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A proposito della Perdonanza

Quando si ignora la storia


di Lucetta Scaraffia

"Nella chiesa antica la penitenza era una cosa seria. Riguardava peccati come l'omicidio, l'apostasia, l'adulterio e veniva amministrata in forma pubblica". Così comincia un articolo di Vito Mancuso su "la Repubblica" che si può definire, già a un primo sguardo, carente particolarmente sul piano storico:  proprio quel tipo di sapere di cui il teologo si serve per attaccare il cardinale segretario di Stato per un incontro che sarebbe dovuto avvenire in un'occasione istituzionale ben definita. Mancuso dovrebbe sapere che anche nella Chiesa di oggi la penitenza è una cosa seria, tanto da non dover venire confusa con polemiche contingenti come quelle a cui sono usi i giornali.
Per questo la Chiesa in Abruzzo festeggia ogni anno il ricorrere della Perdonanza, cioè il dono del perdono che Celestino V aveva fatto al popolo della sua regione sia per carità spirituale che per aiutarlo dal punto di vista economico:  l'occasione della Perdonanza - come del resto anche il Perdono che si celebrava il 2 agosto ad Assisi - attirava infatti pellegrini e penitenti in luoghi solitamente poco frequentati dai viaggiatori, apportando ai locali qualche guadagno. Perché anche Celestino, in cui i contemporanei videro incarnato il papa angelicus, sapeva che accanto agli aiuti spirituali erano indispensabili incentivi materiali per soccorrere popolazioni molto povere. E proprio per l'importanza data al perdono la Chiesa ha celebrato il grande giubileo di nove anni fa, sottolineando costantemente che al pellegrinaggio è indispensabile accompagnare il pentimento, la confessione e il cambiamento di vita. E quest'anno, dopo il grave terremoto che ha funestato l'Abruzzo, alla ricorrenza della Perdonanza si è comprensibilmente data particolare solennità con la presenza del segretario di Stato a rappresentare il Papa.
Nella sua parziale ricostruzione storica della penitenza, Mancuso sembra dimenticare che, a partire dalla metà del Duecento, la confessione è individuale e auricolare, cioè si svolge fra il penitente e il confessore, ed è segreta, come lo è la penitenza. Un metodo che ha senza dubbio favorito il ravvedimento di molti peccatori, ma che soprattutto - come è stato riconosciuto da molti storici - è alla base della nascita dell'individualismo nella civiltà occidentale. Ma evidentemente questa segretezza non piace a tutti:  c'è chi vorrebbe una Chiesa sempre pronta alle pubbliche condanne, invece che alla cura individuale delle coscienze. Almeno in alcuni casi particolari, perché in genere le prese di posizione pubbliche della Chiesa sui comportamenti sessuali sono criticate con forza, in quanto considerate indebite ingerenze. Alla Chiesa, in altre parole, si chiede proprio il contrario di quello che è un comportamento morale:  la condanna del peccatore, ma non del peccato. Questo sì sarebbe una prova di nichilismo e di coinvolgimento partigiano in vicende politiche contingenti:  proprio quello che invece Benedetto XVI e il cardinale Bertone cercano di evitare.
Il moralismo superficiale porta poi Mancuso a uno stupefacente accostamento fra il comportamento di Giovanni Battista con Erode Antipa e la supposta cena del cardinale segretario di Stato con il presidente del Consiglio italiano. Ancora una volta Mancuso sembra ignorare che il Battista era stato fatto imprigionare da Erode per la sua predicazione sovversiva, oltre che per le rampogne alla sua vita privata, ma soprattutto vuole contrapporre radicalmente profezia e istituzione. Secondo lui, infatti, la Chiesa dovrebbe essere priva di quel fondamento istituzionale che, insieme alla dimensione profetica, l'ha caratterizzata nel corso della sua storia. Ma la Chiesa, che pure vive nel mondo, pensa soprattutto alla carità e alla salute delle anime.

 

(© L'Osservatore Romano 29 agosto 2009)