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Le nuove relazioni tra Stati Uniti e Brasile

Lula, Barack Obama
e l'importanza del protocollo


di Giuseppe Fiorentino

Il protocollo ha la sua importanza:  è dunque di rilievo il fatto che sia stato Luiz Inácio Lula da Silva, presidente del Brasile, il primo capo di Stato latinoamericano a essere ricevuto da Barack Obama. In realtà il presidente degli Stati Uniti aveva già incontrato a gennaio il messicano Felipe Calderón, ma non si era ancora insediato alla Casa Bianca. Le cui porte si sono invece aperte per l'ospite brasiliano, mentre a discutere dei modi per arginare le scorrerie delle bande di narcotrafficanti lungo il confine a sud è stata inviata in Messico Hillary Clinton.
Tanta attenzione ha più di una ragione e non costituisce una novità assoluta:  Lula era già stato ricevuto con tutti gli onori da George W. Bush a Camp David. Tra i due Paesi - i veri giganti del continente americano - corre infatti buon sangue, o meglio corrono fiumi di etanolo, il carburante ottenuto dalla distillazione di vegetali di cui Brasile e Stati Uniti sono rispettivamente primo e secondo produttore mondiale. Per sviluppare congiuntamente queste tecnologie energetiche - che hanno suscitato non poche critiche perché sottraggono terreno alle colture agricole a scopo alimentare - è già stato siglato un Memorandum of Understanding.
In realtà, di comprensione gli Stati Uniti ne hanno dimostrata fino a un certo punto nei confronti dell'etanolo prodotto in Brasile. Ogni gallone proveniente dal Paese latinomericano è infatti gravato di un dazio di 54 centesimi al suo ingresso in territorio statunitense. È un provvedimento ufficialmente volto a proteggere i produttori locali i quali, ricavando il carburante dal mais, devono ricorrere a un procedimento più lungo e costoso rispetto ai loro colleghi brasiliani che invece lo ottengono dalla canna da zucchero. E in fondo i dazi imposti contro l'etanolo brasiliano sembrano porsi nell'alveo di quella corrente protezionista che alcuni osservatori hanno intravisto nel Buy American lanciato da Obama a favore della produzione a stelle e strisce ai tempi della crisi. Lula ha chiesto a Obama la tutela delle merci brasiliane, anche perché quella delle esportazioni è la voce più dolente della sua economia toccata solo marginalmente dalla flessione della domanda interna.
C'è da credere che la richiesta di Lula verrà accolta. Le relazioni bilaterali devono infatti rimanere strettissime. Anche nell'interesse di Washington di cui il Brasile è il quinto creditore mondiale. Una posizione in continua ascesa sostenuta - secondo i dati dello scorso mese di gennaio diffusi da Equilibri.net - dal possesso di oltre 133 miliardi di dollari in obbligazioni statali. È a questa riserva che Lula ha fatto riferimento nel suo discorso rivolto ai brasiliani lo scorso Natale per rassicurarli sulla tenuta del Paese davanti alla crisi economica. E a questa riserva dovrà pure fare riferimento l'Amministrazione statunitense nel definire i rapporti con il palazzo di Planalto. Il Brasile è infatti divenuto un soggetto importante sui mercati finanziari mondiali a cui Washington deve guardare con attenzione per il rilancio della propria economia. Non sorprende quindi che nel loro incontro Obama e Lula abbiano definito proposte comuni per il prossimo g20 di Londra, che alcuni vedono come la nuova Bretton Woods.
Ma agli occhi degli statunitensi - di Bush come di Obama - Lula ha un altro, grande merito:  quello di non essere entrato nel novero dei presidenti latinoamericani di sinistra dalle posizioni non proprio filoamericane. È un gruppo capeggiato dal presidente venezuelano, Hugo Chávez, il quale continua tuttavia a fornire l'11 per cento di tutto il petrolio che gli Stati Uniti importano. Proprio in questa chiave le relazioni economiche e politiche tra Stati Uniti e Brasile potrebbero mostrare ulteriori, interessanti sviluppi.
Il Brasile si sta infatti affacciando sulla scena mondiale come grande produttore di petrolio. Nei giorni scorsi il settimanale "Veja" - forse la più autorevole rivista del Paese - ha diffuso la notizia di un invito a entrare nell'Opec. In realtà, anche se cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi cinque anni, la produzione di greggio brasiliana sembra al momento sufficiente a coprire solo il fabbisogno interno. In prospettiva però le cose potrebbero essere ben diverse. Le scoperta di enormi giacimenti off-shore da parte della Petrobras, la compagnia statale, potrebbe fare del Brasile una vera potenza petrolifera capace di entrare davvero nell'Opec e di esportare il suo prodotto. Anche verso gli Stati Uniti che potrebbero così affrancarsi dalla dipendenza dal petrolio di Chávez.
I nuovi rapporti tra Brasilia e Washington potrebbero inoltre svilupparsi in ottica militare, se è vero che, poco prima del vertice tra Obama e Lula, l'ammiraglio Mike Mullen capo delle forze armate statunitensi, ha concordato con il ministro della Difesa brasiliano, Nelson Jobim, una serie di azioni di contrasto contro i traffici di armi e droga che penetrano nel Paese latinoamericano attraverso il confine con la Colombia. Anche in chiave strategica sembra così prendere l'avvio una nuova collaborazione in qualche modo antagonista al progetto di difesa integrata sudamericana sostenuto proprio da Chávez.
Obama sembra quindi aver scelto il Brasile per avviare un nuovo capitolo della presenza statunitense nell'America del Sud, dopo la relativa assenza degli anni di George W. Bush. Ha scelto Lula come interlocutore per promuovere tra i Paesi del subcontinente la nuova immagine che vuole offrire degli Stati Uniti. Si è trattato di una scelta strategica. Ma in qualche modo obbligata.

 

(© L'Osservatore Romano 29 marzo 2009)