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Obama alla Casa Bianca

I cento giorni
che non hanno sconvolto il mondo


di Giuseppe Fiorentino

Milletrecentosessantuno giorni separano Barack Obama dalla scadenza del suo mandato. Non è dato sapere né immaginare cosa accadrà in questo tempo. Molti analisti descrivono infatti il "mestiere" del presidente come reattivo. La strategia politica pianificata lascia cioè il posto - e il caso della presidenza Bush dopo l'11 settembre 2001 lo prova - a scelte dettate dagli eventi.
In un'altra prospettiva, questo 29 aprile segna i cento giorni del primo presidente afroamericano alla Casa Bianca, appuntamento tradizionalmente molto atteso per un iniziale bilancio, seppure inevitabilmente parziale. Fiumi di inchiostro sono però già stati versati su queste settimane che, secondo molti commenti, avrebbero segnato una decisa svolta rispetto al passato e ridefinito l'immagine stessa degli Stati Uniti nel mondo.
Forse proprio la capacità di comunicare è una delle grandi doti del presidente, che richiama quella di Franklin Delano Roosevelt. Come l'artefice del New Deal, Obama utilizza i moderni media - la radio allora, internet oggi - per diffondere il messaggio di speranza di cui la Nazione ha bisogno. Non si può paragonare la grande crisi del 1929 a quella attuale. E tuttavia l'impronta sembra la stessa. Così come la capacità di polarizzare l'attenzione dell'opinione pubblica in modo pragmatico e funzionale.
In questi mesi Obama ha visto crescere la sua popolarità per avere anche solo ventilato scelte di rottura:  ha proposto negoziati diretti con l'Iran per risolvere la questione del programma nucleare di Teheran e invitato la Russia a nuovi colloqui per la riduzione degli arsenali strategici. Soprattutto, ha prospettato un ruolo diverso degli Stati Uniti nel continente americano, arrivando a ipotizzare nuove relazioni con Cuba.
Ma in altri e più concreti scenari internazionali, la continuità rispetto al passato è tutt'altro che compromessa. Come in Iraq, dove l'Amministrazione sta applicando la strategia di ritiro avviata da Bush, e in Afghanistan. Qui - ha dichiarato Obama - si situa la nuova frontiera della lotta contro il terrorismo. Nuova fino a un certo punto, visto che proprio in Afghanistan ebbe luogo il primo intervento militare statunitense dopo l'11 settembre. E che non ci sia tutta questa voglia di discontinuità si vede dalla conferma di Robert Gates alla guida del Pentagono.
Anche quando, aprendo a Cuba, ha infranto un tabù, Obama non si è discostato tanto dai predecessori nella richiesta di tangibili segni da parte dell'Avana.
Analoghe valutazioni si possono fare per l'azione di stimolo economico intrapresa dal presidente. Che da alcuni è accusato di eccessivo statalismo, se non addirittura di far scivolare il Paese verso il socialismo. A un'analisi più pacata, invece, si nota come Obama si sia mosso con cautela:  molto riluttante di fronte all'ipotesi di nazionalizzazione delle istituzioni bancarie, ha aperto ai privati il piano di salvataggio degli istituti di credito. Rivelando, secondo l'"International Herald Tribune", un'inattesa somiglianza con Ronald Reagan, il presidente che fece una bandiera della ritirata dello Stato rispetto al privato. E molto più statalista si era rivelato negli ultimi mesi il binomio Bush-Paulson con la nazionalizzazione parziale dei colossi dei mutui immobiliari, Fannie Mae e Freddie Mac.
Anche sulle questioni etiche - su cui, sin dalla campagna elettorale, forti sono le preoccupazioni dell'episcopato cattolico - Obama non sembra avere confermato le radicali novità che aveva ventilato. Le nuove linee guida riguardanti la ricerca sulle staminali embrionali non danno infatti seguito al cambio di rotta prospettato mesi fa. Esse non consentono di creare nuovi embrioni a scopi di ricerca o terapeutici, per la clonazione o a fini riproduttivi, e fondi federali potranno essere usati solo per la sperimentazione con embrioni in esubero. In questo modo non vengono rimossi i motivi di critica di fronte a inaccettabili forme di bioingegneria che contrastano con l'identità umana dell'embrione, ma la nuova regolamentazione è meno permissiva.
Una certa sorpresa ha inoltre causato in questi giorni la presentazione di un disegno di legge da parte democratica:  il Pregnant Women Support Act volto a limitare il numero degli aborti negli Stati Uniti attraverso iniziative di aiuto alle donne incinte. Non è una negazione della dottrina finora espressa da Obama in materia di interruzione di gravidanza, ma il progetto legislativo potrebbe rappresentare un riequilibrio a sostegno della maternità.
Segnali di novità dell'Amministrazione Obama sono innegabili. Soprattutto in materia di tutela dell'ambiente e nel particolare partenariato che sembra nato con Pechino. Ma è forse poco per parlare di rivoluzione e per sbilanciarsi in giudizi, positivi o negativi che siano. Non sono stati questi cento giorni a sconvolgere il mondo. Meglio aspettare i prossimi milletrecentosessantuno.

 

(© L'Osservatore Romano 30 aprile 2009)