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La riunione ministeriale del g8 sullo sviluppo

La lotta alla miseria
è una necessità


di Franco Frattini
Ministro degli Affari Esteri
del Governo italiano

Problemi globali richiedono soluzioni globali. Queste non sono però possibili senza un coinvolgimento che sia anch'esso globale, una corresponsabilizzazione della comunità degli Stati nel suo insieme, dai Paesi industrializzati alle economie emergenti, ai Paesi in via di sviluppo. Così l'Italia intende affrontare anche i problemi dello sviluppo e della riduzione della povertà, al centro dell'agenda della sua presidenza del g8. In questa chiave l'11 e il 12 giugno ha luogo a Roma la riunione ministeriale del g8 sullo sviluppo, alla quale prenderanno parte l'Unione africana (la Libia in quanto Presidente di turno) e i Paesi del Nepad (l'Etiopia come Presidente di turno, il Sud Africa, l'Egitto, il Senegal, la Nigeria e l'Algeria). È la prima volta che tutti questi Paesi avranno la possibilità di partecipare a una ministeriale sullo sviluppo.
Su questo tema l'Italia intende trasmettere tre principali messaggi. Il primo è che l'Africa e il mondo in via di sviluppo devono essere considerati un soggetto politico e non semplicemente beneficiari di aiuti. Il Governo italiano vuole aiutare l'Africa ad acquisire la soggettività politica internazionale che merita e che è rimasta in ombra malgrado i decenni trascorsi dalla decolonizzazione. Ciò significa includere a pieno titolo il continente sia nelle strutture decisionali della governance mondiale sia nella formulazione delle politiche sui temi globali. Basti pensare alle questioni ambientali. Pur avendo responsabilità minori per quanto riguarda le emissioni di anidride carbonica, l'Africa ne paga, ingiustamente, il prezzo maggiore in termini di deterioramento dell'ambiente e delle condizioni di vita e alimentari. Non è quindi eticamente accettabile, oltre che possibile, parlare di cambiamento climatico senza coinvolgere pienamente l'Africa. L'Africa è un interlocutore non meno centrale anche per quanto riguarda la sicurezza energetica. Angola e Nigeria sono infatti tra i primi dieci produttori petroliferi al mondo.
Altro messaggio al centro della riunione di Roma è che non può essere sottovalutato l'impatto dell'attuale crisi economico-finanziaria globale sui Paesi in via di sviluppo. Prima della crisi molti Paesi dell'Africa stavano crescendo a ritmi elevati. Il crollo dei prezzi delle materie prime provocato dalla recessione mondiale ha reso il quadro complessivo meno favorevole, come indicano i dati delle principali istituzioni internazionali. Il tasso di crescita dell'Africa previsto per quest'anno si è di fatto quasi dimezzato al 2.8 per cento, mentre, secondo gli esperti, i Paesi del continente dovrebbero crescere alla media del 7 per cento del pil per raggiungere gli Obiettivi del millennio entro il 2015. Bisogna quindi evitare che il trend virtuoso di crescita registrato negli ultimi anni venga irrimediabilmente invertito e, al tempo stesso, è necessario continuare ad aiutare quel miliardo di persone - i cosiddetti bottom billion - concentrate soprattutto in Africa che non sono mai uscite dal sottosviluppo. Il loro numero si è ridotto negli ultimi decenni, ma potrebbe nuovamente e drammaticamente tornare ad aumentare.
Infine, bisogna ridefinire le politiche di aiuto allo sviluppo in una chiave moderna, olistica, sul piano sia degli obiettivi che degli strumenti, per massimizzarne l'efficacia. Per quanto riguarda gli obiettivi si tratta di rafforzare le necessarie sinergie tra gli interventi nei vari settori dello sviluppo - educazione, ambiente, salute, sicurezza alimentare - e rendere le politiche di cooperazione compatibili con quelle in altri settori, in particolare commerciali. Sul piano degli strumenti l'impostazione tradizionale paternalistica, circoscritta agli aiuti pubblici, deve cedere definitivamente il passo a una visione più ampia, che rifletta la complessità del mondo attuale, fondata sulla mobilitazione di una maggiore varietà di strumenti e risorse (finanziarie e umane) in grado di generare sviluppo sostenibile (partenariati pubblico-privati; cooperazioni triangolari tra Paesi sviluppati, economie emergenti e Paesi in via di sviluppo; e, soprattutto, investimenti) e di coinvolgere più attori (Paesi industrializzati ed economie emergenti, organismi multilaterali, Governi locali, organizzazioni non governative e società civile nelle sue diverse articolazioni, settore privato). L'Italia ha già iniziato a promuovere sul piano nazionale un impegno di sistema alla cooperazione, basato sul concetto di efficacia dello sviluppo e già messo a frutto con successo in occasione della crisi di Gaza, dove è stata realizzata una vasta operazione umanitaria con il contributo congiunto dello Stato, delle Regioni e del settore privato. È necessario inoltre che i nuovi strumenti per lo sviluppo sostenibile operino in un quadro armonico e coerente, in particolare con le strategie nazionali di sviluppo dei Governi dei Paesi beneficiari, la cui piena corresponsabilizzazione in termini di good governance è una componente fondamentale per qualsiasi successo delle politiche di sostegno.
Promuovere il benessere dei Paesi in via di sviluppo non è soltanto un nostro dovere, ma è anche nel nostro interesse. Sono la povertà e la mancanza di prospettive ad alimentare, nei Paesi africani e in altre aree del mondo, conflitti interstatali e guerre civili, a incoraggiare traffici illeciti di armi, droga ed esseri umani, a fomentare il radicalismo e il terrorismo, a favorire l'immigrazione clandestina. In un mondo sempre più piccolo e interdipendente la lotta contro la povertà e il sottosviluppo non è una scelta, ma una necessità.

 

(© L'Osservatore Romano 11 giugno 2009)