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Il rischio della politica dei tassi zero

Fu vera deflazione?


di Ettore Gotti Tedeschi

Al termine di un'epoca consumistica a debito, anche il risparmio sembra essere considerato come qualcosa di consumabile. Che cioè si può consumare al fine di assorbire gli errori commessi per rendere credibile una crescita economica che non poteva essere sostenuta. Così, per il risparmiatore si pone oggi il problema di come preservare il suo capitale. Ma per chi non vuole assumere più rischi sembra oggi esistere una sola opzione:  perdere. I tassi di remunerazione sono infatti praticamente ridotti a zero. Si dice che ciò è necessario per fronteggiare la crisi. Si dice che è compatibile con la deflazione in atto, in assenza dell'inflazione. Ma è poi vero?
L'inflazione è la misura dell'aumento dei prezzi. Il suo tasso è misurato dalla quantità di moneta sul mercato e dalla velocità con cui essa circola. Oggi la moneta immessa dalle banche centrali (soprattutto negli Stati Uniti e nel Regno Unito) per fornire liquidità agli istituti di credito è tanta, ma la velocità di circolazione è quasi nulla. Ciò è dovuto sia al rallentamento dei consumi, sia al fatto che le banche hanno quasi congelato la liquidità, non rispondendo più al bisogno di credito - attualmente più rischioso - delle imprese. Perciò, nonostante l'esplosione di massa monetaria, non si assiste oggi a fenomeni di inflazione. Secondo molti siamo anzi in presenza di un pericolo ancora maggiore:  la deflazione.
La deflazione è un fenomeno opposto all'inflazione. È la misura della diminuzione dei prezzi. Essa sembra essere il prodotto della sfiducia generalizzata e oggi è legata al recente cambiamento di stile di vita, divenuto meno consumistico, delle persone colpite dalla crisi. Ma per stabilire se siano in atto processi di inflazione, oppure, al contrario, di deflazione, è necessario considerare i dati statistici con attenzione.
L'andamento dei prezzi negli ultimi dodici mesi mostra avvenimenti di carattere straordinario che concorrono a spiegare meglio il fenomeno. Nel 2008 il prezzo del petrolio e di molte altre materie prime era esploso. Di recente è invece crollato, producendo un tasso di inflazione negativo. Ma se depuriamo l'analisi dall'andamento dei prezzi energetici e delle materie prime, il tasso di inflazione nello stesso periodo diventa solo di circa l'1,5 per cento. Lo stesso ragionamento vale per il prezzo di altri beni di investimento contagiati dalla crisi in modo straordinario. Per esempio, le case. I prezzi delle abitazioni sono calati molto rapidamente solo perché erano prima saliti così velocemente da produrre una "bolla".
In entrambi i casi sembra quindi più opportuno parlare di correzione piuttosto che di deflazione. Pertanto se l'inflazione, anche se bassa, è presente e potenzialmente soggetta a crescita, data la massa monetaria immessa sui mercati, la politica adottata dei tassi zero può essere pericolosa. Se l'economia non ripartisse e si cominciasse a percepire la minaccia dello svilimento della moneta, l'eccesso di massa monetaria non potrebbe infatti essere riassorbito se non tramite imposte. Ma lo spettro dell'inflazione si concretizzerebbe presto anche se l'economia dovesse riprendersi grazie alla circolazione del credito. In questo caso le banche centrali dovrebbero intervenire alzando i tassi per riassorbire la liquidità eccessiva.
La politica di tassi zero adottata per combattere una deflazione di cui non abbiamo certezza (e con una potenziale inflazione alle porte), oltre a distorcere il mercato e favorire speculazioni, accresce la sfiducia, diminuisce il potere di acquisto e riduce di conseguenza i consumi. Inoltre, rappresenta una imposta occulta sul risparmio, che in fondo è la base della necessaria espansione creditizia futura. Anche gli economisti della scuola austriaca sono sempre stati contrari ai tassi zero, perché inferiori al tasso naturale minimo che deve sempre compensare l'inflazione reale. Il risparmio è una delle poche risorse che ci sono rimaste. È la difesa che resta alla persona per fronteggiare i rischi futuri e per preservare dignità e libertà. È il nostro petrolio:  una materia prima essenziale. Non tenerne conto potrebbe essere molto pericoloso.

 

(© L'Osservatore Romano 17 maggio 2009)