescita bisogna fare molto insieme ai nostri partner nella comunità internazionale e da soli.
Il nuovo dialogo che sembra sorgere tra i leader di Stati Uniti e Russia, Barack Obama e Dmitri Medvedev, incentrato sul disarmo, il Vicino Oriente, l'Afghanistan, i dossier nucleari di Iran e Corea del Nord, necessita di approfondimenti e compromessi reciproci. Medvedev si attende "proposte concrete" da parte di Obama per risolvere le divergenze sullo scudo antimissile in Europa dell'est. L'Asia è al centro delle attenzioni della nuova Amministrazione statunitense, ma gli accordi economici ed energetici tra Russia, Cina e Giappone, come la costituzione - nell'ambito dei sette Paesi che aderiscono al Trattato Csto (Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakhstan, Tadjikistan, Kyrgyzstan e Uzbekistan) - di una forza armata collettiva di reazione che avrà base a Mosca con l'obiettivo di rispondere a eventuali aggressioni esterne, non sembrano segnali incoraggianti.
Passi avanti, invece, verso la distensione tra Russia e Nato potrebbero giungere dalla riunione dei ministri degli Esteri dell'Alleanza - per la prima volta vi parteciperà il nuovo segretario di Stato americano, Hillary Clinton - dopo la richiesta di una nuova strategia nei confronti del Cremlino fatta da Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi durante il vertice di Roma e dopo la proposta dell'ambasciatore Dmitri Rogozin di tenere un consiglio speciale Nato-Russia sulla questione del Caucaso. La Nato ha, però, nella riunione dei ministri della Difesa di Cracovia, ribadito la condanna per la violazione russa della sovranità territoriale della Georgia. Gli alleati sono inoltre preoccupati per i progetti russi di installare loro basi militari nelle due regioni georgiane separatiste dell'Abkhazia e dell'Ossezia del Sud. L'alto rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza comune dell'Ue, Javier Solana, ha criticato la decisione russa sostenendo che non favorisce la stabilità della regione.
Certamente il regime comunista sovietico non ha lasciato in eredità ai russi una mentalità in sintonia con i valori democratici. Passi avanti incoraggianti sono stati compiuti negli ultimi quindici anni, ma restano ancora ombre sulla giovane democrazia russa. Minacce contro gli oppositori liberali, i magnati riottosi, i giornalisti senza paura:  un duplice delitto eccellente, quello della giornalista di "Novaia Gazeta" Anastasia Baburova e dell'avvocato e difensore dei diritti umani Stanislav Markelov, il 19 gennaio scorso, ha scosso nuovamente Mosca. Si tratta del settimo avvocato ucciso in Russia negli ultimi dieci anni e del quinto giornalista assassinato negli ultimi dodici mesi. Inoltre, l'assoluzione di tutti gli imputati per l'omicidio della giornalista Anna Politkovskaia ha sollevato sconcerto in tutto il mondo. Medvedev ha bacchettato i pubblici ministeri per la loro incapacità di preparare le accuse che reggano davanti alle giurie. "Imparate a lavorare con le giurie - ha detto il leader del Cremlino - senza discutere su come fosse meglio quando questa istituzione non esisteva". Le giurie popolari, introdotte in Russia dopo la caduta del comunismo, tendono ad assolvere molto più spesso rispetto ai magistrati. Il leader del Cremlino ha inoltre lanciato un appello ai procuratori a intensificare la lotta contro la corruzione, l'estremismo che destabilizza la nostra società e la criminalità (oltre duemila omicidi insoluti nel 2008).
La Russia potrà emanciparsi una volta per tutte dall'oppressiva eredità del sistema comunista sovietico e finalmente ricongiungersi all'Europa se, grazie alla spinta innovativa e costruttiva delle ultime generazioni, prenderà corpo una società civile non più dipendente dal potere politico.

 

(© L'Osservatore Romano 4 marzo 2009)